La genesi evolutiva del regime fascista

di Yari Lepre Marrani –
Affrontare storiograficamente la genesi del regime fascista definendola, lato sensu, come “Rivoluzione” immediata che portò, in pochi mesi, all’instaurarsi e consolidarsi del nuovo regime mussoliniano in Italia è un errore che si scontra con i fatti storico-politici i quali dimostrano che il regime fascista non fu frutto di una rivoluzione diretta e immediata, come la Rivoluzione russa (1917), ma di una lenta evoluzione di smantellamento dello Stato liberale, durata anni.
La Rivoluzione russa (1917) fu un periodo di sconvolgimenti politici e sociali, che portò al crollo dell’Impero russo e alla nascita dell’Unione Sovietica. La rivoluzione si svolse in due fasi principali: la Rivoluzione di febbraio, che rovesciò lo zarismo, e la Rivoluzione d’ottobre, che portò immediatamente i bolscevichi al potere. In Italia, la dittatura seguì un percorso diverso che iniziò sì con una manifestazione armata eversiva (la Marcia su Roma) all’alba del 28 ottobre 1922, volta al colpo di Stato per favorire l’ascesa al potere governativo di Benito Mussolini, ma che richiese diversi anni e diversi interventi legislativi e istituzionali mirati per scardinare la funzione del Parlamento italiano riducendolo a cassa di risonanza del Governo fascista.
Mussolini, a conclusione della Marcia su Roma (30 ottobre 1922), non volle vedersi concedere uno o due ministeri ma ambiva alla carica di capo del governo, ma il primo gabinetto che formò fu un esecutivo di coalizione nel quale inserì diversi liberali e popolari, salvando così le apparenze con un accordo di diversi gruppi politici. A parte la violenza degli squadristi, il nuovo, appena costituito Governo Mussolini era ben lontano dal dominio assoluto sullo Stato italiano e dalla presenza esclusiva di fascisti in Parlamento. Per iniziare a consolidare il proprio potere, Mussolini fece diverse tappe che coprirono anni, oltrepassando l’omicidio di Giacomo Matteotti (10 giugno 1924), evento che avrebbe potuto frenare il consolidamento e assestamento progressivo del nuovo regime ma che fu “sorpassato” grazie all’intrecciarsi di eventi e reazioni forti del nuovo regime, che resistette al tragico evento.
Torniamo ai primi mesi successivi alla Marcia su Roma, al gennaio 1923: Mussolini, per gettare le basi del rafforzamento del suo potere, ha bisogno di due organi che furono ritenuti dallo stesso “organi fondamentali della rivoluzione fascista” e sui quali, negli anni immediatamente successivi, si svolse la polemica tra gli antifascisti e i fascisti stessi quando ne fu chiesta la soppressione e Mussolini rifiutò recisamente. Parliamo della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale e del Gran Consiglio del Fascismo. La prima: un organismo extra-parlamentare ed extra-statale, simile alle compagnie di ventura cinquecentesche al servizio del condottiero o del principe machiavelliano, che aveva il compito di “tenere a bada” (disse lo stesso Mussolini nel gennaio ’26) tutti coloro che erano stati risparmiati nella prima ora di presa del potere. La conclusione era che si svalutava appieno l’opera del Parlamento e del Consiglio dei Ministri, e la funzione dell’esercito era sopraffatta da una milizia di parte. Alla creazione dei due organi fondamentali del regime, atti a rafforzare le capacità d’azione del nuovo regime nel sopprimere o contenere gli avversari, fece seguito la Legge Acerbo (Legge 18 novembre 1923, n. 2444): Mussolini fece approvare questa legge maggioritaria, con cui si dava alla lista o al raggruppamento di partiti collegati che avessero riportato la maggioranza relativa dei voti, i tre quarti dei seggi, mentre alle altre liste isolate andava l’altro quarto. Mussolini fece questa scelta avendo stabilito di sciogliere la vecchia Camera e di indire nuove elezioni per ottenere una nuova Camera che fosse almeno per il 75% di fascisti. Ma questi due passaggi non erano sufficienti all’instaurazione definitiva del nuovo regime.
L’azione di smantellamento dello Stato liberale continuò metodicamente verso la fine del 1923 con l’incontro tra Palazzo Chigi e i dirigenti della Confindustria, quando Mussolini cercò, riuscendovi, di far riconoscere unicamente alle organizzazioni sindacali fasciste la rappresentatività del mondo del lavoro al fine di escludere tutte le altre organizzazioni presso la Confindustria. Con il successivo incontro di Palazzo Vidoni tra Confindustria e Governo fascista (2 ottobre 1925), la Confindustria accettava definitivamente come interlocutori i sindacati fascisti; si parlava ormai da tempo di corporazioni che furono definitivamente sancite solo nel ’31, a riprova della lentezza della stabilizzazione e irrobustimento del regime. Il c.d. Patto di Palazzo Vidoni, firmato nel 1925, tra Confindustria e la Confederazione delle corporazioni fasciste, segnò la fine del sindacato libero.
La costituzione concreta dello Stato fascista, di cui si è già sottolineata la lenta gradualità, avvenne istituzionalmente tra il ’25 e il ’26, prima con una serie di leggi dette di difesa (uno stralcio della riforma costituzionale preparata dalla Commissione dei 18), come il riconoscimento delle prerogative del capo del governo, primo ministro segretario di Stato, considerata una delle più innovatrici leggi della legislazione del regime perché scardinava la tradizione demo-parlamentare, rendendo il Capo del Governo direttamente responsabile nei riguardi solo del capo dello Stato, il re, non più del Parlamento. Il secondo gruppo di leggi eccezionali dette costruttive, fu approvato nell’autunno del ’25 e riguardarono l’ordinamento corporativo: si disse che la corporazione (poi approvata con la Carta del Lavoro nel ‘26) avrebbe seppellito lo Stato liberale agnostico di fronte al problema sindacale e creato lo Stato sindacale corporativo in cui la collaborazione era la regola e la non collaborazione l’eccezione.
Il 1928, l’anno che precedette i Patti del Laterano, o Patti Lateranensi, per la risoluzione del lungo dissidio tra Stato e Chiesa (c.d. Questione Romana), si chiuse con quella che Mussolini stesso definì la conclusione di “un periodo di storia” e venne sciolta la Camera che si era meritata, a seguito delle precedentemente citate riforme eccezionali per instaurare il passaggio dallo Stato autoritario a quello dittatoriale-totalitario, il titolo di “Costituente della Rivoluzione fascista” disse Mussolini il 9 dicembre 1928 nell’ultima seduta: era stata una Camera all’85% fascista; la futura lo sarebbe stata al 100%, una Camera totalitaria di “400 fascisti regolarmente iscritti al partito” disse Mussolini. Essa avrebbe dovuto costituire l’organo attraverso il quale si sarebbe attuata “la collaborazione sul terreno legislativo tra i rappresentanti della nazione e il governo”. E, in effetti, la Camera che uscì dalle elezioni del 24 marzo 1929 fu, per la prima volta, interamente fascista: gli elettori dovevano rispondere sì o no alla semplice lapidaria domanda: “Approvate voi la lista dei Deputati designati dal Gran Consiglio Nazionale del Fascismo?”. Chi rispondeva “no” veniva individuato all’uscita del seggio, essendo la scheda trasparente, e bastonato o sottoposto a violenze.
Tra la fine del 1928 e il 24 marzo del 1929 la Rivoluzione fascista poteva, dunque, ritenersi istituzionalmente e costituzionalmente compiuta: lo Stato demo-liberale-parlamentare era stato definitivamente scardinato.
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