Russia. Ucraina: Trump riduce i tempi e promette sanzioni senza precedenti

di Giuseppe Gagliano –
Dalla sua residenza scozzese di Turnberry, Donald Trump lancia un ultimatum che scuote la scena internazionale. Il presidente degli Stati Uniti ha concesso alla Russia 10 o 12 giorni per compiere “progressi tangibili” verso la fine del conflitto in Ucraina. In caso contrario, scatteranno nuove sanzioni e dazi — non solo contro Mosca, ma anche contro chi continua a fare affari con il Cremlino. Una linea dura che segna la fine della pazienza strategica americana e che spinge la crisi ucraina su un nuovo piano: quello del confronto diretto e della pressione economica trasversale.
Trump, già noto per la retorica muscolare, sembra intenzionato a fare sul serio. Lo dimostrano il tono delle sue dichiarazioni e la decisione di ridurre drasticamente la scadenza iniziale di 50 giorni: “Non vediamo alcun progresso, non ha senso aspettare”, ha dichiarato, facendo capire che il tempo delle mediazioni informali è finito.
Il Cremlino non ha commentato ufficialmente, ma la reazione del vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, Dmitry Medvedev, è stata feroce. Ha definito l’ultimatum americano un “gioco pericoloso” che potrebbe portare a una guerra tra Stati Uniti e Russia. Un’escalation non più confinata al fronte ucraino, ma capace di travolgere l’intero equilibrio globale.
Di tutt’altro segno è stata la reazione ucraina. Il capo di gabinetto Andriy Yermak ha ringraziato Trump per la sua “fermezza” e per aver lanciato un messaggio chiaro. Per Kiev, ogni pressione esterna su Mosca rappresenta un’opportunità per ottenere risultati che non riesce a ottenere sul campo.
Trump ha anche dichiarato di non voler più avviare colloqui diretti con Vladimir Putin. Le minacce sono reali: sanzioni e dazi, anche secondari, contro chi compra energia o prodotti russi. Ma Trump ha precisato di “non volerlo fare alla Russia”, dichiarando amore per il popolo russo. Un messaggio ambiguo, tipico del tycoon, che mescola forza e paternalismo.
Il presidente americano ha sottolineato la sua ambizione di diventare “l’uomo della pace”, vantandosi dei presunti successi diplomatici in Asia e in Africa. Dal conflitto tra India e Pakistan alla crisi tra Ruanda e Congo, Trump vuole proiettarsi come mediatore globale. Ha persino rilanciato la sua proposta di risolvere in un solo giorno la guerra in Ucraina, promessa fatta in campagna elettorale.
Le dichiarazioni più inquietanti arrivano però da Mosca. Il ministro degli Esteri, Sergey Lavrov, ha riconosciuto pubblicamente che la Russia sta combattendo in Ucraina “senza alcun alleato”. È la prima volta che un alto funzionario ammette la solitudine strategica del Cremlino. Durante la Seconda guerra mondiale, la Russia poteva contare su una rete di alleati. Oggi è isolata, economicamente e militarmente.
Lavrov ha anche denunciato la perdita di rispetto degli Stati Uniti: “Durante la Guerra Fredda c’era dialogo e rispetto reciproco. Oggi non c’è più nulla di tutto ciò”. È un’ammissione amara, che conferma la percezione russa di essere accerchiata e delegittimata sul piano internazionale.
Lavrov ha ribadito le condizioni “non negoziabili” per ogni ipotetico accordo di pace: la non adesione dell’Ucraina alla NATO, il riconoscimento dell’annessione della Crimea e l’arresto dell’espansione verso Est dell’Alleanza Atlantica. Pretese che restano inaccettabili per Kiev e per l’Occidente, e che rendono difficile qualsiasi via diplomatica.
Il ministro ha però aperto uno spiraglio: “La Russia è aperta ai colloqui con l’Occidente”, ha affermato, anche se ha accusato Emmanuel Macron di doppiezza, parlando in privato una lingua diversa da quella dei comunicati ufficiali. Accuse che, se confermate, metterebbero in discussione la sincerità delle iniziative francesi di mediazione.
Lavrov ha concluso con un’osservazione significativa: “Trump è pragmatico. Non vuole la guerra”. Un’affermazione che riflette la preferenza russa per un interlocutore imprevedibile ma flessibile come Trump rispetto ai leader europei e al presidente Biden, giudicati rigidi e ostili.
Dietro l’elogio a Trump si cela il desiderio del Cremlino di tornare a un negoziato bilaterale, magari sganciato dalle posizioni comuni europee. Ma l’ultimatum di Trump, se davvero porterà a nuove sanzioni, potrebbe spegnere anche quest’ultima illusione.
La crisi russo-ucraina entra così in una nuova fase. La diplomazia sembra ridotta a uno scambio di minacce e messaggi indiretti. Trump gioca la carta dell’imposizione economica, Mosca quella dell’orgoglio nazionale. In mezzo, l’Europa resta priva di voce e di peso, oscillando tra il sostegno a Kiev e il timore di un’escalation.
La pace, come sempre, resta un orizzonte lontano. E la politica internazionale, ancora una volta, appare più interessata a mostrare muscoli che a salvare vite.
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