Operai specializzati introvabili: 4 colloqui su 10 saltano per mancanza di candidati

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Trovare manodopera qualificata sta diventando una missione quasi impossibile per molte imprese italiane, gli operai specializzati sono introvabili: secondo recenti dati tratti da un dossier della CGIA Mestre 4 colloqui su 10 saltano per mancanza di candidati.
Nel 2024, su oltre 5,5 milioni di nuovi ingressi previsti nel mercato del lavoro, più di 800 mila riguardavano operai specializzati, figure indispensabili per numerosi comparti produttivi. Eppure, in quasi due terzi dei casi, le aziende hanno dovuto affrontare gravi difficoltà nel selezionarli. Anche quando la ricerca è andata a buon fine, il percorso è stato lungo: in media, quasi cinque mesi per completare l’assunzione. Un tempo che, in un sistema economico sempre più rapido, rappresenta un freno non trascurabile per la competitività.
A rendere il quadro ancora più complesso è un dato che colpisce per la sua evidenza: in circa il 40 per cento delle selezioni fallite non si è presentato nessuno al colloquio. In altre parole, le imprese hanno cercato, convocato e atteso, senza che alcun candidato si presentasse. Un segnale che testimonia un disallineamento sempre più profondo tra ciò che le aziende cercano e ciò che i lavoratori sono disposti a offrire.
Un divario che parte da lontano
Il problema non è nuovo e ha radici multiple. La combinazione tra calo demografico, progressivo invecchiamento della popolazione e formazione spesso poco allineata alle richieste del sistema produttivo ha progressivamente eroso la disponibilità di personale qualificato. In particolare, l’industria manifatturiera fatica a trovare competenze tecniche specifiche: ciò che si impara a scuola o nei percorsi professionali non sempre coincide con le reali necessità delle imprese.
A tutto questo si aggiungono cambiamenti culturali che stanno ridisegnando le priorità dei giovani lavoratori. Dopo la pandemia, sempre più ragazzi guardano al lavoro con un’ottica differente: chiedono flessibilità, autonomia, più tempo per sé e sono meno disposti a occupazioni con turni prolungati, notti, fine settimana o mansioni fisicamente impegnative. Una trasformazione profonda, che sembra destinata a radicarsi, mettendo in discussione l’organizzazione tradizionale di interi settori.
Le figure più difficili da trovare
Le criticità si concentrano soprattutto in due macro-aree: edilizia e manifattura. Nei cantieri, professioni come carpentieri, ponteggiatori, cartongessisti, stuccatori, piastrellisti, palchettisti, gruisti o escavatoristi risultano sempre più rare.
Nel comparto del legno la situazione non migliora: verniciatori, ebanisti, restauratori di mobili antichi e attrezzisti specializzati sono praticamente scomparsi dal mercato. Nel tessile-abbigliamento scarseggiano modellisti, confezionisti e stampatori; nel calzaturiero la difficoltà riguarda tagliatori, orlatori, rifinitori e cucitori. La metalmeccanica, infine, affronta la penuria di tornitori, fresatori, saldatori certificati, operatori di macchine a controllo numerico e tecnici specializzati nell’assemblaggio di componenti complessi.
Sono proprio queste professionalità, spesso considerate “tradizionali”, a diventare oggi una rarità. Un paradosso in un Paese che vanta una lunga tradizione manifatturiera, ma che fatica a tramandare mestieri essenziali alla propria economia.
Nordest in trincea, Sud con meno ostacoli
Se si guarda alla mappa italiana, le difficoltà non sono distribuite in maniera uniforme. Il Nordest, storicamente cuore pulsante dell’industria, è oggi l’area più sotto pressione. Trentino-Alto Adige, Friuli Venezia Giulia e Veneto registrano i livelli più alti di irreperibilità. Nel 2024, Pordenone è risultata la provincia con i maggiori problemi: oltre il 56 per cento delle assunzioni previste è stato classificato “difficile”. Seguono Bolzano, Trento e Gorizia, anch’esse sopra la soglia del 56 per cento.
All’estremo opposto, il Mezzogiorno mostra percentuali più contenute: Sicilia, Puglia e Campania evidenziano difficoltà più basse rispetto alla media nazionale, con alcune province come Caserta, Salerno e Palermo tra le più “virtuose” per disponibilità di manodopera. Una differenza che apre interrogativi anche sul tema della mobilità geografica: perché le aree dove la domanda è forte non riescono ad attrarre lavoratori da quelle in cui l’offerta è maggiore?
Grandi città, grandi numeri
Guardando alle previsioni per l’ultimo trimestre dell’anno, si stimano circa 1,4 milioni di nuove assunzioni. Milano e Roma si contendono il primato nazionale con oltre 115 mila ingressi previsti ciascuna, seguite da Napoli, Torino, Bari e Brescia. Ma il volume complessivo delle offerte non risolve la questione qualitativa: senza figure adeguate, anche i territori più dinamici rischiano di rallentare.
Un problema che richiede risposte strutturali
Quello che sta emergendo dal dossier della CGIA non è solo un disallineamento temporaneo tra domanda e offerta, ma un problema sistemico. La difficoltà di reperire lavoratori qualificati mette a rischio la tenuta di settori strategici, rallenta progetti e investimenti, riduce la capacità competitiva del Paese e rischia di spingere le aziende a ridimensionare la propria attività o a delocalizzare dove la manodopera è più facilmente reperibile.
Le risposte dovranno essere complesse e coordinate. Occorrerà ripensare l’orientamento scolastico e professionale, rafforzare i percorsi formativi tecnico-specialistici, valorizzare il lavoro manuale come leva di crescita e non come ripiego, favorire la mobilità sia geografica sia tra settori, e soprattutto conciliare le nuove esigenze di qualità della vita con la necessità di mantenere competitivo il tessuto produttivo.
Se non si interverrà pertanto con urgenza, il rischio è che la carenza di operai specializzati diventi un ostacolo cronico allo sviluppo. Un problema che non riguarda solo le imprese, ma l’intera economia italiana.
Il dossier della CGIA Mestre
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