Delpini e Vari, dialogo tra arcivescovi: «Giovani, fate chiasso»



Non vi era forse location migliore che quella scelta per il dialogo tra gli Arcivescovi di Milano e di Gaeta: la piazza del Buon Pastore di Penitro. Perché, appunto, del ruolo del Vescovo, dei suoi compiti e, talvolta, delle sue difficoltà e paure si è parlato nella catechesi serale che ha visto tanti giovani riuniti intorno al palco dove gli arcivescovi Mario Delpini e Luigi Vari hanno risposto alle domande.
«Un saluto caloroso e speciale per i ragazzi della Diocesi di Milano che abbiamo l’onore di ospitare. Questa sera parte un’esperienza che ci auguriamo sia ricca di incontri, di fraternità e di preghiera e che sia davvero un’opportunità per costruire legami duraturi e per farci scoprire la bellezza di essere Chiesa insieme», dice, in apertura, Isabella, che, poi, con la “collega” Marta della pastorale giovanile ambrosiana conduce il dialogo.
«Noi milanesi possiamo salutare la Diocesi di Gaeta come ci insegnato il nostro Arcivescovo, con il “Kaire” – subito gridato in coro – che è già un ringraziamento per l’ospitalità che stiamo ricevendo», aggiunge don Marco Fusi responsabile della Pg con accanto don Alessandro Casaregola direttore dell’équipe di Pastorale giovanile gaetana che ricorda come, fin dall’anno scorso, «si siano creati i contatti per preparare il gemellaggio».
Il dialogo
Tra animazioni divertenti, nell’avanzare della sera, e i brani eseguiti da “Shekinah”, con l’invocazione dello Spirito in musica, si avvia il confronto tra i Pastori delle due Arcidiocesi.
«Io sono l’Arcivescovo della Diocesi di Milano che è la più bella e grande del mondo», scherza monsignor Delpini, adducendone anche i motivi. «Non si tratta di chilometri perché ci sono al mondo Diocesi molto più grandi ma, per esempio, i preti ambrosiani sono i migliori, la nostra storia inizia nel III secolo e non si è mai interrotta, e i nostri santi, ora anche con Carlo Acutis, dicono che tutti possono diventare santi».
Insomma, «Davide contro Golia, ma Davide ha vinto», risponde, con sottile ironia, sorridendo monsignor Luigi.
Chi è il Vescovo e il servizio che compie
Arrivano, poi, gli interrogativi seri su chi sia il Vescovo.
«Io, personalmente, lo definisco come il bersaglio di tutte le lamentele per le cose che non funzionano in una Diocesi», osserva il vescovo Mario, che prosegue. «Sono un poco allergico all’idea del Pastore, perché non definirei i milanesi come delle pecore: mi piace di più dire che il Vescovo è al servizio dell’unità della Diocesi».
Già ma come lo si sceglie la guida di una Chiesa locale? «C’è un sistema collaudato», spiega il vescovo Luigi. «Ogni tanto si chiede di dare qualche nome di sacerdote, se ne prendono informazioni e, alla fine, si arriva a una terna di nomi che giunge al Dicastero dei Vescovi. Questo è il procedimento umano, ma poi c’è la grazia e la benedizione, per cui quando qualcuno viene proposto come Vescovo è il Signore che vuole così».
«Quale è il ruolo del Vescovo?», incalza una delle intervistatrici.
«È quello di essere a servizio del convenire e della missione, quindi, della Chiesa, nel senso di essere colui che presiede alla convocazione di tutti i fedeli della Diocesi e che dice loro che ognuno ha una responsabilità per il Vangelo. Il compito episcopale è radunare e inviare sempre nel nome del Signore e non, naturalmente, per un suo progetto. Sul radunare mi pare che si faccia abbastanza, come vediamo anche in questo momento», scandisce Delpini.
Se, dunque, per il vescovo Mario «il convocare lo si fa in tanti modi, forse, quello che manca, anche ai giovani, è di sentirsi inviati, ossia di essere, ad esempio, qui anche per altri, per coloro che non possono essere presenti».
