Non guardarmi, non ti sento

Lug 31, 2025 - 18:30
 0
Non guardarmi, non ti sento

di Gianvito Pipitone

La diplomazia è morta. Non nel senso retorico di un semplice declino, ma nella sua trasformazione radicale: un mutamento profondo del linguaggio, della postura e della funzione. È di fatto diventata un’altra cosa, rispetto al passato.
Sono finiti i tempi in cui si parlava con lentezza, si ascoltava attraverso la mediazione della traduzione, si concedeva al pensiero il tempo di sedimentare prima di prendere forma. Oggi, invece, le relazioni internazionali hanno assunto il ritmo del litigio, dell’esibizione scenica, dell’urgenza performativa che esige risposte immediate e atteggiamenti muscolari.
L’inserimento del presidente Mattarella nella lista dei “russofobi” da parte della Russia non è soltanto una provocazione: è il simbolo di una diplomazia che ha rinunciato alla propria vocazione originaria, quella di costruire ponti, anche tra opposti. Lo stesso accade a Gaza, dove la diplomazia è stata spazzata via da raid, ultimatum, dichiarazioni incendiarie. I ministri israeliani parlano di annessione, espulsione, “pulizia etnica”. Hamas risponde con ostaggi, razzi e il rifiuto del dialogo. Intanto, la popolazione civile muore, affamata, bombardata, dimenticata.
In questa nuova grammatica delle relazioni tra Stati, non c’è più spazio per la mediazione, per il dubbio, per quell’ambiguità creativa che un tempo consentiva di eludere la trappola della polarizzazione.
L’aggressione russa all’Ucraina non è solo un atto militare: è la negazione del dialogo.
E lo stesso vale per l’offensiva israeliana a Gaza, dove la diplomazia è ridotta a incontri su yacht, a conferenze prive di interlocutori.
Putin ha scelto il silenzio: ha scelto di bombardare.
Netanyahu ha scelto di ignorare: ha scelto di annettere.
Entrambi convinti che il potere risieda nella capacità di zittire e sopraffare, più che nell’arte di argomentare o proporre un’alternativa.
Questa deriva non è isolata: è parte di un movimento globale in cui leader senza scrupoli agiscono secondo logiche narrative piuttosto che politiche, dove l’identità del nemico è funzionale al mantenimento del consenso interno, più che alla risoluzione del conflitto.
Il mondo si è fatto binario: noi-loro, buoni-cattivi, giusti-ingannatori.
In questa struttura dicotomica, la diplomazia non trova dimora. Perché si basa sull’ascolto, sulla gradualità, sulla sospensione del giudizio.
L’intervento militare russo, le repressioni interne, la retorica della “fortezza assediata”: tutto ciò racconta una Russia che rifiuta di abitare il mondo, preferendo imporre la propria versione di mondo.
Intendiamoci: in questa storia anche l’Occidente ha le sue responsabilità. Ha smarrito la capacità di ascoltare l’altro, ha ridotto il dissenso a eresia, ha trasformato la diplomazia in passerella per conferenze stampa e dichiarazioni ad effetto.
Si compiace nel letale abbraccio di un populismo sempre a caccia di un colpevole, di un capro espiatorio.
Oggi la politica estera si scrive su X, si recita nei talk show, si misura in retweet e likes.
Nel frattempo, nella vita reale, i corpi muoiono nella polvere delle città bombardate e le menti fuggono da capitali censurate.
Allora, dov’è finita la diplomazia?
Non nei documenti ufficiali.
Forse si nasconde nei gesti secondari, nelle pause, nel silenzio che precede una risposta; nei margini dell’incontro dove la parola si ferma e lascia spazio all’ascolto.
Forse abita ancora in quei luoghi trascurati, dove non c’è potere ma c’è presenza.
Occorre dunque riscrivere la grammatica delle relazioni internazionali, restituendo valore alla differenza, alla lentezza, al dubbio — come fondamento del confronto. In un processo di revisione continua e consapevole.
Non per tornare indietro, ma per avanzare con maggiore lucidità.
Senza la diplomazia dell’ascolto, il mondo non potrà mai pacificarsi: resterà prigioniero delle narrazioni che gridano più forte.
La lista nera che include Mattarella è soltanto una riga in un documento, ma racconta molto più di ciò che dice.
Gaza sotto le bombe è solo una striscia di terra, ma racconta molto più di ciò che mostra.
Entrambe parlano di una parola che non vale più come un tempo, e di una verità divorata dal sospetto.
Ricominciare a parlarsi non è utopia: è la forma più audace di potere possibile.
Chi non ha il dono della parola, e dirime le controversie a forza di bombe, è destinato nel tempo a soccombere.

Qual è la tua reazione?

Mi piace Mi piace 0
Antipatico Antipatico 0
Lo amo Lo amo 0
Comico Comico 0
Furioso Furioso 0
Triste Triste 0
Wow Wow 0
Redazione Redazione Eventi e News