Dalla crisi climatica rischio danni economici pari a quelli del Covid già entro il 2030: -5% del Pil Ue

Mark Carney oggi è il primo ministro del Canada. Si è insediato a metà marzo, per la precisione (e, per inciso, con gran dispiacere di Trump, visto che era il candidato alle elezioni a lui più ostile). Prima di ricoprire questo incarico, è stato a capo di importanti istituzioni economico-finanziarie, comprese diverse banche centrali. Dal 2013 al 2020 è stato governatore della Banca d’Inghilterra. Prima, dal 2008, ha invece guidato la Banca del Canada. Da qui si è occupato di una delle peggiori crisi finanziarie mondiali, quella innescata dalla bancarotta della banca d’affari statunitense Lehman Brothers. È uno che ci capisce, per dirla brutta. Ma evidentemente anche a lui qualcosa può sfuggire. Ecco quel che scrivono Sabine Mauderer, prima vicegovernatrice della Deutsche Bundesbank (la banca centrale tedesca), e Livio Stracca, vicedirettore generale della Banca centrale europea (Bce): «Il cambiamento climatico non è più “la tragedia all’orizzonte”, come ha detto Mark Carney, ma un pericolo imminente. Secondo i nuovi scenari a breve termine del Network for Greening the Financial System (Ngfs), già nei prossimi cinque anni gli eventi meteorologici estremi potrebbero mettere a rischio fino al 5% della produzione economica dell’area dell’euro». Semplice. Conciso. Allarmante.
Prima, giusto una spiegazione circa il soggetto a cui si riferiscono: il Network for Greening the Financial System è una rete globale di banche centrali e autorità di vigilanza che da circa otto anni promuove la condivisione delle pratiche più opportune per far fronte ai rischi climatici nel settore finanziario. Anche la Banca d’Italia, per dire, dal 2022 ne fa parte. Anche la Bce. La Federal reserve no: il presidente della banca centrale statunitense Jerome Powell ha dato un contentino a Trump, che voleva e vuole rimuoverlo da capo della Fed per mettere al suo posto un governatore più lesto a tagliare i tassi d’interesse, e poco dopo l’insediamento dl Tycoon ha detto addio al network globale. Il quale network ha comunque continuato a fare il suo lavoro e a maggio ha pubblicato un’approfondita analisi dei potenziali impatti che possono avere a breve termine sulla stabilità finanziaria mondiale sia i cambiamenti climatici che le politiche climatiche volte a contrastarli.
Ora il vicedirettore della Bce e la vicegovernatrice della banca centrale tedesca tornano su alcune delle questioni evidenziate in quel documento e forniscono una serie di altri dati e di altre considerazioni sui rischi che corriamo se non mettiamo mano con decisione alle politiche di mitigazione e adattamento. A cominciare da quelle riguardanti il problema siccità. Rispetto al quale l’Italia, soprattutto al Sud ma non solo, è tutt’altro che immune. «Secondo le stime della Commissione europea, la siccità in Europa provoca ogni anno perdite per 9 miliardi di euro, pari a quasi il 5% del bilancio annuale dell’Ue per il 2024, e si prevede che tali perdite aumenteranno già nel prossimo futuro», scrivono. «Una recente ricerca della Bce sulla scarsità di acqua di superficie dovuta alla siccità conferma queste aspettative. La mancanza di acqua di superficie è la minaccia più significativa legata alla natura per l’attività economica nell’area euro, con un rischio fino al 15% della produzione economica. Inoltre, la dipendenza dell’eurozona da una fornitura costante di minerali critici per la transizione verde aumenta la sua vulnerabilità».
I nuovi scenari Ngfs - scrivono Mauderer e Stracca, che alla Bce è anche responsabile del settore Politica macro-prudenziale e stabilità finanziaria - rivelano che l’impatto a breve termine di eventi meteorologici gravi sull’area euro è significativo sia che questi eventi si verifichino all’interno che all’esterno dell’Europa. Nello scenario “Disastri e stagnazione politica”, è valutato l’impatto di eventuali pericoli naturali che possono colpire nel 2026 i Paesi europei, a partire da ondate di calore, siccità e incendi, seguiti da una combinazione di inondazioni e tempeste nel 2027. «L’effetto combinato di questi pericoli potrebbe portare a un calo del Pil annuale dell’area dell’euro fino al 4,7% entro il 2030». Una percentuale pari a quella della crisi finanziaria globale del 2008 (per tornare a Carney) o della pandemia da Covid-19 del 2020.
La buona notizia in questo scenario a tinte fosche delineato dai due economisti è che secondo un altro scenario, se l’eurozona dovesse portare avanti con decisione le sue politiche per la transizione energetica, compreso il piano di riduzione del 55% delle emissioni di gas serra entro il 2030, si potrebbero mitigare ampiamente le perdite. Scrivono il vicedirettore della Bce e la vicegovernatrice della Bundesbank: «Grazie alle ambiziose politiche climatiche già in atto, l’area dell’euro trarrebbe vantaggio da una transizione net-zero precoce e coordinata a livello globale. Nello scenario “Autostrada per Parigi”, il gettito della carbon tax viene investito efficacemente in tecnologie verdi e il Pil e l’occupazione dell’area dell’euro aumentano leggermente. La transizione verde ha effetti inflazionistici limitati. La posizione dell’eurozona in questo scenario si distingue perché ha adottato in precedenza politiche climatiche ambiziose, in particolare il Green Deal europeo, che mira a ridurre le emissioni di gas serra del 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. Gli sforzi di transizione in questo scenario porterebbero a una contrazione dello 0,5% dell’attività economica globale entro il 2030. Tuttavia, ritardare la transizione di tre anni, come previsto nello scenario “Improvviso risveglio”, porta a perdite di produzione nell’area euro e a pressioni inflazionistiche più forti. Gli scenari Ngfs indicano quindi che uno sforzo per il net-zero coordinato a livello globale salvaguarderebbe gli interessi economici dell’eurozona nei prossimi cinque anni».
È auspicabile che queste parole che arrivano dalla Banca centrale europea siano ascoltate anche all’interno del Parlamento europeo, dove invece gruppi di destra e conservatori stanno smontando pezzo dopo pezzo l’Agenda verde dell’Ue costruita, non senza fatica, nella passata legislatura.
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