Il lusso torna ad essere per pochi. Crollano gli aspirazionali, crescono i top-tier: lo 0,1% genera il 37% della spesa

Il cuore del mercato del lusso globale ha cambiato battito: oggi è il cliente top-tier – appena lo 0,1% della popolazione – a generare il 37% della spesa totale del settore. In un momento di rallentamento generalizzato, è questa élite di Uhnwi (ultra high net worth indivinduals) a trainare la crescita, ridefinendo strategie, linguaggi e canali distributivi dei brand di alta gamma. Crollano, invece, gli aspirazionali che pesano ora ‘solo’ il 61% dei consumi di fascia alta e che continua a ridurre la spesa.
È questo il messaggio emerso dall’undicesima edizione dell’Altagamma Consumer & Retail Insight 2025, presentato ieri a Milano in collaborazione con Boston Consulting Group e con il contributo Luca Solca, managing director, sector head global luxury goods di Bernstein. Il focus è netto: il futuro del lusso si gioca sulla capacità dei brand di tornare alle origini, centrando le strategie su qualità, personalizzazione e relazione profonda con i clienti di fascia altissima.
Spesso invisibili, ma fondamentali, clienti top-tier – circa 940mila individui a livello globale con una spesa media annua nel lusso pari a 360mila euro e fino a 580mila euro annui – si confermano come il nucleo più solido e strategico del settore. Spendono in modo trasversale: moda, design, auto, hotellerie, benessere, arte. Ed esigono tutto, dall’eccellenza, al riconoscimento (su nove marchi da cui acquistano riferiscono di essere riconosciuti solo da un paio), esclusività. Un dato chiave: l’85% di loro prevede di aumentare o mantenere stabile la propria spesa nei prossimi 18 mesi, purché l’esperienza sia rinnovata in qualità, agi, attenzione. In fondo, come ha ben esemplificato Luca Lisandroni, CEO di Brunello Cucinelli: “I nostri clienti non hanno bisogno di nulla di ciò che vendiamo, ma possiamo far si che quando acquistano, quello diventi un momento di gioia e benessere”.
La controparte del successo top-tier è la frenata degli aspirational consumers: coloro che spendono meno di 5mila euro l’anno in prodotti di lusso. Costituivano il 74% del mercato nel 2013, oggi sono scesi al 61 per cento. Solo nell’ultimo anno, il 35% ha ridotto la propria spesa, citando prezzi percepiti come ingiustificati e minore valore percepito. Una nuova sensibilità, che va oltre la congiuntura economica: per molti, il lusso sta perdendo rilevanza simbolica. Cresce invece il second-hand, con un aumento della domanda di prodotti senza tempo e qualcuno ammette di rifugiare la propria voglia di acquisti nel fast e ultra fast fashion.
Parallelamente, lo studio “Reinventing Multi-Brand Retail” raccontato da Luca Solca fotografa un panorama distributivo anch’esso sempre più polarizzato. I grandi magazzini tradizionali – in Usa, Europa e Giappone – sono in crisi, le boutique indipendenti si ridimensionano, anche a causa della competizione da affrontare con il fast fashion e discount (Zara, Primark, Temu, Shein) che potrebbero anche azzardare dei tentativi di inserirsi nel livello intermedio dell’abbigliamento. Zara, ad esempio, come specifica Solca, dal 2005 ha fatto diversi tentativi di svilupparsi nel retail e sta pian piano tentando di fare ingresso nel premium. Anche i marketplace digitali multimarca hanno fallito nel costruire modelli economicamente sostenibili (ne è un esempio Farfetch). A prevalere dunque è ancora il canale monomarca, sempre più strategico e dominante sia nel fisico che nell’online. I clienti top-tier cercano ambienti coerenti, esperienze intime, boutique personalizzate. L’80% non vuole spazi retail standardizzati e il 60% si dichiara sopraffatto da comunicazioni impersonali.
Tra le nuove frontiere per il futuro del lusso, ci sarebbero a detta degli analisti l’India e il Sud-est asiatico, che stanno accelerando nella creazione di nuova ricchezza. Secondo i dati Bcg, il numero di Hnwi crescerà del 9% annuo fino al 2030. In India, il ritmo sarà fino al +15 per cento. I brand devono quindi prepararsi a servire clienti mobili, culturalmente differenti, con aspettative sempre più alte e articolate. E per farlo, non basterà più un crm, servirà piuttosto un cambio di mentalità.
Nel settore luxury, i marchi che hanno inseguito volumi eccessivi oggi pagano il prezzo dell’instabilità. Al contrario, chi è rimasto fedele al proprio cliente “core” ne raccoglie i frutti. Come ha dichiarato Matteo Lunelli, Presidente di Altagamma: “Serve un ritorno ai fondamentali. Il futuro appartiene ai brand capaci di costruire legami profondi, offrire qualità estrema e intercettare valori condivisi con una clientela che non vuole essere solo servita, ma riconosciuta”.
In un mondo instabile, il vero lusso è stabilità, coerenza e profondità. Per i brand, questo significa meno marketing e più significato. Meno clienti, ma più fedeli. Meno quantità, ma più valore.
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