I department store in Usa affondano: tra chiusure e liquidazioni, il retail cambia pelle
Il retail americano continua ad attraversare una delle sue fasi più difficili. I department store, colonne portanti del commercio al dettaglio americano del ‘900, oggi mostrano il frutto di affanni che si prolungano ormai da anni e un calo sempre maggiore dello stato di salute di tutta la sua rete in favore di nuovi canali di acquisto. L’aumento delle tariffe e il cambiamento delle abitudini di consumo stanno erodendo i margini di profitto e mettendo in discussione la sostenibilità del modello di business tradizionale. Le recenti notizie che riguardano colossi come Macy’s, Hudson’s Bay Company e Saks Global non lasciano dubbi: il settore è in crisi sistemica e i player sono costretti a misure drastiche come liquidazioni, licenziamenti, chiusure in blocco di punti vendita o finanziamenti per tentare di restare a galla.
Tra i più recenti interventi annunciati c’è quello di Hudson’s Bay, storico retailer canadese, che conta di lasciare a casa a ben 8.437 dipendenti – ovvero l’89% della sua forza lavoro – entro domenica 1 giugno, quando concluderà la liquidazione. Il big della Baia di Hudson – tra i più longevi al mondo data la sua fondazione nel 1670 – aveva presentato istanza di protezione dai creditori nel marzo 2025, citando difficoltà nel reperire finanziamenti e ritardi nei pagamenti ai fornitori. La situazione è precipitata al punto che l’azienda ha annunciato l’intenzione di liquidare e chiudere 74 negozi Hudson’s Bay, due Saks Fifth Avenue, cui fa capo, e tutti i 13 outlet di Saks Off 5th in Canada, mettendo a rischio complessivamente più 9.000 posti di lavoro qualora non avesse trovato una soluzione alternativa. Già nel 2018, la catena di grande magazzini connazionale Sears Canada aveva chiuso causando il licenziamento di circa 12mila dipendenti.
Arranca anche il colosso statunitense Macy’s, che ha tagliato le stime di profitto per il 2025, portando l’utile per azione previsto tra 1,60 e 2 dollari, in calo rispetto alla precedente forchetta di 2,05–2,25 dollari. Nel 2024, Macy’s aveva registrato un fatturato totale di 23 miliardi di dollari (circa 20 miliardi di euro al cambio attuale), in calo rispetto ai 23,9 miliardi dell’anno precedente. Le vendite nette si sono attestate a 22,3 miliardi di dollari, con un calo del 3,5% rispetto al 2023. A pesare sono state le tariffe imposte sui prodotti cinesi – da cui proviene circa il 20% della merce venduta da Macy’s – e una domanda più debole da parte dei consumatori americani, sempre più selettivi e digitalizzati. In risposta alla crisi, il retailer ha avviato un massiccio piano di ristrutturazione che prevede la chiusura di 150 punti vendita entro il 2027, di cui 66 già in chiusura nel corso del 2025. Nonostante questo ridimensionamento, Macy’s punta a rilanciare i suoi marchi di fascia alta come Bloomingdale’s e Bluemercury, che hanno registrato performance positive, indicando uno spostamento della strategia verso il segmento luxury-beauty.
Poi ancora, Saks Global, che gestisce Saks Fifth Avenue e Neiman Marcus, ha mostrato anch’esso segni forte affanno, ricorrendo alla richiesta di un finanziamento di emergenza di 350 milioni di dollari, che evidenzia in generale le difficoltà finanziarie del settore. Sebbene Saks Global non sia coinvolta direttamente nella procedura di protezione dai creditori di Hudson’s Bay, la necessità di tale finanziamento indica una pressione significativa anche su questo retailer di fascia alta.
Strategie non puntuali, strutture costose, una digitalizzazione lenta ad arrivare e la mancata lettura dei trend generazionali hanno reso questi colossi dello shopping vulnerabili e li ha costretti ridimensionarsi, chiudere, cercare capitali o persino sparire. Secondo i dati del settore, la quota di mercato dei department store negli Stati Uniti è passata da oltre il 14% nel 1990 a meno del 3% nel 2024 (-78%), un tracollo che fotografa con chiarezza il cambiamento strutturale in atto.
Ma il declino dei department store non è un fulmine a ciel sereno. Da anni, questi grandi magazzini faticano a competere con l’ascesa dell’e-commerce, dei discount aggressivi di piattaforme come Temu e Shein ma anche dei brand diretti al consumatore. Le nuove generazioni, inoltre, prediligono esperienze d’acquisto più curate, personalizzate e digitali, lontane dalla logica dispersiva dei grandi store generalisti e dunque la metamorfosi in corso non è solo un fatto commerciale, ma un segnale sociale e culturale, che mostra come il futuro del retail passi per innovazione, selezione e un prezzo competitivo, e non si curi della grandezza dei suoi spazi.
Tuttavia c’è ancora chi va controcorrente. È il caso del francese Printemps che ha scelto proprio New York come cornice per l’apertura del suo primo department statunitense. E facendo riferimento a quanto aveva riferito in un’intervista a Pambianconews Anne-Manuelle Gaillet di CastaldiPartners, tra i pillar per il buon andamento di questo format retail nell’attuale contesto sociale ed economico c’è necessità di differenziazione e soprattutto di valorizzazione di luoghi storici. Non è un caso che Printemps abbia scelto proprio il distretto finanziario più noto al mondo: Wall Street. Il segno della sua volontà di reinventarsi parte dalla location ma si concretizza soprattutto nello slogan ‘Not a department store’. Non solo grande magazzino, dunque, quale Printemps è dal 1865 quando Jules e Augustine Jaluzot scelgono di aprire il loro primo Grand Magazin du Printemps in Boulevard Haussmann. Ma dopo 160 anni di storia, evoluzione e numerose aperture, il celebre grande magazzino di lusso francese, vuole affermarsi come un progetto strutturato e moderno, che cambia le regole del gioco. “L’obiettivo è che le persone si fermino a lungo all’interno degli spazi del mega store, che si rilassino consumando un pasto, bevendo un drink, che trovino servizi utili, che possano trascorrere un’intera giornata all’insegna del benessere”, aveva affermato dal CEO Jean-Marc Bellaiche a margine dell’inaugurazione avvenuta a marzo 2025.
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