La “wunderkammer” delle meraviglie naturali di Giuliana Cunéaz


Quando la tecnologia finisce nelle mani di un’artista ne possono uscire meraviglie. È il caso di Giuliana Cunéaz che, partendo dall’opera Matter Waves Unseen, in mostra al ManLo – il Museo Archeologico Nazionale della Lomellina – racconta il suo mestiere di artista high tech
Anche la digital art si preoccupa di tenere alta l’attenzione nei confronti della biodiversità, usando con saggezza la tecnologia in modo da lasciare la giusta aurea alla natura.
Come fa Giuliana Cunéaz, esponente di punta della new media art per esempio ha messo all’interno della sua installazione Matter Waves Unseen, una vera e propria wunderkammer o arte delle meraviglie con le piccole sculture di argilla dipinte (circa 30) in madreperla.
Cui fa capolino anche un nido vuoto di vespa vasaia, ritrovato fortuitamente dall’artista. Nell’opera, tra i cassetti è posizionato uno schermo al plasma nel quale scorrono le immagini, realizzate con la tecnica dell’animazione 3D, che mostrano onde di terra che, nel loro flusso, portano alla luce oggetti dalle forme differenti che poi vengono nuovamente inghiottiti in un processo magnetico di apparizione e sparizione.
Questi elementi provenienti dal nanomondo sembrano depositarsi come forme germinali all’interno dei cassetti, in una progressiva interazione che permette di scrutare l’aspetto profondo e misterioso della materia.
L’opera, che è in mostra al ManLo – il MuseoArcheologico Nazionale della Lomellina di Vigevano fino al 15 dicembre – merita una visita. Perché Cunéaz parte dalla tecnologia con estrema naturalezza. Lo afferma lei stessa quando dice in questa intervista concessa a GreenPlanner.
“La tecnologia, per quanto mi riguarda, è un mezzo e penso sia una fortuna poter utilizzare nuove risorse utili ad ampliare la nostra conoscenza. L’impiego di questi strumenti consente un allargamento della visione in campi che prima non erano nemmeno contemplati.
Ho per esempio lavorato molto con la tecnica digitale del 3D creando paesaggi virtuali che prendono spunto da immagini nanomolecolari viste per mezzo di potentissimi microscopi elettronici.
In un grammo di materia si può immaginare siano contenute le forme e le energie dell’universo e questo apre uno scenario estetico nuovo, caratterizzato da una molteplicità di approcci che vanno incontro a un reale spesso solo immaginato dalla nostra coscienza.
Oggi, con la medesima naturalezza, utilizzo l’intelligenza artificiale e la realtà aumentata. Ma lo faccio non con lo scopo di cavalcare le novità, ma nella precisa convinzione che solo attraverso questi mezzi posso raggiungere i risultati che desidero.
La mia ultima serie degli Spiriti Guida ha la capacità di connettere un passato millenario con una tecnologia sofisticata di ultima generazione. Anche nell’ambito della mia installazione La Belle Au Bois dormant la tecnologia è stata determinante per la realizzazione del lavoro: volevo offrire a tutti l’opportunità di visualizzare il proprio sogno sdraiandosi su un letto e per questo avevo la necessità di un’elaborazione algoritmica partendo da un archivio delle mie immagini sviluppato attraverso l’intelligenza artificiale.
Dobbiamo smettere di pensare alla tecnologia come fosse una categoria a sé. È un mezzo a cui si potrà accedere con sempre maggior facilità ma non per questo significa che di per sé stessa possa essere considerata arte.
Del resto, è sempre stato così. Chi non ha a disposizione una matita? Eppure non per questo tutti sono Piranesi. Di fotografie poi se ne fanno milioni ogni giorno, eppure l’arte di Newton, Mapplethorpe o Mimmo Jodice rimane insuperata.
In un mondo che sta cambiando molto rapidamente anche se non sempre in meglio, le tecnologie sono parte integrante delle nostre vite. Dunque, dipende dall’uso che se ne fa: un bravo artista svilupperà un linguaggio proprio, autonomo e originale, mentre chi è interessato solo agli effetti speciali o riproduttivi del mezzo realizzerà lavori banali non andando oltre la gradevolezza immediata“.
Ma non è poi così diffuso il connubio arte e tecnologia…
E difatti, mo stupisce come l’arte rimanga un settore marginalizzato: il digitale è utilizzato con ottimi risultati in tutte le discipline come architettura, design, o cinema, mentre il mondo dell’arte visiva, che teoricamente dovrebbe essere il più innovativo, osserva con profondo sospetto ciò che “non è fatto a mano” senza dare il giusto spazio ai veri artisti che utilizzano mezzi tecnologici relegandoli in manifestazioni laterali o in contenitori specifici come i festival dell’arte digitale.
Come se ci fossero i festival delle opere in bronzo o della pittura acrilica. È piuttosto paradossale e il sistema dell’arte, fortemente condizionato dal mercato, mette al centro il prodotto accettando, senza batter ciglio, la tecnologia solo quando, a prima vista, appare invisibile.
O almeno non si evidenzia in maniera eclatante. La utilizzano Tony Cragg e Antony Gormley; David Hockney e Ron Mueck sino a Michelangelo Pistoletto ma certo non non vengono considerati artisti digitali.
