Sparatoria di Cascina Spiotta, la surreale accusa di D’Alfonso: “Tra Stato e Br patto di non belligeranza”

“Non perdono lo Stato complice del silenzio”. Boom. Bruno D’Alfonso figlio di Giovanni D’Alfonso il carabiniere ucciso nella sparatoria di Cascina Spiotta dove morì anche Mara Cagol testimoniando davanti alla corte di assise di Alessandria arriva a ipotizzare una sorta di accordo tra Stato e Brigate Rosse. Bruno, carabiniere in pensione, da figlio di un defunto riesce a far parlare a supporto della sua tesi altri due morti, l’imprenditore Vittorio Vallarino Gancia il sequestrato poi liberato alla Spiotta e il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Bruno cercando la verità sulla morte del padre racconta di aver conosciuto Vallarino Gancia il quale gli avrebbe rivelato che durante un riconoscimento vocale in carcere aveva identificato le voci di alcuni brigatisti. Ma il generale Dalla Chiesa lo avrebbe invitato a stare zitto per la sua sicurezza. Il silenzio sarebbe stato il frutto di un tacito accordo, un patto di non belligeranza tra lo Stato e le Brigate Rosse. “Erano altri tempi, erano gli anni di piombo e credo che ci fosse paura” sono le parole di chi dice di non aver mai smesso di cercare giustizia. Bruno D’Alfonso aggiunge di non poter perdonare Lauro Azzolini il brigatista che ha ammesso di essere stato presente alla Cascina Spiotta “perché non basta dire mi spiace, le mezze verità non sono sufficienti per chi ha perso un padre in circostanze cosi tragiche”. Nel processo per l’omicidio del carabiniere oltre ad Azzolini sono imputati a livello di concorso morale gli ex vertici delle Br Renato Curcio e Mario Moretti.
Nella repubblica del vittimario Bruno D’Alfonso tenta di riscrivere la storia degli anni ‘70 ipotizzando qualcosa di poco credibile da parte di quello Stato che scelse di non trattare per salvare la vita di Moro e che invece sarebbe sceso a patti per zittire Vallarino Gancia sui suoi rapitori. D’Alfonso che con il suo esposto riaprì il caso ottenendo la celebrazione di un processo a mezzo secolo dai fatti con una sentenza di proscioglimento del 1987 revocata senza leggerla perché scomparsa nell’alluvione del 1994 vuole stravincere. Una testimonianza surreale oltre che impossibile da riscontrare concretamente. Forse con questi morti che parlano sarebbe il caso di chiedere un parere pro veritate a Romano Prodi. Che tiri fuori il suo tavolinetto e risolviamo il caso una volta per sempre.
Qual è la tua reazione?






