Generali Investments: “Il rischio dazi non è accantonato, ci sono ancora incertezze”

Maggio 30, 2025 - 04:30
 0
Generali Investments: “Il rischio dazi non è accantonato, ci sono ancora incertezze”

Sono passati quasi due mesi dal cosiddetto “Liberation day”, e nonostante la ripresa dei mercati, ci sono ancora molte incertezze all’orizzonte. Il rischio dazi non è accantonato. È vero che probabilmente gli accordi finali vedranno tariffe più basse rispetto a quelle presentate il 2 aprile, ma con ogni probabilità i livelli saranno ben più alti rispetto a quelli in vigore prima della nuova presidenza Trump. È quanto emerge da un’analisi di Filippo Casagrande, head of investments di Generali Investments. Finora i principali accordi firmati riguardano accordi di investimenti da parte dei paesi della penisola arabica e il Regno Unito (un paese in deficit commerciale rispetto agli Usa), che vedrà applicati dazi del dieci per cento su molti prodotti (auto escluse), un peggioramento rispetto alla situazione pre-Trump. Per quanto riguarda Cina e Unione europea, le trattative rimangono difficili e un accordo definitivo sembra ancora lontano. L’impatto su crescita e inflazione non è ancora chiaro. Al momento, c’è stato un deciso deterioramento delle stime di crescita per gli Stati Uniti per quest’anno e le aspettative di inflazione per i prossimi 12 mesi sono salite in misura decisa negli ultimi mesi. A pesare, ancora una volta, è l’incertezza sui dazi. La salute delle finanze pubbliche statunitensi. L’agenzia Moody’s ha tagliato il rating degli Stati Uniti, portandolo da tripla A ad Aa1 (l’equivalente di Aa+). I mercati stanno da tempo prezzando un peggioramento delle dinamiche fiscali statunitensi e le elevate necessità di finanziamento causano volatilità sulle obbligazioni del Tesoro Usa, nonché sul dollaro. La poca prevedibilità delle politiche oltreoceano sembra favorire il mercato europeo. Ossia, pur non priva di problemi strutturali (bassa crescita, dipendenza energetica, conflitto Russia-Ucraina), l’Eurozona gode in questo momento di una congiuntura ragionevolmente favorevole, grazie alla prospettiva di politiche fiscali più espansive in Germania, una migliore dinamica di crescita in quella che una volta era la periferia, livelli di rischio sovrano contenuti (e su tutti citiamo lo spread Btp-Bund sceso a quota cento punti base) e prezzi dell’energia a livelli bassi se confrontati con quelli degli ultimi anni.

I dati sul Pil del primo trimestre registrano una contrazione dello 0,3 per cento su base trimestrale (tasso annualizzato), la prima contrazione in tre anni. La crescita su base annua ha quindi rallentato al +2 per cento dal precedente +2,5 per cento. A determinare il calo su base trimestrale due fenomeni: da un lato, il forte aumento delle importazioni per anticipare i rincari dovuti ai dazi; dall’altro, la contrazione della spesa governativa, il primo calo dopo tre anni di espansione senza sosta. Nell’Eurozona le cose sembrano andare meglio: il Pil nel primo trimestre ha segnato un +0,3 per cento su base trimestrale, con la crescita annua stabile al +1,2 per cento. A guidare la crescita è ancora una volta la Spagna (+0,6 per cento trimestrale e +2,8 per cento annuo), mentre gli altri big mostrano tassi più contenuti: Italia +0,3 per cento trimestrale e +0,6 per cento annuo, Francia +0,1 per cento trimestrale e +0,8 per cento annuo e Germania +0,2 per cento trimestrale, ma ancora in lieve contrazione su base annua (-0,2 per cento). Come già detto, le stime degli analisti si sono mosse decisamente al ribasso. La crescita media reale negli Stati Uniti è ora prevista al +1,4 per cento nel 2025 (-5 decimi rispetto un mese fa) e +1,5 per cento nel 2026 (-4 decimi). Lieve calo anche per l’Eurozona, un decimo in meno sia per il 2025 (ora a +0,8 per cento) sia per il 2026 (ora a +1,1 per cento). Guardando ai dati a più alta frequenza, negli Stati Uniti le sorprese macroeconomiche rimangono in territorio leggermente negativo. L’indice Ism Manufacturing è sceso da 49,0 a 48,7 ad aprile, mentre l’indice dei Servizi recupera leggermente (da 50,8 a 51,6) dopo il forte calo del mese scorso. Si tratta di numeri compatibili con una crescita sotto il potenziale, ma ancora ben lontani dal prezzare un’eventuale recessione. Il mercato del lavoro ha visto 177mila nuovi posti creati ad aprile, sopra le attese, mentre il tasso di disoccupazione rimane stabile al 4,2 per cento. Peggiora la fiducia delle imprese del settore immobiliare (ai minimi da novembre 2023) e quella dei consumatori, vicina ai minimi storici, con la coorte di elettori democratici fortemente preoccupata di una spirale al rialzo dell’inflazione. Guardando all’Eurozona, l’indice Pmi Manufacturing segna un lieve miglioramento (da 48,6 a 49,0), mentre segna una battuta di arresto il settore dei Servizi (da 51,0 a 50,1). Come per gli Stati Uniti, siamo a livelli coerenti con una crescita debole, ma le imprese sembrano non vedere al momento un rischio recessione. Per quanto riguarda i consumatori, la disoccupazione resta ai minimi storici (al 6,2% a marzo) e le vendite al dettaglio rimangono in territorio positivo, anche aiutate dal calo dei prezzi del petrolio.

