Produrre energia solare sotto la superficie del mare, grazie alla Perovskite


Un team di ricerca, frutto della collaborazione tra due Istituti di ricerca del Cnr, l’Università degli studi di Roma Tor Vergata e la società BeDimensional, ha dimostrato per la prima volta l’operatività delle celle solari a perovskite in ambiente subacqueo. Un passo che apre nuove frontiere energetiche tra Internet of Underwater Things, acquacoltura e applicazioni marine emergenti
L’innovazione tecnologica spinge il fotovoltaico oltre i tetti, i campi agricoli e le facciate architettoniche. Dopo l’agrovoltaico, il Bipv (fotovoltaico integrato nell’edificio) e le applicazioni nello spazio, il mare si propone come prossima frontiera per l’energia solare.
In un’epoca di crisi energetica e scarsità di suolo, la possibilità di sfruttare l’ambiente subacqueo come piattaforma di conversione solare apre prospettive finora inesplorate. E non si tratta soltanto di una suggestione futuristica.
L’ambiente marino è già oggi sede di attività produttive e sperimentali: allevamenti ittici, coltivazioni sottomarine e persino maturazione di vini in barrique sommerse.
Parallelamente, la crescente diffusione dell’Internet of Underwater Things (IoUt) – reti di sensori, droni autonomi, sistemi di monitoraggio ambientale – necessita di fonti energetiche affidabili, a basso impatto e prive di manutenzione complessa.
La sfida ottica dell’acqua
La fisica della radiazione solare in acqua impone vincoli precisi. La colonna d’acqua filtra selettivamente lo spettro luminoso:
- sotto i 2 metri vengono assorbite quasi tutte le lunghezze d’onda superiori a 700 nm
- a 20 metri restano disponibili solo frequenze inferiori ai 600 nm
- oltre i 50 metri la luce utilizzabile è confinata alla banda blu-verde (400–600 nm)
Le celle al silicio, cuore del fotovoltaico commerciale terrestre, risultano poco adatte a questo contesto. Il loro bandgap di 1,11 eV privilegia uno spettro solare che in acqua viene drasticamente ridotto. Sono quindi preferibili dispositivi con bandgap più ampio, capaci di intercettare la porzione residua della radiazione subacquea.
Sotto i 50 metri di profondità, solo la luce blu-verde riesce a penetrare efficacemente: le celle solari a perovskite, già note per la loro efficienza e versatilità, si sono dimostrate particolarmente adatte a sfruttare questa luce residua.
I test condotti con una specifica perovskite di composizione FAPbBr3, hanno mostrato prestazioni sorprendenti: immerse nei primi centimetri d’acqua, queste celle producono più energia rispetto a quando sono esposte all’aria.
Le celle a perovskite (Psc) rappresentano la tecnologia più promettente per questa applicazione. I motivi risiedono in alcune proprietà distintive:
- bandgap modulabile agendo sulla composizione chimica
- efficienza di conversione record pari al 27%
- possibilità di realizzare film sottili semitrasparenti
- processi di fabbricazione rapidi e a basso consumo energetico
Il materiale scelto per il test pionieristico è una perovskite a base di FaPbBr3, caratterizzata da un bandgap di 2,3 eV. La sua risposta spettrale si adatta alle condizioni subacquee, dove il rosso viene assorbito e restano dominanti le lunghezze d’onda nel verde e nel blu.
“Merito delle caratteristiche ottiche dell’acqua e del suo effetto rinfrescante, che migliora l’efficienza del dispositivo – spiega Jessica Barichello, ricercatrice del Cnr-Ism che ha coordinato lo studio – Un ulteriore test di durata ha verificato anche l’aspetto ambientale: grazie all’efficace incapsulamento, basato su un adesivo polimerico idrofobico sviluppato da BeDimensional, dopo 10 giorni di immersione in acqua salata, le celle solari hanno rilasciato quantità minime di piombo, ben al di sotto dei limiti imposti per l’acqua potabile“.
La barriera della stabilità
Storicamente, la principale obiezione contro l’uso delle perovskiti in ambienti umidi è stata la loro instabilità. L’esposizione all’acqua induce una rapida degradazione dei film attivi. Tuttavia, la ricerca ha sviluppato soluzioni di incapsulamento in grado di proteggere efficacemente il dispositivo.
Se l’etilene-vinilacetato (Eva), ampiamente usato nel fotovoltaico tradizionale, si è dimostrato inaffidabile, materiali alternativi come i sigillanti a base di poliisobutilene (Pvs) e le resine epossidiche Ab hanno garantito performance durature.
Nei test condotti, l’incapsulamento ha resistito a dieci giorni di immersione in acqua salata, con rilascio di piombo trascurabile, al di sotto dei limiti di legge per le acque potabili.
Le prove in laboratorio sono state effettuate a profondità ridotte, da 0,5 a 6 cm sotto la superficie marina. In questa fascia si è osservato un incremento dell’efficienza di conversione rispetto alle condizioni in aria. L’effetto positivo deriva da due fattori principali:
- la riduzione delle perdite da riflessione grazie all’indice di rifrazione dell’acqua
- il raffreddamento naturale offerto dal contatto con l’acqua, che migliora la stabilità termica del dispositivo
I dati sperimentali sono stati corroborati da simulazioni teoriche, confermando la validità del modello e aprendo la strada a future ottimizzazioni a profondità maggiori.
Implicazioni e applicazioni potenziali
La dimostrazione di funzionamento delle Psc in ambiente subacqueo segna un punto di svolta. Si aprono così scenari applicativi che vanno dall’alimentazione autonoma dei sistemi IoUT alla produzione di energia per strutture di acquacoltura, serre marine e attività di ricerca oceanografica.
Più in generale, la possibilità di installare fotovoltaico subacqueo si inserisce in un quadro di diversificazione energetica che valorizza spazi finora non utilizzati, riducendo la pressione su suolo agricolo e aree urbane. Si tratta di un’estensione radicale del concetto di land-neutral energy harvesting, già intrapreso con il fotovoltaico galleggiante.
Le celle a perovskite, spesso considerate fragili e inadatte a contesti umidi, si rivelano invece competitive e resilienti quando opportunamente protette. L’esperimento subacqueo non è soltanto una curiosità scientifica, ma un potenziale apripista per soluzioni energetiche innovative in ambienti finora trascurati.
In un mondo che deve conciliare domanda crescente di energia, scarsità di spazio e tutela degli ecosistemi, la frontiera subacquea del fotovoltaico appare meno utopica di quanto si pensasse. Un mare di energia, letteralmente, si prepara a diventare realtà.
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