Vestirsi per proteggersi dal sole: cos’è l’abbigliamento anti UV e come cambia la moda

La protezione solare, ora, si indossa. Quando non bastano le creme con SPF (che andrebbero applicate ogni volta che ci si espone al sole, estate o inverno) i nostri vestiti possono aiutarci a proteggerci: parliamo dell’abbigliamento anti UV, che negli ultimi anni è diventato sempre più popolare e richiesto. Più che un semplice trend, un segno dei tempi: la moda inizia a fare i conti con il cambiamento climatico, con estati sempre più lunghe e temperature sempre più elevate.

I vestiti possono proteggerci dal sole?
Quando le mamme dicevano di mettere un cappello o una maglietta sotto al sole, avevano ragione. I vestiti sono la prima, ovvia, linea di difesa tra il corpo e i raggi solari, anche se non possono sostituire la protezione SPF. Alcuni indumenti, però, possono aiutarci a prevenire i danni solari grazi alla loro trama (più è fitta, meno raggi passano) al colore e alla vestibilità (più è largo e coprente, meno la pelle si surriscalderà al sole). I colori scuri, poi, assorbono più raggi UV (e infatti tengono più caldo rispetto ai colori chiari).

Le estati sono sempre più calde e lunghe, e la moda si adegua (Launchmetrics)
Cos’è l’abbigliamento anti UV e come funziona
La teoria, fin qui, la conosciamo tutti. C’è poi la pratica: l’esigenza di avere abiti freschi, traspiranti, piacevoli al tatto e leggeri sulla pelle, oltre che protettivi. Nasce così l’abbigliamento anti-UV, costituito da capi progettati specificamente per proteggere la pelle dai danni causati dai raggi ultravioletti del sole, ossia dai raggi UVA e UVB grazie a tessuti che bloccano o assorbono i raggi UV più efficaci dei vestiti comuni.
L’abbigliamento anti UV è usato soprattutto in ambito sportivo, per proteggere gli atleti nelle lunghe ore sotto al sole in modo più efficace della crema solare. Pensiamo a ciclisti, maratoneti, a chi va in barca a vela o pratica escursionismo: il sudore tende a far scivolare via la crema, che andrebbe riapplicata ogni due ore. Per questo marchi specializzati in abbigliamento outdoor come Patagonia, The North Face, Adidas, Nike e Decathlon hanno creato le loro linee di giacche a vento, cappelli e t-shirt ultratraspiranti che proteggono dai raggi UV.
L’abbigliamento anti UV si è poi progressivamente allargato al guardaroba della vita quotidiana grazie a catene popolari come il giapponese Uniqlo, che ha una sua linea dedicata a prezzi accessibili. In Oriente, infatti, la difesa dal sole è un tema molto sentito sia per ragioni di salute che culturali: la pelle diafana è uno standard di bellezza molto ambito, mentre noi al contrario inseguiamo l’abbronzatura.

I vestiti sono la prima barriera tra noi e il sole: colori e tessuti fanno la differenza (Launchmetrics)
Come riconoscere la protezione più efficace dagli UV
Esattamente come per la crema solare, anche l’abbigliamento anti UV ha un suo indice: l’UPF (Ultraviolet Protection Factor) che misura la quantità di radiazioni UV che possono penetrare nel tessuto e raggiungere la pelle. Il fattore di protezione solare, o SPF, invece si basa sul tempo impiegato dalla pelle esposta ai raggi UV per arrossarsi. Entrambi hanno un valore numerico (30,40,50) che indica il libello di protezione: per esempio, un tessuto UPF 50 blocca il 98% dei raggi del sole, riducendo il rischio di scottature ed eritemi.
Ma come ogni buon dermatologo sa, la miglior protezione è quella integrata: crema, occhiali da sole e abbigliamento lavorano in sinergia per proteggere la pelle nelle situazioni più rischiose, quando è difficile trovare riparo all’ombra. In un futuro non troppo lontano, potremmo abituarci guardare il fattore UPF nelle etichette dei vestiti che compriamo, specialmente nell’abbigliamento per neonati e bambini.
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