L’attenzione dei tutti in queste settimane era sull’impatto dei dazi sui numeri dell’inflazione negli Stati Uniti. Tuttavia, per ora quello che si vede è poco e niente. È infatti ancora troppo presto, vista anche la corsa degli importatori ad anticipare gli acquisti prima dell’entrata in vigore delle tariffe. In aggiunta, eventuali pressioni al rialzo sono state più che compensate dalla discesa dei prezzi dell’energia, con il petrolio sceso fino sotto i 60 dollari al barile, il valore più basso da inizio 2021. Negli Stati Uniti, i dati pubblicati per il mese di aprile mostrano un ulteriore lieve rallentamento dell’inflazione complessiva, scesa al +2,3 per cento su base annua, grazie ai prezzi dell’energia in calo (-3,7 per cento) e al rallentamento anche della componente degli alimentari. L’inflazione core rimane ferma al +2,8 per cento, mentre la componente dei servizi core non volatili, che teniamo sotto osservazione attentamente per valutare la persistenza dell’inflazione, è scesa leggermente, arrivando al +3,8 per cento, un valore ancora piuttosto elevato, ma in graduale calo da diversi trimestri. Nell’Eurozona, le stime preliminari per il mese di aprile mostrano un tasso di inflazione complessiva al +2,2 per cento su base annua, invariato rispetto a marzo. L’inflazione core, per contro, riaccelera e arriva a quota +2,7 per cento dal precedente +2,4 per cento, con quella dei servizi che torna al +3,9 per cento, dopo il +3,4 per cento visto in marzo. Come avevamo spiegato durante lo scorso webinar, i numeri di marzo erano stati distorti al ribasso dal ritardo delle festività pasquali (ad aprile quest’anno, in marzo nel 2024) e ora torniamo a vedere numeri più alti. Sembra ad ogni modo lecito attendersi un lieve calo dell’inflazione core e dei servizi a partire dal prossimo mese, sebbene rimaniamo su livelli storicamente ancora piuttosto elevati. Guardando alle stime degli analisti, i timori sui dazi hanno spinto al rialzo le stime per gli Stati Uniti. L’inflazione attesa per il 2025 è ora al 3,2 per cento (due decimi in più rispetto ad un mese fa), mentre nel 2026 gli analisti si aspettano un tasso medio del +2,8 per cento (un decimo in più). Al contrario, per l’Eurozona le stime rimangono invariate o in marginale calo (+2,1 per cento nel 2025 e +1,9 per cento nel 2026). Come detto in precedenza, ad aiutare la situazione in Eurozona c’è specialmente il calo dei prezzi dell’energia. Guardando in avanti, continuiamo a vedere una persistenza dell’inflazione dei servizi a livelli elevati. Come più volte ricordato, è difficile vedere un calo significativo di questa componente in assenza di un deterioramento marcato del mercato del lavoro. Se negli Stati Uniti abbiamo visto un lieve rialzo della disoccupazione, in Eurozona siamo ancora ai minimi storici e questo continuerà a sostenere le richieste salariali e conseguentemente l’inflazione dei servizi. Per quanto riguarda l’impatto dei dazi, al momento regna l’incertezza. Potrebbero volerci ancora alcuni mesi prima di vedere un impatto concreto sui numeri dell’inflazione dei beni alla produzione prima, e sui prezzi al consumo dopo. Di certo, sappiamo che i bassi livelli del petrolio e dell’energia sono un fattore chiave per contenere le pressioni al rialzo e questo dà tempo alle banche centrali (Fed in primis) per valutare con più calma l’evolversi della situazione sui prezzi.

