Spagna. La sinistra travolta dagli scandali

di Vito Schepisi * –
In Spagna, la sesta economia europea, al governo c’è ancora l’unico baluardo riconoscibile della sinistra massimalista ed ideologica del Vecchio Continente. La sinistra che fino a 2 o 3 anni fa aveva occupato buona parte delle cancellerie europee, se le vede sfilare una dietro l’altra.
I successi nelle elezioni del 2019, all’apparenza irreversibili, gridate per un mondo che stava cambiando, arrivavano nel nome di scelte politiche e di sensibili questioni sociali come l’ecologia, l’aria pulita, la transizione ecologica, la difesa dell’ambiente, l’accoglienza dei migranti (purché indirizzata nei paesi di altri).
Spinta dal rigorismo teutonico, l’Europa a più riprese, con l’introduzione del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), aveva persino provato l’assalto all’autonomia ed al controllo delle economie e delle politiche finanziarie dei paesi europei, con lo sguardo diretto a quelli che apparivano economicamente più deboli (l’Italia, ad esempio).
L’immagine dell’aforisma di Plauto però, quello del “homo homini lupus”, in verità non si è mai dissolta, neanche nei paesi degli apparenti buonisti, benchè rapaci come falchi.
Al contrario, come per una malattia congenita, per il tipico opportunismo populista, s’è solo provato a spostare nel tempo la latenza dei possibili effetti contrari.
“Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c’è certezza”, come nella “Canzone di Bacco” di Lorenzo d’Medici.
Quella della Grecia, però, a cui l’Europa nel 2010 tolse tutto, per coloro che non vorrebbero farsi prendere nella morsa del lupo, resterà sempre un’immagine che non si potrà mai cancellare.
Su ogni questione, e per lo più su quelle affrontate col furore ideologico, ed in Italia a sinistra non mancano, in Europa sono state create tante nuove difficoltà, sempre a danno dei meno attrezzati, con la conseguenza d’annullare del tutto i modesti successi creati.
Nonostante i miliardi di euro spesi, tutte le questioni restano in piedi come inamovibili ostacoli. Il riscaldamento globale, ad esempio, a cui oggi si attribuisce ogni cosa, fonte di tanti interventi, resta l’argomento quotidiano su cui tutti continuano ad osservare ed esprimersi. L’Europa, col suo sguardo mancino, aveva messo in campo tante questioni. Tutte si proponevano di diventare il riferimento maggioritario per indirizzare le nuove politiche sull’industria (si pensi all’ automotive), sulle fonti energetiche, sull’agricoltura, per l’accoglienza, per la solidarietà e per l’integrazione, come se fosse facile passare dall’ideologia (con le sue sempre più nuove immagini, per apparire semplice, libera e bella) alla realtà (sempre invece più difficile).
Tutte le nuove politiche si sono rivelate costose, se non irrealizzabili, inutili e fallimentari.
La deterrenza, inoltre, per poter conservare l’autonomia, la sovranità, la democrazia e la libertà, è tornata ad essere una strada a senso unico per l’Europa.
I tanti vecchi pensieri, pertanto, stanno cadendo uno dietro l’altro, travolti dalle delusioni per lo spreco delle risorse, per l’insuccesso delle scelte sbagliate, per il presentarsi dei nuovi bisogni, per la mutata disponibilità delle materie prime e, non ultimo, per recepire la necessità d’una difesa comune come tutela indispensabile per la sicurezza degli Stati Europei.
Il leader della sinistra spagnola Pedro Sanchez (qualche giorno fa messo sugli scudi dai populisti pentastellati e dalla sinistra massimalista e post-comunista italiana ed europea, per essersi opposto all’aumento delle spese NATO per la difesa), travolto dagli scandali e dagli episodi di corruzione, è in procinto di cadere? Una bella domanda a cui non si possono non far seguire alcune riflessioni.
La caduta di Pedro Sanchez rafforzerebbe la probabilità dell’arrivo in Spagna d’una nuova maggioranza tra i partiti dell’area moderata e di centrodestra.
Lo spostamento dell’equilibrio politico europeo rafforzerebbe in tal modo il nuovo equilibrio meno ideologico e più pragmatico che è già timidamente in corso in Europa.
Sarebbero da rivedere le scadenze dei processi di transizione, da cancellare i divieti che rischiano di ricadere sulla produzione e sull’occupazione, quindi sul PIL e lo sviluppo.
L’Europa che cambia pelle, pertanto, potrebbe essere una buona notizia, se tra le forze liberali, riformiste e moderate, finalmente si sviluppassero i progetti comuni per lo sviluppo, per le grandi opere, per la cooperazione nelle aree d’interesse comune e per gli scambi commerciali con le altre aree della Terra.
* Articolo in mediapartnership con Nuovo Giornale Nazionale.
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