I 60 anni dell’AIS: i ricordi di Edoardo Raspelli
L'Associazione Italiana Sommelier compie 60 anni: dai 500 soci del 1970 ai 45.000 di oggi. Edoardo Raspelli racconta aneddoti, trasformazioni e curiosità dal mondo del vino.
I ricordi di uno che l’ha vista nascere: Edoardo Raspelli
I 60 ANNI DELL’AIS, L’ASSOCIAZIONE ITALIANA SOMMELIER: DAI 500 SOCI DEL 1970 AI 45.000 DI OGGI
L’A.I.S., l’Associazione Italiana Sommelier, ha toccato il traguardo dei 60 anni, essendo nata esattamente il 7 luglio 1965: un anniversario che segna l’evoluzione dall’intuizione del suo fondatore, Jean Valenti, a un’istituzione di riferimento nazionale. L’anniversario darà il via a un 2025 di festeggiamenti che, partendo simbolicamente da Milano — culla dell’associazione — coinvolgeranno tutto il territorio nazionale nel corso dell’anno, grazie all’impegno delle singole associazioni regionali, vera forza dell’AIS. L’obiettivo delle celebrazioni è chiaro: mettere in luce come la crescita e il miglioramento continui abbiano consolidato l’AIS come un ente di primissimo piano, la cui autorevolezza si fonda sull’indipendenza e sull’impegno culturale.
I numeri raccontano una storia di successo: dai 500 soci del 1970 agli oltre 45.000 di oggi.
Ma quali trasformazioni ci sono state in questi 60 anni? Che cosa è cambiato nel mondo del vino, sia in Italia sia nel mondo? In Italia si è passati da un consumo pro capite (bambini compresi) di circa 130 litri l’anno agli attuali 30 litri.
Edoardo Raspelli, che proprio 50 anni fa, terzo al mondo e primo in Italia, creò — su incarico di Cesare Lanza — la vera critica gastronomica, conserva ricordi indelebili di quegli anni:
«Ero goloso, appassionato di gastronomia. Lavoravo come cronista di nera al Corriere d’Informazione, l’edizione del pomeriggio del Corriere della Sera, ma seguivo anche le grandi fiere del BIBE di Genova e i primi passi del Vinitaly di Verona, guidato da Angelo Betti.
Cesare Lanza, prima ancora dei ristoranti, mi ordinò di andare in negozi ed enoteche a comprare dei vini e di farli assaggiare a sommelier ed enotecnici. Lo feci; andammo nella sede dell’Associazione Enotecnici Italiani, resi anonime decine di bottiglie e le feci assaggiare, creando poi la “Schif Parade”. Fu il caos, e Vittorio Fiore, il direttore, si dovette dimettere.
Dal 1975, contemporaneamente alla pagina dei ristoranti che curavo sull’Informazione, conobbi Franco Tommaso Marchi, mitico segretario generale dei sommelier italiani: dopo 8-10 ore di lavoro tra morti ammazzati, andavo ad assaggiare i vini in sede, in via Cesare Correnti 1.
Dino Pozzi, figlio di Angelo, patron del Savini di Milano, era il presidente, poi altri grandi nomi si sono succeduti alla guida: Franco Colombani (suo e oggi dei suoi figli il celebre Sole di Maleo), Dino Boscarato (Amelia, di Mestre), Alberto Ciarla (suo il Ciarla, di Roma), Eddy Furlan, Giuseppe Vaccarini (da ragazzo sommelier di Gualtiero Marchesi e poi Campione del Mondo), il romagnolo Terenzio Medri (suo il K2 di Cervia), Antonello Maietta (nel suo ristorante di Portovenere feci la prima puntata di Piacere RAI 1 con Simona Marchini, Toto Cutugno e Piero Badaloni)…»
Il vino italiano che furoreggiava, unico, negli Stati Uniti era l’“Italian Red Coca-Cola”, ossia il Lambrusco, in particolare quello delle cooperative Le Riunite, presiedute dal senatore comunista Walter Sacchetti.
