“Financial Times”: l’uso dei beni russi congelati potrebbe avere un impatto sull’euro
Il piano della Commissione europea che prevede l’utilizzo dei beni sovrani russi congelati come garanzia di un prestito di sino a 210 miliardi di euro da destinare all’Ucraina sta aprendo un fronte di interrogativi non solo politici e giuridici, ma anche sul ruolo internazionale dell’euro. Come riporta il quotidiano britannico “Financial Times”, Bruxelles propone un “prestito di riparazione” legato alle risorse della Banca centrale russa depositate in larga parte presso l’ente finanziario belga Euroclear. L’Unione prenderebbe in prestito fondi da questi asset e li girerebbe a Kiev a tasso zero, con l’obbligo per l’Ucraina di effettuare un quando Mosca avrà pagato le riparazioni di guerra, utilizzando proprio quei beni come garanzia. La Commissione insiste sul fatto che non si tratterebbe di una confisca, perché la Russia manterrebbe un diritto di credito sui valori bloccati, e punta a prorogare a tempo indeterminato il regime sanzionatorio per impedirne il rimpatrio prima del pagamento delle riparazioni. Gestori di fondi e analisti avvertono tuttavia che l’operazione potrebbe aumentare la percezione di rischio politico sugli asset in euro. Alcuni temono un indebolimento dello status della moneta unica come “porto sicuro” e valuta di riserva, con possibili richieste di un “premio geopolitico” più elevato per detenere titoli denominati in euro. Il paragone che viene tracciato è con il dollaro: l’uso estensivo delle sanzioni statunitensi e le politiche dell’amministrazione statunitense guidata da Donald Trump avevano già spinto diverse banche centrali a diversificare, aumentando per esempio le riserve in oro.
Merz: “Verso una soluzione concordata con il Belgio e la Commissione Ue sui beni russi congelati”
Sul piano istituzionale, la Banca centrale europea mantiene un atteggiamento prudente. Una prima versione del progetto prevedeva che l’Eurotower fungesse di fatto da rete di sicurezza per Euroclear in caso di contenziosi con la Russia: ipotesi respinta perché in conflitto con il divieto di finanziamento monetario ai governi. Anche nella versione rivista, senza un ruolo operativo diretto, la presidente Christine Lagarde ha avvertito che la proposta “spinge al limite” il diritto internazionale e potrebbe incidere sulla reputazione dell’Europa come area ad alto rispetto dello stato di diritto. Nonostante le cautele della Bce e le forti riserve iniziali di Paesi come la Francia, nelle principali capitali dell’eurozona il fronte contrario si è progressivamente assottigliato con il protrarsi della guerra. Secondo diplomatici europei, tre fattori hanno favorito il cambio di linea: una campagna di rassicurazione verso i grandi investitori extra Ue sul carattere “eccezionale” del caso russo; l’argomento giuridico secondo cui, non essendoci un sequestro definitivo, sarebbe preservata la tutela della proprietà; e la constatazione politica che, con i bilanci nazionali già sotto pressione, non esistono alternative realistiche per mobilitare rapidamente risorse sufficienti a sostenere l’Ucraina nel 2026-27. Emblematica la posizione della Germania: dopo mesi di prudenza, il cancelliere Friedrich Merz è diventato uno dei principali sponsor del “prestito di riparazione”, sottolineando che i fondi derivanti dagli attivi russi congelati “devono arrivare all’Ucraina” e che a livello europeo “non ci sono divergenze di fondo” sull’obiettivo di usare tali risorse per sostenere Kiev.
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