Corte Costituzionale: legittimo fissare un termine per la durata dei fallimenti

Settembre 2, 2025 - 18:00
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Corte Costituzionale: legittimo fissare un termine per la durata dei fallimenti

lentepubblica.it

La Corte Costituzionale ha messo un punto fermo su una questione che, negli ultimi anni, aveva acceso il dibattito tra magistrati, avvocati e creditori coinvolti nei lunghi percorsi dei fallimenti aziendali: il termine per la loro durata.


Con la sentenza n. 102 dell’8 luglio 2025, i giudici costituzionali hanno respinto i dubbi di legittimità sollevati su una norma che stabilisce un limite temporale per ritenere ragionevole la durata delle procedure concorsuali.

Il limite di sei anni e il suo fondamento normativo

Secondo quanto previsto dall’articolo 2, comma 2-bis, della legge n. 89 del 2001, sei anni rappresentano il tempo “standard” entro cui una procedura dovrebbe chiudersi senza che i creditori possano lamentare ritardi ingiustificati. Solo in casi particolarmente complessi, la giurisprudenza della Cassazione ha riconosciuto la possibilità di estendere la soglia fino a sette anni.

Questo parametro si inserisce nel solco della giurisprudenza europea, che da tempo sottolinea l’importanza di processi rapidi e rispettosi del principio di “giusto processo”, sancito dall’articolo 6 della CEDU.

Il caso Vinyls Italia e il quesito sul termine

La questione era stata portata davanti alla Consulta dalla Corte d’appello di Venezia, chiamata a pronunciarsi sui ricorsi presentati da ex dipendenti della Vinyls Italia spa, storica azienda chimica dichiarata fallita nel 2013.

I lavoratori, ammessi tra i creditori per salari non pagati, avevano già ricevuto pagamenti parziali, ma, a distanza di oltre un decennio, la procedura non si era ancora conclusa. Da qui la richiesta di un indennizzo per la lentezza del processo, pari a 2.000 euro per ogni anno eccedente il termine legale.

Complessità pratiche e rischi di rigidità normativa

Il contenzioso ha riacceso un interrogativo centrale: è giusto fissare a priori un tempo massimo uguale per tutti i fallimenti, senza valutare la complessità del singolo caso? Secondo i giudici veneziani, no. La procedura della Vinyls, infatti, era stata resa particolarmente intricata da una lunga serie di fattori: operazioni di bonifica ambientale negli stabilimenti industriali, centinaia di azioni giudiziarie per recuperare fondi e numerose vicende amministrative ancora pendenti.

Un iter straordinariamente complesso che, a loro avviso, avrebbe dovuto consentire un trattamento diverso.

Il principio della legge: riferimento sì, automatismo no

La Corte Costituzionale, però, non ha condiviso questa lettura. Nella sentenza, i giudici hanno chiarito che la previsione di un termine non introduce alcun “automatismo cieco”. Stabilire un limite generale non significa, infatti, che ogni superamento dei sei anni debba essere considerato per forza irragionevole.

Il giudice chiamato a valutare la richiesta di risarcimento conserva sempre il potere – e il dovere – di analizzare il singolo caso, tenendo conto della complessità, delle condotte delle parti coinvolte e delle peculiarità della procedura.

Riferimenti al diritto europeo e all’adattabilità della giustizia

In altre parole, la legge fissa una soglia di riferimento, ma non priva la magistratura della possibilità di valutare le situazioni più difficili e di modulare di conseguenza eventuali indennizzi.

Questa impostazione, sottolinea la Consulta, è coerente con quanto richiesto dalla CEDU e con l’orientamento della Corte di Strasburgo, che invita a valutare la ragionevolezza della durata di un processo considerando il contesto concreto, la complessità tecnica, il comportamento delle parti e l’efficienza degli organi giudiziari.

Evoluzioni legislative e la loro portata retroattiva

Un aspetto interessante emerso nel corso del procedimento riguarda anche l’evoluzione normativa intervenuta nel frattempo. Con il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, il legislatore ha introdotto una regola che esclude, dal calcolo della durata utile ai fini dell’indennizzo, il tempo necessario per la liquidazione dei beni, a patto che il curatore abbia rispettato le scadenze previste dal programma di liquidazione.

Si tratta di una misura pensata per bilanciare meglio l’esigenza di rapidità con quella di tutela dei creditori, ma che, come chiarito dalla Consulta, non trova applicazione retroattiva per i fallimenti avviati prima dell’entrata in vigore del nuovo codice.

Equilibrio tra uniformità e flessibilità nella giustizia civile

Nel caso concreto, dunque, la lunga procedura della Vinyls resta disciplinata dalle norme precedenti. Tuttavia, la decisione della Corte ribadisce un principio importante: la predeterminazione di un termine “di massima” non solo è legittima, ma garantisce anche una maggiore uniformità e prevedibilità per tutti i soggetti coinvolti, evitando disparità di trattamento e riducendo margini di incertezza.

Impatto della sentenza e prospettive future

La sentenza avrà effetti immediati su numerose controversie simili, offrendo un quadro chiaro ai tribunali di merito chiamati a decidere sulle richieste di risarcimento per processi fallimentari troppo lunghi. I giudici potranno continuare a valutare la complessità delle singole vicende, ma dovranno farlo partendo da un parametro temporale definito dalla legge, non più costruito di volta in volta dalla giurisprudenza.

Tra velocità e giustizia concreta

In un Paese dove la lentezza della giustizia è da sempre uno dei problemi strutturali più avvertiti, fissare limiti certi rappresenta un passo verso la prevedibilità e la tutela dei diritti, senza sacrificare la possibilità di tenere conto delle situazioni particolarmente complesse.

La decisione della Corte Costituzionale, dunque, non chiude solo una disputa giuridica, ma segna un equilibrio tra due esigenze spesso in tensione: la rapidità dei procedimenti e la loro capacità di adattarsi alle complessità della realtà economica e ambientale.

Il testo della sentenza

Qui il documento completo.

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