Guyana. Petrolio, traffici illeciti e il gioco a tre tra Caracas, Washington e Georgetown

di Giuseppe Gagliano –
Nel cuore del Sud America, tra le onde dell’Atlantico e le giungle dell’Essequibo, la Guyana è diventata teatro di una partita ad alto rischio, in cui si intrecciano ambizioni energetiche, guerre ibride e traffici criminali. Un tempo terra marginale, oggi la piccola repubblica anglofona si è trasformata nel nuovo Eldorado del petrolio: 650mila barili al giorno, crescita vertiginosa e una proiezione che la vede dominare la classifica mondiale del petrolio pro capite entro il 2035. Ma dove scorre il greggio, affluiscono anche interessi opachi, bande armate e lotte di potere.
La minaccia più visibile arriva da ovest. Il Venezuela di Nicolás Maduro rivendica da decenni la regione dell’Essequibo, due terzi del territorio guyanese. Dopo il referendum venezuelano del 2023 per l’annessione unilaterale dell’area, Caracas ha intensificato le provocazioni: incursioni navali, sorvoli militari e minacce contro gli impianti petroliferi. Per Georgetown, difendersi significa stringere i legami con gli Stati Uniti, che vedono nella Guyana non solo un alleato, ma un bastione strategico per contenere la deriva bolivariana e proteggere i propri colossi energetici.
Ma non è solo geopolitica. La Guyana è oggi crocevia del narcotraffico. Le sue foreste, i suoi fiumi e i suoi confini porosi offrono un terreno ideale per i cartelli colombiani e venezuelani. Cocaina, armi e denaro sporco scorrono lungo rotte che collegano il continente ai Caraibi, all’Europa e agli Stati Uniti. Gli hangar clandestini nella regione di Barima-Waini, i narco-sottomarini artigianali, le piste di decollo nella giungla: tutto racconta di uno Stato in lotta contro un nemico interno, strutturato e spietato.
Le forze dell’ordine hanno registrato progressi, ma a caro prezzo. Le operazioni congiunte con la DEA hanno portato a sequestri da tonnellate di droga, arresti eccellenti, sanzioni. Ma i gruppi criminali rispondono con metodi da guerra irregolare: imboscate contro le pattuglie fluviali, rapimenti, intimidazioni. Un ex poliziotto, Mark Cromwell, è ricercato per complicità con i trafficanti. Altri, come Himnauth Sawh, risultano implicati in reti che collegano le giungle guyanesi alle piazze di Caracas e Bogotá.
A tutto ciò si aggiunge il ruolo degli Stati Uniti. Washington fornisce elicotteri, droni, addestramento. Le esercitazioni congiunte e la cooperazione militare si sono intensificate dal 2023 in poi. Ma l’ombrello americano ha un costo: alimenta la retorica anti-imperialista di Maduro, spinge Caracas a intensificare le pressioni e rende la Guyana vulnerabile alle dinamiche della guerra per procura. Non è un caso che nel marzo 2025 una nave venezuelana abbia sfiorato la piattaforma petrolifera Liza Destiny di ExxonMobil, generando una crisi diplomatica.
Le minacce non sono solo fisiche. Si parla ormai apertamente di guerra ibrida. Disinformazione, sabotaggi, sostegno occulto a bande armate nei territori contesi: il confine tra insurrezione e strategia si fa labile. I collettivi venezuelani e i miliziani colombiani dell’ELN operano al confine, controllano traffici, gestiscono i territori abbandonati dallo Stato. La sovranità, in quei luoghi, è solo una parola su una mappa.
Il paradosso è che la Guyana, pur ricca come mai nella sua storia, si scopre esposta come non mai. 5mila soldati contro i 123mila del Venezuela. Una macchina amministrativa fragile. Un sistema di sicurezza dipendente da attori esterni. E soprattutto, una corruzione endemica che consente ai narcos di penetrare ogni livello del potere.
In questo scenario, il futuro del Paese è appeso a un equilibrio instabile. Da un lato, la possibilità di diventare una Norvegia tropicale, capace di usare il petrolio per rafforzare istituzioni e servizi. Dall’altro, la minaccia di trasformarsi in un’enclave militarizzata, stritolata tra appetiti geopolitici e dinamiche criminali. La scelta non dipenderà solo dalla forza militare, ma dalla capacità di costruire uno Stato. Con regole, legittimità e visione strategica.
Per ora la Guyana resiste. Ma ogni barile estratto porta con sé una nuova sfida. E ogni dollaro incassato attira un nuovo predatore. In assenza di una soluzione politica alla contesa dell’Essequibo, Georgetown resta sull’orlo. Con le mani piene di petrolio. E la frontiera piena di armi.
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