Metinvest Adria, l’Accordo di programma per Piombino? Legambiente: «È un contenitore vuoto»

A inizio luglio è stato firmato a Roma l’ennesimo Accordo di programma per la riconversione del polo industriale di Piombino, dove l’altoforno nell’ex Lucchini è spento da ormai 11 anni senza che da allora si sia trovata continuità produttiva con le nuove proprietà, e dove resta da bonificare un Sito d’interesse nazionale (Sin) istituito nel 1998 e perimetrato nel 2000, per il quale i dati più aggiornati del ministero dell’Ambiente informano sullo stato dell’arte: su 931 ettari di Sin i terreni bonificati ammontano a 61 ettari mentre 395 ettari sono di aree dichiarate “non contaminate”, e sulla falda i dati sono ancora peggiori (rispettivamente 5 e 33 ettari).
Alle 18.30 di oggi, nella Corte pentagonale del Castello, sarà direttamente il Comune di Piombino – nella persona del sindaco, Francesco Ferrari – a illustrare i contenuti dell’Accordo in un incontro pubblico. Ma il circolo Val di Cornia di Legambiente, che da sempre segue con attenzione l’evolversi della siderurgia piombinese, anticipa che c’è davvero poco da scoprire: «L’Accordo di programma – argomenta nel merito il circolo legambientino, presieduto da Adriano Bruschi – pare essere un contenitore vuoto, palesemente diverso dai due accordi precedenti (2014, 2019). Un Piano industriale eccessivamente scarno, senza un conto economico dei costi e dei ricavi e in assenza di un layout sufficientemente dettagliato, che ad esempio non dice cosa verrà fatto in zona 36 ettari», una delle discariche abusive che insistono nell’area (insieme alla LI53).
«Oltre al finanziamento di circa 320 milioni derivati da un Contratto di sviluppo, veicolato da Invitalia, soldi che vengono stanziati a valersi su strumenti ordinari, di cui qualsiasi progetto industriale può avvalersi – sottolinea il Cigno verde – non c’è traccia di nessun altro impegno finanziario pubblico cogente, soprattutto per il porto e le bonifiche. Nell’accordo ci sono 157 milioni di euro necessari al completamento del porto ma non vengono indicati i soggetti erogatori, entro quando saranno resi disponibili e a valersi su quali misure. Nessuna chiarezza sulla gestione dei flussi di materia, sui rifiuti attualmente abbancati, quelli che si produrranno nella fase di costruzione dei nuovi impianti e che saranno prodotti dalla nuova l’acciaieria».
È utile ricordare che per la nuova acciaieria – per la quale c’è già l'Accordo quadro che sancisce le condizioni per il passaggio della forza lavoro tra Jsw steel Italy Piombino e Metinvest Adria – si prospettano investimenti da 2,5 miliardi di euro e una capacità produttiva annuale di 2,7 milioni di tonnellate, impiegando la tecnologia del forno ad arco elettrico con in ingresso rottami, ghisa e ferro ridotto direttamente, che dovrebbero essere reperiti dalle attività ucraine di Metinvest. Il forno elettrico rappresenta una tecnologia certamente più sostenibile rispetto all’altoforno, dato che in quest’assetto l’acciaieria diverrebbe un vero e proprio impianto di riciclo, ma senza impianti a valle in grado di gestire i relativi rifiuti in uscita: basti osservare che produrre 1 tonnellata d’acciaio da forno elettrico genera, nel migliore dei casi, 0,15 ton di rifiuti speciali in uscita, il che significa produrre circa 3 mln t/a di acciaio genererà a Piombino almeno 450mila t/a di rifiuti da gestire. Come e dove non è chiaro, anche perché il pregresso è tutt’altro che risanato. Nel merito, vale la pena ricordare come sia noto almeno fin dal 1994 che a Piombino nel perimetro (di 800 ettari) dell’allora ancora funzionante acciaieria erano già presenti ingenti quantità di scarti di processo – come loppe, scorie, Paf, etc – mai usciti dai confini dell’ex Lucchini, tanto da aver nel tempo formato un rialzo dal piano di campagna pari a 7 metri, come documentò il direttore di Arpat Mario Bucci.
Nell’Accordo di programma non c’è neanche traccia della «indispensabile» regia pubblica chiesta da Legambiente per mettere in relazione interessi pubblici e privati, governare i flussi di materia, favorendo al massimo l’economia circolare risparmiando risorse naturali locali non rinnovabili (materiale di cava vergine): scorie, loppe, refrattari, ecc sono infatti riciclabili e destinabili, in varie forme e con vari trattamenti, alle opere infrastrutturali mentre invece, Paf, amianto, e altre tipologie di rifiuti non riciclabili vanno trattati e smaltiti in condizioni di sicurezza.
«Ci allarma – continua piuttosto Legambiente – quello che troviamo scritto in alcuni allegati all’Accordo di programma»: ovvero, i materiali scavati “potranno essere gestiti in coerenza/similitudine con il Progetto di Miso della falda, in cui è permesso il riutilizzo nel sito (fossa drenante) come materiali di riempimento anche dei materiali eterogenei e di risulta” e ancora “in secondo luogo, si evidenzia che la presenza del sistema di messa in sicurezza della falda già consente di intercettare comunque le migrazioni dei contaminanti in falda originate da eventuali rilasci da parte di materiali di riporto non conformi ai limiti normativi”.
«Tutto ciò – traduce Bruschi – significa che se durante i molteplici scavi venissero trovate terre contaminate non conformi alle normative, esse potranno essere ugualmente riutilizzate in loco senza alcun trattamento, basta che rimanga nel perimetro industriale! Una sorta di licenza a non bonificare. I materiali contaminati saranno scartati solo “in caso di esubero rispetto alle esigenze progettuali”. Una rivoluzione della normativa ambientale vigente»
Ad allarmare gli ambientalisti è anche la previsione di occupare nuovo terreno naturale, classificato nel Piano strutturale come area palustre. «Un triangolo di qualche ettaro vicino alle pale eoliche – spiegano da Legambiente – che verrebbe riempito per adeguarne l’altezza al piano di campagna e al tempo stesso deviata la trincea drenante della messa in sicurezza idraulica in corso d’opera. Oltretutto, riempire questo nuovo terreno ora naturale con cosa? Con i rifiuti scavati nella zona? Una specie di discarica senza le procedure e i costi di una discarica? Il sindaco Ferrari aveva dichiarato che si era battuto, ed aveva ottenuto, che non si sarebbero occupati nuovi terreni che non fossero già industriali, accusando “quelli di prima” che avevano fatto una variante (Variante Aferpi) per occupare aree vergini lato Quagliodromo. Farà invece anche lui una variante urbanistica? Oppure starà immobile, ritenendo che il progetto stesso, di “preminente interesse strategico nazionale” non abbia bisogno di varianti urbanistiche?».
Con queste pesanti domande ancora in sospeso, il circolo legambientino prende atto «positivamente» che Metinvest si impegna ad utilizzare le migliori tecnologie ambientalmente sostenibili e disponibili, ma al contempo evidenzia che in questo nuovo Accordo di programma sono stati «tralasciati aspetti rilevanti sul fronte ambientale, di cui doveva farsi carico proprio il Comune di Piombino: non ci sono elementi innovativi ma al contrario, su questo ambito, vi sono dei preoccupanti passi indietro».
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