Il Giubileo degli ambrosiani prosegue a Gaeta



Il Giubileo dei Giovani, con la grande celebrazione nella spianata di Tor Vergata, è finito, ma per 700 ragazzi e ragazze della nostra Diocesi – per l’esattezza, 727 -, provenienti da una ventina di Decanati e a cui si aggiunge il gruppo dell’Azione Cattolica Ambrosiana, continua. In maniera bella, attraente e intensa con i giorni che vengono vissuti a Gaeta per il gemellaggio con la diocesi locale dal titolo, «Gaeta accoglie Milano». Fino al 7 agosto, i giovani, così come era accaduto 2 anni fa con il gemellaggio con la Diocesi di Oporto, dopo la Gmg di Lisbona, sono stati, infatti, invitati a proseguire il loro essere pellegrini di speranza, sempre guidati dall’Arcivescovo.
A iniziare proprio da stamani, quando in una giornata piena di sole circa 400 ragazzi hanno recitato le Lodi e preso parte alla celebrazione eucaristica presieduta, presso il «Villaggio Don Bosco» di Formia – i partecipanti al gemellaggio sono tutti ospitati in parrocchie e scuole della cittadina -, dal vescovo Mario e concelebrata da oltre 20 sacerdoti. Tra loro il vicario episcopale di Settore, don Giuseppe Como e alcuni preti della Diocesi gaetana, oltre naturalmente ai presbiteri che hanno partecipato al Giubileo. Messa – officiata in Rito ambrosiano e animata dal Coro Shekinah -, nella quale monsignor Delpini ha ricordato ai giovani la grande bellezza e vivacità dell’esperienza giubilare. Ma, soprattutto, ciò che bisogna trarne, intrecciando, nella sua omelia, l’esperienza di Anna raccontata nella prima lettura, tratta dal I Libro di Samuele, con il presente.
L’umanità non è ubriaca, è angosciata
«Forse qualcuno pensa che l’umanità sia ubriaca, che ci sia un’apparenza che esibisce un’euforia scomposta, l’eccesso del consumo, l’esagerazione nelle cose, nel mangiare, nel bere, nelle parole, nel coinvolgersi nella confusione dei social. Verrebbe da dire: fino a quando rimarrai ubriaca?», osserva l’Arcivescovo richiamando Anna che pare ubriaca, ma che è solo disperata e piange.
«La verità è che l’umanità non è ubriaca, ma è angosciata: sotto l’esibizione delle apparenze, abita un cuore affranto. Si potrebbe dire che Anna è una donna che ha tutto, un marito che le vuole bene, una situazione sociale prestigiosa, una condizione economica sicura. Ha tutto, ma le manca l’unica cosa necessaria, in cui investe il suo desiderio di felicità. La manca un figlio, che sia il suo compimento come donna e la sua speranza come donna di Israele, figlia di Sion», spiega ancora il vescovo Mario ai giovani che lo ascoltano in un silenzio attento, sotto le bianche campate della moderna struttura della parrocchia «Cuore Immacolato di Maria» del Villaggio.
«Anna rappresenta la donna dell’incompiuto e soffre fino a esserne ossessionata nella preghiera e imprigionata nella tristezza. Ogni vita vive questo passaggio: forse la giovinezza, la vostra età, affronta questo senso di incompiuto con particolare angoscia, anche se io credo che ne soffrano di più gli uomini e le donne di mezza età».
Il pensiero va alle tre domande poste a papa Leone durante la Veglia del Giubileo. «Dove è l’amicizia di cui ho bisogno? Come è possibile la scelta che rende compiuta la vita? Come si incontra Dio e si sperimenta che è con noi?».
Tre domande decisive
«Sono tre domande decisive che rivelano l’incompiuto: per questo ciascuno di noi deve fermarsi un momento e chiedersi in che cosa consista il proprio incompiuto, cosa ci manchi», anche perché «la felicità desiderata non è un pacco che si riceve e non esiste una situazione che si crea, magari inaspettatamente, per dire che siamo felici. L’opera di Dio rivela che non esiste la felicità come un dato di fatto, ma piuttosto come una promessa. Certo, le situazioni favorevoli, come un amore inaspettato, sono cose belle – riconosce l’Arcivescovo -, ma Dio opera diversamente: per dare compimento al desiderio di felicità, Dio affida ad Anna un bambino, qualcuno di cui prendersi cura. Non un risultato, ma la grazia di una vocazione, una responsabilità».
La testimonianza di Anna, la donna dell’incompiuto, suggerisce di accogliere il compimento non come una conclusione, ma come una vocazione a partecipare all’opera di Dio, a prendersi cura del bene delle persone che ti sono affidate. Se celebriamo bene l’Eucaristia, se stiamo bene nella comunità cristiana, viviamo questo. Il bambino è un’immagine commovente e determinate di come opera Dio, chiamando ciascuno a collaborare alla sua opera per il desiderio che ha di salvare tutti».
A conclusione della celebrazione, è l’arcivescovo di Gaeta, monsignor Luigi Vari, a portare il suo saluto all’assemblea: «Benvenuti, godetevi sole, il mare e l’amicizia».
Qual è la tua reazione?