Continua il doppio binario: da un lato la Fed attendista, tra rischi al ribasso sulla crescita ma incertezze sul possibile impatto al rialzo dei dazi sull’inflazione. Dall’altro, la Banca centrale europea (Bce), che continua il suo ciclo di tagli, confidente in un rientro sostenibile dell’inflazione verso il due per cento. La Bce ha tagliato i tassi di politica monetaria di 25 punti base nel meeting del 17 aprile, portando il tasso sui depositi al 2,25%. Si tratta del settimo taglio nell’ultimo anno. La Bce valuta come disinflattivi i dazi nel breve termine: l’impatto negativo sull’attività economica, il calo del prezzo del petrolio e il rafforzamento dell’euro negli ultimi mesi possono infatti spingere al ribasso l’inflazione nel breve termine. Dal nostro punto di vista, va però tenuto conto della persistenza dell’inflazione dei servizi, a livelli ancora molto elevati e con pochi progressi nell’ultimo anno e mezzo. Per quanto riguarda la Fed, oltre all’incertezza su come bilanciare i rischi al ribasso sulla crescita e quelli al rialzo sull’inflazione a causa dei dazi, Powell deve anche gestire le pressioni del presidente Trump, che vorrebbe tassi molto più bassi a sostegno dell’attività economica. Powell ha però rimarcato come al momento non ci siano ancora segnali univoci di un rallentamento economico, considerata anche l’eccezionalità di alcune voci che hanno portato alla contrazione del Pil nel primo trimestre. Di conseguenza, non sorprende come la Fed abbia deciso di confermare il corridoio dei tassi di riferimento al 4,25 per cento – 4,50 per cento nel meeting del 7 maggio. Le aspettative di mercato sui tassi di Fed e Bce per i prossimi trimestri si sono principalmente mosse in ragione del flusso di notizie sui dazi, e quindi dopo un primo movimento al ribasso, negli ultimi giorni le stime per i tassi a fine 2025 sono tornate a muoversi verso l’alto, specie negli Stati Uniti. Gli investitori ora vedono la Fed effettuare due tagli entro fine 2025, ma eravamo arrivati a quattro tagli solo tre settimane fa.  Per quanto riguarda la Bce, il mercato vede ancora due tagli entro fine 2025 (quindi un tasso sui depositi all’1,75 per cento), ma era arrivato prima a prezzarne un terzo, con un tasso sui depositi in area 1,50 per cento. Nel mondo obbligazionario siamo aperti a posizionamenti costruttivi, in particolare sul comparto in euro. Con i tassi reali vicini ai potenziali di crescita, i bond governativi core offrono una remunerazione adeguata del rischio ed eventuali rialzi dei tassi Bund rappresentano occasioni di accumulo. Sui tassi Bund tedeschi, consideriamo l’area tra 2,4 per cento – 2.5 per cento come punto di neutralità. Un rialzo in area 2,7-2,8 per cento rappresenta un’opportunità di aumento della duration di portafoglio. Rimaniamo costruttivi sui Btp italiani, con lo spread in consolidamento attorno all’area cento punti base, ai minimi da settembre 2021. Sui tassi americani, l’atteggiamento è più prudente. Se l’area 4,3 per cento – 4,4 per cento può essere considerata come un’area di equilibrio, le incertezze sull’impatto dei dazi e sulla politica fiscale Usa possono portare a movimenti marcati e rialzi dei tassi vanno valutati con attenzione prima di essere considerati come chiare opportunità di investimento. Nel comparto del credito, rimaniamo moderatamente costruttivi. Gli spread, pur già in riduzione rispetto ai picchi di inizio aprile, rimangono sopra i minimi dell’anno e offrono opportunità di investimento. Continuiamo a privilegiare la qualità, con un’attenta azione di selezione, anche per evitare i titoli maggiormente esposti ai rischi dazi, e preferiamo titoli con una duration medio-bassa, preferendo i titoli governativi europei (Bund o Btp) per esposizioni duration più lunghe. Il mercato High Yield europeo rimane una fonte interessante di rendimento con una bassa esposizione duration, pur consapevoli dei rischi in caso di deterioramento del quadro macroeconomico. Sul comparto azionario, confermiamo un atteggiamento complessivamente prudente soprattutto in Usa. Come detto, rimangono varie incertezze sul tema dazi e sul piano della crescita e del finanziamento del deficit. Il forte rally delle ultime settimane ha riportato i mercati vicini ai massimi storici e le valutazioni sono tornate a livelli storicamente elevati negli Stati Uniti. In questo contesto, preferiamo concentrarci su alcuni temi strutturali, come il comparto dei finanziari (elevata profittabilità), e/o i gold miners e i titoli della difesa europea (programmi pluriennali di investimenti pubblici).

Leggi anche altre notizie su Nova News

Clicca qui e ricevi gli aggiornamenti su WhatsApp

Seguici sui canali social di Nova News su Twitter, LinkedIn, Instagram, Telegram

L'articolo Generali Investments: “Il rischio dazi non è accantonato, ci sono ancora incertezze” proviene da Agenzia Nova.

Qual è la tua reazione?

Mi piace Mi piace 0
Antipatico Antipatico 0
Lo amo Lo amo 0
Comico Comico 0
Furioso Furioso 0
Triste Triste 0
Wow Wow 0
Redazione Eventi e News Redazione Eventi e News in Italia