Mobilità globale e cittadinanza strategica: superare la retorica della fuga dei cervelli

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È tempo di ripensare la cittadinanza come risorsa globale: da diritto disatteso a leva strategica per il futuro dell’Italia
Oltre 6,3 milioni di cittadini italiani vivono oggi all’estero. Ma non è più tempo di parlare di “cervelli in fuga”. Siamo di fronte a una migrazione strutturale, che cambia il volto della cittadinanza italiana nel mondo.
L’Italia è diventata un Paese che forma, ma non trattiene risorse, che fatica a costruire futuro per i suoi cittadini. Secondo gli ultimi dati ISTAT, aggiornati al 31 dicembre 2024, sono oltre 6.382.000 i cittadini italiani residenti all’estero, con un incremento record di 243.000 unità in un solo anno (+4%). È il dato più alto mai registrato. E non si tratta più solo di giovani professionisti: sono famiglie, figli, nuove generazioni nate fuori dall’Italia.
In un mondo iperconnesso, il concetto di “italianità” si sta trasformando. Cresce chi parte, ma cresce anche chi chiede di diventare cittadino italiano. I nuovi ingressi per iure sanguinis (oltre 121.000 nel 2024) provengono soprattutto dall’America Latina, dove l’identità italiana è ancora un patrimonio familiare vissuto con orgoglio. Allo stesso tempo, stranieri che vivono e lavorano stabilmente in Italia faticano a ottenere il riconoscimento della cittadinanza per naturalizzazione. In entrambi i casi, il percorso di riconoscimento è ostacolato da procedure lunghe e farraginose, burocrazia opaca o pregiudizi culturali.
Il paradosso è sotto gli occhi di tutti: mentre cresce nel mondo il desiderio di “diventare italiani”, molti italiani scelgono di vivere altrove.
Una nuova mappa dell’Italia che emigra
L’immagine dell’emigrato con la valigia di cartone appartiene ormai alla memoria collettiva del Novecento. L’Italia di oggi esporta capitale umano qualificato, ma anche lavoratori ordinari, studenti, giovani genitori, liberi professionisti. L’età media degli espatriati è di 32,8 anni, con mete principali come Germania, Regno Unito, Spagna, Svizzera e Francia. E cresce anche la “migrazione secondaria”, ossia lo spostamento di italiani da un Paese straniero a un altro: nel 2024 sono stati quasi 50.000, diretti soprattutto verso Spagna e Stati Uniti.
Parallelamente, i rientri calano (-14,3%), mentre la nuova legge del 2023 sull’obbligo di iscrizione all’AIRE, con relative sanzioni, ha portato a un’impennata delle registrazioni ufficiali. Ma non è solo una questione burocratica: l’Italia resta un Paese poco attrattivo per chi cerca un progetto di vita stabile.
La ricerca di migliori opportunità
Dietro ogni partenza c’è una storia fatta di desideri e frustrazioni. Secondo varie indagini, il 70% dei giovani italiani che espatria lo fa perché non trova in patria opportunità adeguate: mancano salari dignitosi, prospettive di crescita, stabilità. In Germania o nei Paesi Bassi, il talento italiano è riconosciuto e valorizzato. In Italia, spesso, resta intrappolato nella precarietà o in un sistema che non premia il merito.
Eppure, lo stesso passaporto che molti italiani usano per andarsene è anche il simbolo di un’identità che altri nel mondo continuano a desiderare. Oltre 90.000 richieste di cittadinanza per discendenza sono arrivate nel 2024 dal Sud America, dove la memoria dell’emigrazione italiana è viva nelle famiglie e nella cultura quotidiana. In Brasile, ad esempio, appena il 5% degli italiani residenti è nato in Italia: gli altri sono figli e nipoti di chi partì decenni fa. In Argentina sono quasi un milione gli italiani iscritti all’AIRE.
