Caso di Garlasco, il gioco della giustizia: senza certezza delle prove non è giustificata una pena
Bob Dylan, nella canzone Hurricane, diceva di vergognarsi di vivere in un paese dove la giustizia è un gioco, se un uomo innocente veniva condannato senza alcun indizio, per il solo colore della sua pelle. In Italia, la vicenda di Garlasco, restituisce un caso altrettanto aleatorio, ma che si pone in termini diversi rispetto alla vicenda di Rubin Hurricane Carter. Sul piano sociologico, non si può non concordare con chi ha già affermato che lo scandalo della vicenda di Garlasco sia costituito dal suo essere un delitto “normale”. Non sono coinvolte figure liminari o marginali, né lo scenario è di tipo periferico. Si tratta di una vicenda tragica, sviluppatasi nella Padania felix, cuore produttivo del Paese, come ci ripetono. All’interno di un contesto di medio-alta borghesia, dove il presunto colpevole è addirittura un bocconiano. Niente mostri, dunque, laddove questa categoria tira in ballo migranti, rom, rifugiati, meridionali, e, ultimamente, attivisti propal.
E’ il contesto sociale in cui si è svolta la vicenda a fare da traino allo sviluppo della vicenda giudiziaria, e a spingere forte per la riapertura del caso. Da un lato Alberto Stasi è stato condannato dopo essere stato assolto nei precedenti gradi di giudizio. La Cassazione, annullando le sentenze di assoluzione, aveva precisato che non si potevano stabilire con certezza né la colpevolezza né l’innocenza dell’imputato. Il nuovo processo lo ha condannato, dopo nove anni di odissea giudiziaria, escludendo la possibilità di ammettere nel nuovo dibattimento i testimoni a suo favore. Aggiungiamo che la condanna non si basa su alcun riscontro empirico certo. Stasi è stato condannato perché porta lo stesso numero di scarpe del presunto assassino e perché, essendo il fidanzato della vittima, sarebbe entrato senza bisogno di commettere effrazioni. In altre parole, è stato condannato per quello stesso meccanismo di coerenze logiche, retaggio del sistema giudiziario inquisitorio, per cui gli imputati si devono difendere dalle accuse mossegli e le prove non si formano in dibattimento. Lo stesso meccanismo per cui Cosima Serrano e Sabrina Misseri, giudicate colpevoli dell’omicidio di Sarah Scazzi, scontano un ergastolo senza che sia mai emersa una sola prova a loro carico. Anche nel caso di Alberto Stasi non esiste alcun elemento probatorio tale da potergli attribuire la responsabilità dell’omicidio della sua fidanzata. A questo si aggiunge il girotondo di prove rifiutate e ammesse, di testimoni la cui attendibilità viene valutata in modo soggettivo, di perizie che si confermano e si smentiscono continuamente. Quale credibilità assume agli occhi del pubblico un sistema giudiziario che funziona in questo modo?
I giustizialisti sono soliti appellarsi alla certezza della pena di cui parlava Cesare Beccaria. Il quale, però, come ci si dimentica o si omette regolarmente, specificava che la pena, per essere certa, deve essere fondata su elementi probatori altrettanto solidi e inconfutabili. Nel caso di Garlasco, come nel caso di Avetrana, ci troviamo esattamente su latitudini opposte alla certezza delle prove che rendono giustificata una pena. Solo che, nell’Italia che sventola le manette ai comizi elettorali, trovare un colpevole purchessia conta di più di accertare la verità e dare giustizia alla vittima. Dall’altro lato, la vicenda di Garlasco, ci rivela uno scenario altrettanto preoccupante. Il caso è stato riaperto sulla spinta di una trasmissione televisiva che fa dell’ostentazione di sangue e altre sostanze organiche la sua ragione di essere. Che vede in una direzione. Per cui ha sostenuto la battaglia (giusta, intendiamoci) per riportare in Italia Chico Forti, ma sorvola sul funzionamento della macchina giudiziaria del penale quotidiano. Che si batte per riaprire il caso di Garlasco, ma non pensa a quello di Avetrana. E’ preoccupante che i tempi della giustizia, in Italia, li detti la macchina mediatica, sulla base delle rappresentazioni di innocenti e colpevoli a misura di audience. Maschio, settentrionale, bocconiano, imprenditore, innocente. Donne, meridionali, contadine, colpevoli. Aggiornando Bob Dylan: mi vergogno di vivere in un paese dove la giustizia è uno show.
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