«Tu, giovane cristiano – nota ancora rivolgendosi direttamente ai ragazzi -, hai una parola da dire. Siamo radunati, non perché è bello esserci, ma perché il mondo ha bisogno del Vangelo. È questo che io non riesco a far capire, talvolta».
Chiosa il vescovo Luigi. «C’è una bella preghiera nel Rito romano, che si recita nei Vesperi della Festa dei Santi Pastori: si chiede di suscitare sempre Pastori nella Chiesa che siano segno della misericordia di Dio e della carità di Gesù. Questo, ritengo, che sia il compito fondamentale, soprattutto oggi, ossia portare uno sguardo buono e di misericordia. Io abito in una zona di grande movida e vedo a sera tanti ragazzi con i bicchieri in mano che un poco “oscillano”. Penso che il Vescovo non debba giudicare, ma volere bene con il desiderio di fare qualcosa. Vorrei che potessimo essere presenti in queste vite, perché il Vescovo deve essere, come il Signore, sempre presente. Per capire questo, se vi posso consigliare, leggete nella Bibbia il Libro di Giona».
Annunciare la speranza
E si continua: «In che modo il Vescovo è a servizio della speranza per la Chiesa?».
Risponde l’Arcivescovo. «Mi sono fatto la persuasione che la speranza sia una risposta, non un atteggiamento fiducioso. La promessa di Dio, del Regno, fa nascere la speranza e, quindi, il Vescovo si prende cura della speranza perché ricorda, annuncia e fa risplendere la promessa che può, nella libertà di chi ascolta, fa nascere, appunto, la vera speranza».
«Forse parliamo troppo di speranza», ammette il presule di Gaeta. «Le analisi sociologiche sono vere ed è bene conoscerle, ma si comunica con la vita e la testimonianza. La difficoltà sta nel non essere, qualche volta, testimoni limpidi che, con chiarezza, dicono: “Credi, vivi, spera, ama”. Facciamo forse troppi ragionamenti: più siamo semplici, nel nostro essere e nel credere anche se non semplicisti e più comunichiamo speranza che non è il banale “tutto andrà bene”».
E, ancora: «In che modo la fede vi ha donato speranza e cosa vi spaventava da giovani?».
«Non ricordo dei grandi spaventi da ragazzo, ho avuto una vita serena», riflette il Vescovo Mario a cui fa eco il confratello Luigi. «Nemmeno io, ma ho visto gente spaventata e ho preso coraggio dalla fede degli altri nelle prove. Quando uccisero Vittorio Bachelet – che era presidente dell’Ac e vicepresidente del CSM -, il figlio, durante il funerale dove servivo come diacono, fece quella preghiera per avere la forza di perdonare chi aveva ucciso il padre. Lì fu la fine delle Brigate Rosse».
«Fate chiasso»
Concludendo, «Che immagine di Vangelo volete consegnare ai giovani?»
L’Arcivescovo: «Vorrei che imparaste a memoria gli 11 versetti del capitolo 15 di Giovanni – “Io sono la vite e voi siete i tralci…”. Ci sono due parole che io ritengo irrinunciabili per la vita cristiana, ma che sono state mistificate, sono divenute imbarazzanti e paiono, oggi, diffondere paura. Chissà se possiamo ritrovare il loro fascino? Le parole sono la “Vita eterna”, che è censurata dalla cultura contemporanea perché pensa che ci sia solo una vita: questa. E l’altra, “Vocazione”, che ci dice che non siamo destinati alla morte e venuti al mondo per caso, ma perché chiamati».
Monsignor Vari: «Un’icona che mi piace tanto è l’episodio di Maria che visita Elisabetta: un’esplosione di vita che passa dentro due donne. Se abbiamo Gesù in noi, attraversiamo le montagne e diamo gioia a chi incontriamo. Non sono vivi coloro che non credono nella vita eterna e noi rischiamo di essere degli avatar se non abbiamo dentro questa speranza di vita».
Infine, la parola sintetica che è il sigillo della serata. «Io ho stima di voi», dice immediatamente il vescovo Mario. «Le cose che sapete fare senza pregiudizi sono un dono straordinario che non dovete perdere. “Fate chiasso”, come disse san Giovanni Paolo II alla Gmg di 25 anni fa», termina, tra gli applausi l’Arcivescovo di Gaeta.
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