Occhi più grandi con un semplice contouring: Sophia Loren lo aveva scoperto 60 anni fa

Chiunque abbia mai provato a ricreare lo sguardo di Sophia Loren sa che non si tratta solo di eyeliner. C’è qualcosa di costruito ma fluido, un gioco di volumi e proporzioni che parte dalle ciglia e arriva al modo in cui la luce cade sugli zigomi.
Negli anni Sessanta, quando Sophia recitava in capolavori come “Ieri, oggi, domani” o “Matrimonio all’italiana”, non c’erano tutorial su YouTube. C’erano però mani esperte, matite ben temperate e una profonda conoscenza del proprio viso. Oggi, quello sguardo così teatrale ma perfettamente portabile, si ripropone sotto forma di contouring per gli occhi.
Una tecnica che ha poco a che fare con il trucco pesante, e molto con la strategia. L’idea di scolpire il viso con luci e ombre è ormai ovunque. Ma mentre la mandibola cesellata o gli zigomi alti sono diventati quasi scontati, allungare lo sguardo con gli stessi principi sembra ancora un trucco da esperti. Eppure è semplice, almeno nella teoria.
Sophia Loren l’aveva già capito: lo sguardo va costruito, ecco come
L’eye contouring lavora su una palette neutra, qualche pennello preciso e un occhio allenato. Non serve ridisegnare tutto, basta enfatizzare la forma naturale dell’occhio, spingere verso l’alto dove tende a cadere, aprire dove tende a chiudersi. Il risultato, se fatto bene, è quello che oggi chiameremmo effetto Bambi, ma con un pizzico di quell’intensità da diva d’altri tempi.
La base è sempre la stessa: una palpebra neutra, uniformata da primer o correttore, e una rima interna chiara, meglio se burro. Poi si parte con le ombre. Non nere, non grigie. Marroni freddi, tortora, a volte un terra bruciata soft. L’importante è sfumare verso l’alto e mai verso il basso. Si costruisce una V obliqua sull’angolo esterno, che solleva l’occhio come farebbe un piccolo tiraggio. Al centro della palpebra si illumina con un tono più chiaro, opaco, mai perlato. Questo gioco crea contrasto e tridimensionalità senza appesantire.
Il tratto di eyeliner fa la differenza. Non è una linea netta, ma una riga sottile che segue la base delle ciglia superiori, finendo in una codina che guarda la tempia, mai l’orecchio. Chi ha dimestichezza può sfumarla con un pennello angolato e un ombretto scuro, per un effetto più morbido. Sotto, solo nella parte finale dell’occhio, si può replicare il disegno, collegandolo alla parte sopra. Questo chiude il triangolo e definisce lo sguardo senza chiuderlo.
Le ciglia sono fondamentali. Meglio se allungate verso l’esterno, con un mascara che lavora più in larghezza che in volume. L’applicazione parte da metà occhio in poi, seguendo la linea della sfumatura. Le ciglia finte, se usate, devono essere tagliate, solo per l’esterno. Non servono ventagli drammatici, basta un piccolo accento che spinga lo sguardo oltre il suo limite naturale.
In fondo, Sophia lo faceva già. In “Pane, amore e…” il suo sguardo faceva più effetto di qualsiasi abito. L’occhio ben definito, lo zigomo scolpito, le sopracciglia a coda di rondine. E forse, oggi, tutto questo ritorna non solo per estetica, ma per esigenza. Perché in un’epoca dove tutto passa veloce, avere uno sguardo che resta è una forma di resistenza.
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