Questo dimostra quanto sia grande il pregiudizio che circonda l’universo tecnologico e quanto questo limite penalizzi le nuove ricerche.
Eppure lei è dagli anni Novanta che percorre questa strada…
Sin dall’ora ho sempre avvertito l’assurdità di questa scissione e ho reagito al pensiero rigido del mondo dell’arte (o buona parte di esso) facendo convivere la componente tecnologica con quella più tradizionale, sia essa pittura o scultura, come emerge dagli screen painting (pittura su schermo) o dai lavori sulle wunderkammer dove l’animazione convive con le sculture in argilla.
Ma sono legate alla pittura o al disegno i digital paintings, così come i digital drawings. Quando creo questi dialoghi non intendo accostare tecniche differenti, ma sviluppo connessioni profonde e fortemente problematiche sullo sviluppo della forma e le origini della creatività.
Il mio atteggiamento è aperto a nuove indagini e a nuove esplorazioni con il preciso obiettivo di realizzare opere che siano aderenti a ciò che immagino con l’uso delle tecniche più opportune, sia esso il 3D, l’intelligenza artificiale o la realtà aumentata.
Tutto ciò purché ci sia una corrispondenza con la mia poetica e la mia coscienza.
Arte e stupore: la mia sensazione è che sia sempre più difficile questo connubio… lei come la pensa?
Penso che l’arte non debba necessariamente stupire. Ci sono opere straordinarie circondate da un’aura di enigma e di mistero che continua ad affascinarci.
La Gioconda di Leonardo è l’esempio più evidente, ma anche Ettore e Andromaca di Giorgio de Chirico od Opera Ubiqua di Gino De Dominicis. Forse è proprio quel fascino, quella forza silenziosa che agisce su di noi e ci conquista, il vero segreto.
Proprio de Chirico era convinto che l’importanza di un’opera d’arte fosse connessa con l’area di silenzio che si crea intorno a essa. Oggi c’è molta confusione e appare sempre più difficile discernere tra l’enorme massa di immagini che ci travolgono quotidianamente provenienti dai diversi media.
Questo genera il desiderio di distinguersi puntando su opere che catturino l’attenzione attraverso la spettacolarità immediata. Ma sono come fuochi d’artificio che dopo il lampo si spengono in un’istante.
Siamo ormai assuefatti da questo genere di trovate e c’è la necessità di tornare a una dimensione artistica più intima e cerebrale che ci permetta di comprendere meglio la dimensione del vivente e la sua estensione con una maggior consapevolezza sulla nostra identità e il nostro destino.
Penso a un’arte che contempli le potenzialità dell’essere umano senza parcellizzazioni o esclusioni in modo da percepirne la complessità in termini di razionalità, emozione, immaginazione, sensorialità ed empatia.
Sono tematiche molto presenti nel mio lavoro sin dal 1998 quando ho realizzato il progetto Il Cervello nella Vasca incentrato sui fenotipi.
Mi riassuma il suo messaggio artistico rispetto a questa nuova mostra.
Sin dal titolo dell’esposizione Wunderkammer Digitale risulta evidente il desiderio di creare un dialogo tra la componente digitale e la camera delle meraviglie, nata tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento quando gli umanisti volevano metaforicamente riunire tutto il sapere del mondo in un unico spazio.
La mia installazione Matter Waves Unseen recupera, anche teoricamente, quel principio. Ho collocato in uno stipo da collezionista quattordici cassetti trasparenti con 50 piccole sculture di argilla e madreperla intese come parte integrante di un processo magmatico e magnetico che coinvolge il video inserito all’interno della struttura.
L’opera digitale, realizzata con la tecnica dell’animazione 3D, mostra onde di terra che nel loro flusso continuo portano alla luce oggetti dalle forme differenti in un rimando diretto con quelli che l’osservatore ritrova nei cassetti.
Si sviluppa dunque un unico processo unitario con lo spettatore al centro che non sa più esattamente cosa sta osservando. Il mondo reale è inglobato in quello digitale e viceversa stabilendo un nuovo ordine delle cose.
Come ha scritto Piero Mezzabotta che ha curato la mostra: “La necessità è quella di creare sinergie tra diversi elementi aggiungendo alla manualità la logica dell’algoritmo per creare una continuità tra il piano dell’indagine fisica e quello virtuale“.
In questo caso poi si crea un ulteriore livello di lettura che nasce dal luogo espositivo il ManLo, Museo Archeologico Nazionale della Lomellina di Vigevano, dove l’opera viene posta in dialogo con l’importante Collezione Strada composta da selezionati oggetti in vetro, metallo e ceramica, prevalentemente di epoca romana.
In questo caso la componente immaginifica e memorialistica dell’archeologia intercetta gli oggetti reali del passato dando vita a un ulteriore slittamento.
Matter Waves Unseen è entrata recentemente a far parte della collezione permanente del Museo nazionale dell’Arte Digitale di Milano e sono particolarmente lieta che sino al 15 dicembre venga esposta al ManLo, un museo prezioso che merita di essere ulteriormente valorizzato.
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