Il declino geopolitico della Russia nell’ex spazio post-sovietico

Agosto 2, 2025 - 18:30
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Il declino geopolitico della Russia nell’ex spazio post-sovietico

Da tre anni la resistenza ucraina contro la scellerata invasione russa dimostra al mondo che gli ex Stati dell’Unione Sovietica non sono condannati a restare per sempre vassalli di Mosca. È una lezione geopolitica scritta nel sangue, ma che ha prodotto un effetto duraturo: ha incrinato la certezza, a lungo data per scontata, che la Russia avrebbe continuato a esercitare un diritto naturale su ciò che un tempo è stato suo, per qualche secolo. La guerra ha rivelato al mondo che il potere russo, privato della sua forza coercitiva e logorato dal discredito internazionale, può essere ridotto, o almeno aggirato.

Non è solo Kyjiv a ribellarsi all’ordine imposto: nel triangolo Yerevan, Astana, e Chişinău, e attraverso i corridoi delle nuove alleanze energetiche e militari che attraversano il Caucaso e l’Asia Centrale, si sta consumando una lenta ma profonda emancipazione dal Cremlino. Come spiega un’approfondita analisi pubblicata da Foreign Affairs, la Russia sta perdendo la presa sul proprio estero vicino non per una volontà esterna di accerchiamento, ma per una combinazione di logoramento strategico e scelte autonome da parte delle ex repubbliche sovietiche. 

La Russia ha infatti ritirato uomini e mezzi dalle sue basi in Asia Centrale e nel Caucaso per sostenere l’invasione dell’Ucraina, lasciando vuoti che nessuno ha avuto interesse a colmare con nostalgia. La vecchia strategia del divide et impera, fomentando guerre ibride per poi presentarsi come arbitro, è saltata. La mediazione russa non è più percepita come indispensabile. Al suo posto si impongono nuove rotte e alleanze: infrastrutture transcaspiche, accordi energetici con l’Europa, forniture militari dalla Turchia e dall’India, cooperazione tecnica e industriale con Pechino.

Il Corridoio Trans-Caspio, una rete ferroviaria e logistica che collega la Cina all’Europa passando per Kazakistan, Azerbaigian e Georgia, ha visto una crescita esponenziale dei volumi commerciali: il numero di treni container cinesi transitanti è aumentato di trentatré volte tra il 2023 e il 2024, a seguito del collasso del traffico che attraversa la rotta settentrionale russa. Dopo le interferenze di Mosca sui flussi petroliferi kazaki nel 2022 e 2023, un chiaro tentativo di punire la neutralità di Astana sull’Ucraina, il Kazakistan ha accelerato l’uso dell’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan per le esportazioni verso l’Europa.

Uno degli esempi più emblematici del vuoto lasciato da Mosca è stato il conflitto al confine tra Kirghizistan e Tagikistan. Per decenni, le tensioni nel bacino del Fergana erano state tenute sotto controllo proprio grazie alla presenza, o alla minaccia implicita, dell’intervento russo. Ma nel 2022, con l’attenzione militare concentrata sull’Ucraina, lo scontro è degenerato: oltre cento morti, migliaia di sfollati. Eppure, proprio l’assenza russa ha permesso una svolta. I due paesi hanno negoziato direttamente una soluzione, firmando un accordo di delimitazione dei confini all’inizio del 2025. A marzo, i leader di Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan si sono incontrati a Khujand per consolidare la cooperazione regionale. Senza mediatori stranieri. E soprattutto senza Putin.

Contemporaneamente, la Turchia ha assunto un ruolo sempre più attivo nell’area, trasformando l’Organizzazione degli Stati Turchi da piattaforma culturale a strumento di proiezione geoeconomica. Con il sostegno di Ankara, l’Azerbaigian ha riformato radicalmente le proprie forze armate e inflitto due sconfitte decisive all’Armenia, nel 2020 e nel 2023. Quei successi hanno fatto scuola. Dimostrano che anche eserciti costruiti su modelli sovietici possono essere ristrutturati secondo standard Nato e risultare vincenti. Il messaggio è stato recepito da altri paesi turcofoni dell’Asia Centrale, che oggi guardano alla Turchia non solo come partner tecnico, ma come alternativa strategica all’egemonia russa.

Per rimediare a questa lenta disgregazione, da tempo la Russia ha adottato una strategia d’influenza più sottile ma non meno pervasiva. La illustra una originale analisi dell’Iris (Institut de relations internationales et stratégiques), firmata da Lukas Aubin. Georgia e Moldova sono diventate laboratori di questa pressione indiretta. Elezioni segnate da accuse documentate di frodi a favore di partiti filorussi, campagne di disinformazione coordinate, manipolazione dell’opinione pubblica attraverso media come RT e Sputnik, sostegno finanziario occulto a movimenti religiosi e ultra-conservatori: l’obiettivo è chiaro, delegittimare le forze pro-europee e rilanciare un’idea di ordine tradizionale che trova consensi trasversali, soprattutto nelle aree più periferiche o marginalizzate.

Come nota Aubin, la Russia ha rafforzato una rete di influenza che va dalla promozione della lingua e della cultura russe presso le minoranze russofone, al mantenimento di truppe in territori separatisti come Abkhazia, Ossezia del Sud e Transnistria. Mosca sfrutta leve energetiche e cyberattacchi per condizionare i governi locali e indebolirne le ambizioni euro-atlantiche. La politica del ricatto non è scomparsa: si è solo decentralizzata.

Sarebbe anche sciocco pensare che le ex repubbliche sovietiche possano totalmente rendersi indipendenti dalla sfera russa, da un giorno all’altro. Questi Stati adottano al momento una logica di bilanciamento: rifiutano la subordinazione unilaterale alla Russia, ma evitano l’allineamento totale con l’Occidente. Il Kazakistan, pur ampliando i canali energetici verso l’Occidente, ha affidato a Rosatom la costruzione della sua prima centrale nucleare. Mosca, inoltre, collabora con Teheran e Baku al progetto del Corridoio Nord-Sud, una rete logistica che collegherà la Russia all’Oceano Indiano, bypassando i paesi occidentali. 

La crisi russa nello spazio post-sovietico non è tanto un tracollo come nel 1991, ma è una fase di riadattamento, di transizione da un’autorità esplicita a un controllo tentacolare, opaco e ibrido. Ma l’efficacia di questa nuova postura è incerta. Mentre la Russia si reinventa come attore anti-occidentale sullo scenario globale, nella sua ex periferia storica si moltiplicano i segnali di autonomia reale: è già qualcosa. 

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Redazione Redazione Eventi e News