Il Ponte sullo Stretto ha già moltiplicato i problemi del governo

Nei piani del governo, il Ponte sullo Stretto costerà agli automobilisti appena nove euro per un viaggio di andata e ritorno tra Calabria e Sicilia. Sarebbe circa l’ottanta per cento in meno rispetto ai costi attuali del traghettamento. Eppure, fa notare Giuseppe Colombo su Repubblica, confrontando le tariffe con altri grandi collegamenti europei, il quadro si ridimensiona: attraversare il ponte costerà 2,6 euro al chilometro, ben più degli 1,4 euro richiesti per percorrere l’Eurotunnel tra Francia e Regno Unito, giusto per fare un esempio.
Sul fronte delle finanze pubbliche, il ponte dovrà autofinanziarsi con i pedaggi. Ma per raggiungere il pareggio economico serviranno circa trent’anni. I ricavi attesi copriranno il costo dell’opera solo nel 2062 – l’opera sarà completata nel 2032 almeno. E nel frattempo, peseranno anche 1,6 miliardi di euro in spese di manutenzione straordinaria previste tra il 2034 e il 2060.
Le promesse di efficienza e sostenibilità economica si scontrano però con una lunga serie di incognite tecniche, giuridiche e ambientali. A fare il punto è un documento interno del Dipartimento per la programmazione economica di Palazzo Chigi.
Il primo ostacolo istituzionale, riporta Repubblica, è la Corte dei conti. Senza la registrazione della delibera da parte dei magistrati contabili, l’iter non può proseguire. Il testo sarà valutato da due sezioni di controllo e, in caso di disaccordo, sarà la sede riunita a decidere. Solo con la validazione della Corte il provvedimento diventerà operativo e potrà essere pubblicato in Gazzetta ufficiale. Ma i giudici potrebbero anche sollevare rilievi o, nella peggiore delle ipotesi per l’esecutivo, bloccare il procedimento.
Ci sono poi i nodi ambientali. Il progetto esecutivo del Ponte non è ancora pronto: secondo le previsioni dovrà essere completato entro quattrocentosettanta giorni dall’entrata in vigore della delibera Cipess. Ma prima di vedere la luce dovrà rispondere a sessantadue rilievi sollevati dalla commissione tecnica del ministero dell’Ambiente. Clima, qualità dell’aria, rumore, vibrazioni e impatto sull’ambiente marino: le prescrizioni sono numerose e ancora in gran parte disattese.
Un ulteriore nodo riguarda le aree naturali compromesse dalla costruzione, che secondo i tecnici non potranno essere del tutto ripristinate: c’è il rischio di violare la direttiva europea sulla conservazione degli habitat. Il governo sostiene che basteranno le misure compensative già comunicate alla Commissione europea. Ma secondo alcune fonti dell’esecutivo citate da Repubblica, un pronunciamento ufficiale da parte dell’Unione non è escluso.
In attesa del progetto definitivo, la delibera Cipess ha già attivato il cosiddetto “programma anticipato delle opere”. «Potranno, quindi, partire gli espropri e l’acquisizione di aree e fabbricati, oltre alle indagini archeologiche e alle opere di compensazione ambientale», scrive Repubblica. «L’incognita è legata ai ricorsi sugli espropri».
La delibera riattiva inoltre il contratto tra la società Stretto di Messina e il consorzio Eurolink, guidato da Webuild. Nell’accordo aggiornato compare una clausola significativa: se i lavori si dovessero bloccare, scatteranno penali a carico dello Stato. Inizialmente si era parlato di 1,5 miliardi di euro, ma la società chiarisce che l’importo effettivo dovrebbe essere circa la metà. Calcolando le penali sul valore del contratto (dieci miliardi) e non su quello complessivo dell’opera (13,5), la cifra finale si aggirerebbe intorno ai quattrocento milioni.
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