Dopo le rinnovabili, la Sardegna dice no anche alle batterie ma sì al metano fossile

La Regione autonoma della Sardegna ha deciso di ricorrere al Tar e «in tutte le sedi amministrative e giudiziarie competenti» contro il provvedimento di autorizzazione rilasciato dal ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica (Mase) per la realizzazione dell’impianto a batterie ad accumulo elettrochimico (Bess) da 72 MW nel Comune di Mogorella, contro il quale la Regione aveva già espresso parere negativo in Conferenza dei servizi.
«La Sardegna ha il dovere – dichiara l’assessora regionale della Difesa dell’ambiente, Rosanna Laconi – di difendere i propri paesaggi e il diritto delle comunità locali a decidere come conciliare sviluppo e sostenibilità. Non ci opponiamo al principio della transizione energetica, ma chiediamo che essa avvenga nel rispetto delle regole, delle prerogative regionali e della salvaguardia ambientale. Per questo motivo la Regione agirà con fermezza in tutte le sedi necessarie».
Si tratta della stessa Regione per la quale è inidoneo agli impianti rinnovabili il 99% del proprio territorio – bloccando investimenti stimati sull’isola per 8-12 miliardi di euro al 2030 –, pensando così di “difendere” il paesaggio insieme alle attività economiche tradizionali, mentre incendi e siccità legati alla crisi climatica in corso continuano ad avanzare.
Come dichiarato pochi giorni fa in un’intervista al giornale locale La nuova Sardegna dall’assessore regionale all’Industria, Emanuele Cani, entro pochi mesi la Sardegna dovrebbe aggiornare il Piano energetico regionale (Pears) fermo al 2016, ancora senza un’idea chiara dell’orizzonte verso il quale tendere.
Per Cani «dobbiamo chiudere le due centrali» a carbone, presenti a Portovesme e Fiume Santo; in Sardegna è infatti presente la metà di tutte le centrali a carbone ancora attive in Italia, col Governo che quest’estate ha deciso di rinviarne la chiusura al 2038. Nel frattempo, la Regione Sardegna ha dato il proprio assenso all’arrivo di due nuove navi rigassificatrici – che troverebbero posto a Porto Torres e Oristano – per portare metano fossile sull’isola.
«Useremo il metano riducendo al minimo le infrastrutture con due navi gasiere ormeggiate a Oristano e a Porto Torres che saranno collegate ad altrettante reti di distribuzione per il sud e per il nord dell’isola», conferma Cani nel merito, aggiungendo che l’aggiornamento del Pears non prevedrà «quote prestabilite tra eolico e fotovoltaico. L’unica riguarda il burden sharing (la condivisione degli “oneri” individuata dal Governo col decreto Aree idonee, ndr), stabilito per la Sardegna in 6,2 GW. Anche in questo caso il piano energetico ci darà un dato scientifico preciso e attendibile rispetto al fabbisogno della Sardegna e a quanta energia la nostra rete può sopportare […] Dovremo superare il carbone e dovremo farlo con un mix di produzione energetica che comprenda l’uso di più fonti di produzione, ci sarà bisogno del metano per il comparto industriale per una fase transitoria ma dobbiamo guardare soprattutto alle rinnovabili con particolare attenzione per l’autoconsumo».
Secondo l’associazione Sardi per le rinnovabili, invece, il metano «inteso come necessità per il comparto industriale (energia termica ad alta temperatura) può essere fornito alle aziende anche senza rigassificatori da installare al porto di Oristano ed a Porto Torres. Basterebbe installare nel Sulcis dei depositi costieri (sul modello di quello presente a Oristano) che forniranno quasi in loco l’energia termica ad alta temperatura necessaria. Ci chiediamo anche perché non venga preso in considerazione il gas già gestibile in Sardegna dal deposito costiero di Oristano che, ci risulta, lavori con volumi molto al di sotto delle sue potenzialità a causa di mancanza di domanda. Siamo ovviamente d’accordo anche sulle rinnovabili e anche sull’autoconsumo. Sull’autoconsumo ci permettiamo di dire all’Assessore che va benissimo installare i pannelli sui tetti ma, crediamo, e lui immaginiamo lo sappia già, che se anche riempissimo di pannelli i tetti di tutta la Sardegna non saremo autosufficienti». Senza dimenticare che l’elettricità prodotta con gli impianti fotovoltaici utility scale costa un terzo di quella generata dagli impianti fotovoltaici residenziali sui tetti.
«Segnaliamo infine – concludono i Sardi per le rinnovabili – che uno studio recentemente pubblicato realizzato dal Coordinamento Free di cui fanno parte le Università di Milano, Padova e Cagliari dimostra che la Sardegna non ha bisogno di gas per la sua transizione energetica anche perché il gas, la Sardegna, non lo produce ma lo importa, a caro prezzo, o da paesi canaglia o dagli Usa che ricattano l’Ue con contratti capestro imposti dall’amministrazione Trump. La Sardegna è invece ricca di sole e di vento e queste risorse potrebbero bastare ed avanzare per rendere la nostra isola autosufficiente o addirittura esportatrice (a pagamento e con ricadute tangibili sul territorio, sia ben chiaro questo) di materia prima».
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