Essere cittadini italiani oggi, tra significati e nuove regolamentazioni
L’essere italiani oggi si esprime su tre piani distinti, ma complementari:
- Chi emigra non abbandona l’identità italiana, ma la porta con sé, cercando di viverla in contesti percepiti come più dinamici, efficienti e aperti. L’Italia resta un punto di riferimento affettivo e culturale, anche da lontano.
- Chi richiede la cittadinanza per ius sanguinis lo fa per riallacciare il legame con le proprie radici, riconoscendo nell’italianità non solo un’eredità familiare, ma un diritto sentito come naturale fin dalla nascita.
- Chi aspira alla cittadinanza per naturalizzazione chiede che venga riconosciuto il suo impegno quotidiano — professionale, sociale, umano — nel Paese che ha scelto come casa. È un desiderio di appartenenza maturato nella realtà vissuta, non solo nell’origine.
In tutte queste traiettorie, la cittadinanza non è soltanto uno status amministrativo, ma un riconoscimento profondo del legame tra identità, scelta e partecipazione.
L’Italia ha un approccio schizofrenico alla cittadinanza: il cittadino italiano che oggi emigra è visto come una perdita; il discendente di emigrati che chiede il riconoscimento della cittadinanza viene etichettato come un mero “opportunista del passaporto” e quindi da vessare; lo “straniero” che dopo anni trascorsi in Italia desidera diventare italiano trova spesso un muro di diffidenza.
Sarebbe il caso di superare questa visione frammentata e adottare un approccio più strategico e lungimirante. L’identità nazionale non va vista come un recinto di protezione, ma come un ponte per rafforzare e valorizzare i legami e per costruire un futuro di crescita e coesione.
I dati ISTAT lo attestano con chiarezza: l’Italia è diventata una nazione transnazionale, profondamente intrecciata con il mondo attraverso flussi di persone, relazioni e culture. In questo scenario globale in continua evoluzione, il concetto di cittadinanza non può più essere legato esclusivamente al domicilio o al luogo di nascita: oggi, appartenere significa contribuire, partecipare, sentirsi parte attiva di una comunità.
La cittadinanza va ripensata come uno spazio di connessione, non di esclusione, un diritto che riflette il senso di legame, non solo la presenza fisica.
Continua la battaglia di Natitaliani per una nuova idea di cittadinanza
I dati Istat del 2024 non raccontano solo un esodo, ma una ricomposizione globale dell’identità italiana. Un’Italia che si espande nel mondo, che si radica in città come Buenos Aires, San Paolo, Zurigo, Berlino, Londra, Barcellona. Un’Italia che fa figli all’estero, ma che resta italiana.
Eppure, per non perdere questa energia vitale, servirebbero scelte politiche coraggiose che invece, non solo non si vedono, ma anzi sono andate nella direzione contraria.
Ma non tutti sono rimasti in silenzio di fronte a questa trasformazione epocale. Natitaliani, da tempo, ha sottolineato la necessità di un approccio radicalmente diverso alla cittadinanza: non restrittivo o punitivo – come invece espresso dal Decreto Legge 36/2025, ora Legge 74/2025 – ma inclusivo, strategico, orientato al futuro. Un’Italia davvero moderna deve saper riconoscere e valorizzare i cittadini italiani all’estero, non come un’anomalia amministrativa, ma come una componente vitale del proprio sviluppo.
Esiste un’Italia fuori dall’Italia che può contribuire a rendere il Paese più forte, più avanzato, più connesso al mondo. E ci sono, dentro i confini, molti “non ancora italiani” che vivono e lavorano chiedendo di essere riconosciuti e pienamente integrati.
Le scelte politiche di oggi pesano sul destino di un’Italia che, alla luce delle norme varate, rischia di rimanere ripiegata su sé stessa, incapace di guardare avanti con coraggio e visione.
Per questo, Natitaliani continuerà a battersi per affermare un’idea di cittadinanza aperta, equa, responsabile, e per combattere una burocrazia sempre più usata come strumento per indebolire i diritti anziché garantirli.
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