Angelo Gaja era ancora ben lontano dalla copertina di Wine Spectator, e Pino Khail, con il suo mensile Civiltà del Bere, portava a scoprire le cantine della California Bruno e Marcello Ceretto (ed anche Edoardo Raspelli).
Gli ambasciatori AIS di allora erano Raul Baronti (La Pantera, di Milano, di fronte alla Statale), Beppe Biggica (Berti, sempre a Milano), Toni Cuman, Antonio Piccinardi, tutti cresciuti, come Raspelli, con la guida di Luigi Veronelli.
Henry Krug si ubriacava con Raspelli alla Frasca di Gianfranco Bolognesi (a Castrocaro Terme), i fratelli Raccagni furoreggiavano al Gigiolè di Brisighella, Ezio e Renata Santin all’Antica Osteria del Ponte (a Cassinetta di Lugagnano, Milano), Itala e Carluccio Brovelli al Sole di Ranco. Annie Feolde e Giorgio Pinchiorri aprivano la loro Enoteca Pinchiorri a Firenze e, contemporaneamente a Gianluigi Morini (San Domenico, di Imola), creavano straordinarie cantine-cattedrali.
Piero Sattanino, nel suo torinese Tastevin, inventava il carrello dei vini (che vendeva anche al calice, un bicchiere per volta)…
Nel 1977 Raspelli scriveva per Cesare Lanza il suo primo libro, 100 RISTORANTI TOP a Milano e da Milano, summa della ristorazione di quegli anni ’70, i terribili Anni di Piombo ma anche gli anni della “Milano da Bere” (e non solo Milano): Peppino Cantarelli (a Samboseto di Busseto, Parma), La Rampina di San Giuliano Milanese, i primi passi in cucina di Massimo Spigaroli, oggi sindaco di Polesine Parmense ma, soprattutto, creatore della fama mondiale del Culatello di Zibello.
Franco Tommaso Marchi, segretario generale dei sommelier, salvò Raspelli dalla condanna a morte decretata contro di lui dal boss Francis Turatello («Avevo stroncato il suo ristorante milanese, La Vecchia Milano, ovviamente senza sapere di chi fosse!»). Con il giornalista, Marchi scrisse TUTTOVINO. Dizionario dei sommelier, le 2.000 parole per parlare di vino: utile un raffronto con il linguaggio di oggi.
IL LINGUAGGIO AL RISTORANTE DEI SOMMELIER DI OGGI SECONDO EDOARDO RASPELLI
Oggi la ristorazione è spesso, troppo spesso, addirittura fastidiosa. Senza che nessuno lo chieda, maître e chef de rang sommergono il cliente con storie non richieste: la vita dei produttori di quell’ingrediente, la lunga serie di tutti gli ingredienti di un dato piatto (provenienza, storia familiare, distanze, caratteristiche)… per non parlare poi del linguaggio dei sommelier e di chi, comunque, ti serve un vino che hai ordinato tu!
Un esempio potrebbe essere questo:
«Nelle percezioni quasi tattili dei sensori visivi, si intravedono angoli parcellizzati multicolori: il verdognolo, aggressivamente moderato dal bianco paglierino; il tenue, appena accennato rosso (ricordo indelebile del sostenuto passaggio nelle barrique di tiglio, piuttosto che in quelle di asfodelo).
C’è da esaminare anche il gusto, ovviamente, e allora non possiamo non mettere in risalto gli evidenti sentori di sottobosco, in cui si intravedono leggere sfumature di albicocche muschiate. Si unisce un nulla quasi impercettibile di rosa cagnolina, ovviamente profumata, in sviluppo dalla coltivazione precollinare, che conferisce un fondo caratteristico quasi d’albicocca giunta alla sua maturazione perfetta, anzi addirittura stramatura, con evidenti note floreali di pelle di daino, buccia di pera lignea e un nulla di papavero appassito.»
Qual è la tua reazione?






