Sudan. RSF e alleati annunciano creazione di governo parallelo

di Giuseppe Gagliano –
In un Sudan martoriato da due anni di guerra civile, la nascita di un governo parallelo guidato dalle Forze di Supporto Rapido (RSF) e dai loro alleati segna una svolta che rischia di trasformare la crisi sudanese in un conflitto aperto tra due entità statali concorrenti. Dietro l’annuncio dato a Nyala, capitale del Darfur meridionale, si intravede una strategia precisa: conferire legittimità politica a un blocco armato che, finora, era stato descritto come una forza paramilitare ai margini del potere istituzionale.
Mohammad Hamdan Dagalo, noto come Hemedti, leader delle RSF e ora presidente del nuovo consiglio di governance formato dall’alleanza Tasis, non è più solo un signore della guerra. Con l’appoggio di movimenti armati storici come l’SPLM-N di Abdel Aziz al-Hilu e di una galassia di partiti e organizzazioni civili, Hemedti si propone come alternativa credibile al generale Abdel Fattah al-Burhan, capo delle forze armate regolari e dell’esecutivo a Port Sudan.
Non è un caso che l’alleanza Tasis ponga al centro del suo progetto la creazione di uno Stato laico, democratico e decentralizzato. È una visione che ambisce a rovesciare l’eredità del “vecchio Sudan”, caratterizzato da una governance centralizzata, autoritaria e dominata da élite arabe musulmane. Tuttavia, la realtà del conflitto e le accuse di crimini di guerra contro entrambe le parti rendono questa promessa un’arma a doppio taglio: strumento di mobilitazione politica, ma anche fonte di sospetti per chi teme un’ulteriore frammentazione dello Stato.
L’Egitto, insieme a potenze del Golfo come Arabia Saudita e Qatar, ha respinto con decisione la legittimità dell’iniziativa Tasis, avvertendo che un governo parallelo rischia di frantumare definitivamente l’unità nazionale sudanese. Il triangolo di confine tra Sudan, Libia ed Egitto è già un focolaio di tensioni, con le RSF che hanno recentemente conquistato posizioni strategiche per interrompere le vie di rifornimento dell’esercito.
Al-Burhan, dal canto suo, ha cercato di mantenere una parvenza di controllo, approvando un cessate il fuoco umanitario a El-Fasher. Ma la tregua sembra più un tentativo disperato di guadagnare tempo in un conflitto che vede le forze armate regolari sempre più assediate, soprattutto nel Darfur e nel Kordofan occidentale.
Oltre 24mila morti, 13 milioni di sfollati, carestia e colera che avanzano senza freni: questi sono i numeri di un conflitto che sta distruggendo il tessuto sociale sudanese. L’ascesa di un governo parallelo rischia di aggravare ulteriormente la crisi umanitaria, rendendo impossibile qualsiasi mediazione internazionale e consolidando la logica dei due Stati rivali.
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