Il dossier della Fondazione di Navalny ignorato dal governo sulla villa di Pesaro

Agosto 5, 2025 - 09:00
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Il dossier della Fondazione di Navalny ignorato dal governo sulla villa di Pesaro

Come abbiamo raccontato pochi giorni fa su Linkiesta, sulle colline del Parco San Bartolo, a Pesaro, sorge una villa di lusso riconducibile a Sergey Matviyenko, figlio di Valentina Matviyenko, presidente del Consiglio della Federazione russa e figura di primo piano del regime di Vladimir Putin. Un patrimonio immobiliare milionario, intestato in Italia, che rappresenta una falla evidente nel sistema sanzionatorio europeo contro gli oligarchi del Cremlino.

A individuare per prima quella villa, nel 2022, è stata Marija Pevčich, oggi presidente del consiglio della Fondazione Anti-Corruzione (Acf), fondata da Alexei Navalny. Con il rigore investigativo che ha sempre contraddistinto il lavoro del team Navalny, Pevčich ha tracciato con precisione il legame tra la proprietà pesarese, i capitali di origine opaca e il sistema di potere putiniano, ricostruendo una rete che si estende ben oltre i confini della Russia.

Il 17 marzo 2023, la Fondazione ha inviato una lettera ufficiale al ministero degli Affari esteri italiano, chiedendo l’applicazione del regime sanzionatorio previsto dalla Decisione 2014/145/CFSP nei confronti di Sergey Matviyenko. Il dossier – documentato, dettagliato e corredato di prove pubblicamente accessibili – è stato ignorato. Nessun congelamento dei beni, nessun avvio di procedura, nessuna risposta.

Nel documento si legge: «Secondo l’indagine condotta dall’Acf, il valore approssimativo di questo immobile si aggira attorno ai dieci milioni di euro. Il committente dei lavori di ristrutturazione della villa, nel novembre 2021, era Sergey Matviyenko».

E ancora: «Sergey Matviyenko, in quanto figlio della presidente del Consiglio della Federazione russa, riceve sistematicamente fondi da contratti pubblici con evidenti segni di conflitto di interessi. Il valore totale stimato di questi contratti è di circa tre miliardi di rubli».

Oggi, Sergey Matviyenko si trova stabilmente nella villa di Pesaro. La sua presenza è fissa, documentata da una partita IVA attiva e da un permesso di soggiorno regolarmente emesso dal nostro Paese. In altre parole, un uomo economicamente e politicamente legato all’élite russa colpita dalle sanzioni europee vive e lavora liberamente in Italia, in totale assenza di reazione da parte delle istituzioni.

Questo episodio, per quanto grave, non è un’eccezione. È il sintomo di una linea politica ambigua e permissiva, che continua a trattare la guerra in Ucraina come un evento esterno e non come una minaccia sistemica alla nostra sicurezza nazionale.

L’Italia, infatti, non ha ancora compreso appieno che questa guerra non si combatte solo sul campo, ma anche nelle città europee, nei registri catastali, nei conti correnti, nei fondi immobiliari, nei circuiti opachi del denaro sporco e dell’influenza politica.

In termini assoluti, le azioni portate in essere contro gli oligarchi russi in Italia sono state minime, simboliche, spesso tardive. La rete dei consoli onorari della Federazione russa – come abbiamo documentato nella nostra inchiesta – non è mai stata oggetto di un’indagine sistematica o di una revisione critica. È rimasta lì, intoccabile, nonostante i legami politici, economici e culturali con i centri nevralgici del potere putiniano.

E mentre le democrazie più solide reagiscono con fermezza, l’Italia si muove solo quando arrivano le aggressioni verbali a Sergio Mattarella. Solo allora, per qualche ora, si convoca l’ambasciatore russo e si affida tutto a una nota diplomatica. Ma tutto resta sul piano simbolico, dialettico, formale. Nulla si muove davvero sul terreno delle azioni concrete.

Il prezzo di questa politica dell’acquiescenza è altissimo. Allunga la permanenza di Putin al Cremlino, rafforza l’economia di guerra russa e espone i nostri asset economici e commerciali a svendite e infiltrazioni. La presenza indisturbata di Matviyenko a Pesaro non è un fatto privato, ma un fallimento dello Stato nel difendere la propria sovranità economica e la coerenza della propria politica estera.

E oggi più che mai, quel silenzio del ministro degli Esteri Antonio Tajani e delle forze politiche di maggioranza davanti a un quadro internazionale che corre veloce verso un conflitto senza fine e verso una cleptocrazia che punta la sua pistola fumante contro di noi, non può essere accettato.

La villa di Pesaro, con il suo lusso discreto e il suo proprietario protetto, non è solo un simbolo dell’impunità putiniana: è la fotografia scomoda di un’Italia che, mentre fuori infuria la tempesta perfetta, si ostina a voltarsi dall’altra parte, sperando che tutto passi da solo.

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Redazione Redazione Eventi e News