Perché il direttore illuminato è stato rimosso dal carcere di Venezia: il caso di Enrico Farina, quando il medico fa paura
Parlare di merito è semplice se si ignora da dove si parte, è facile invocare il merito quando si vive in quartieri prestigiosi, si frequentano le migliori scuole, si cresce circondati da reti familiari e culturali solide. Ma cosa significa merito per chi nasce in periferia, frequenta scuole pubbliche e attraversa momenti bui, combatte ogni giorno contro ostacoli invisibili? Il merito in questi casi non è un premio, è una conquista e proprio per questo, dovrebbe essere protetto, valorizzato, riconosciuto.
Il caso del direttore Enrico Farina rimosso improvvisamente dal carcere maschile di Venezia, ci costringe a interrogarci su cosa intendiamo davvero per merito. Farina ha trasformato una struttura degradata in un luogo di cultura, lavoro e dignità. Ha firmato protocolli con istituzioni e imprese, ha coinvolto la Biennale, le Gallerie dell’Accademia, gli Albergatori, ha costruito ponti tra il dentro e il fuori, ha ridotto la recidiva, ha restituito senso alla pena. Eppure, è stato rimosso con una formula ambigua: “sospensione temporanea per motivi organizzativi”. Una motivazione che, nella sua vaghezza, ha arrecato nocumento non solo al Direttore, ma anche alle persone detenute, al personale, ai volontari, a un intero ecosistema che stava rifiorendo. Il rischio è una regressione trattamentale per le persone detenute che perdono un riferimento umano e progettuale; le attività avviate rischiano di essere interrotte, il carcere torna ad essere luogo di contenimento, non di cambiamento.
In un sistema penitenziario con 17.000 persone detenute in esubero e 20.000 unità di personale in meno, servirebbero centinaia di direttori come Farina, eppure, quando una struttura funziona, viene smantellata, come è stato smantellato nel reparto G8 di Rebibbia il padiglione “Venere” creato dall’ispettrice Cinzia Silvano. Forse il merito, quando è autentico disturba, forse il cambiamento, quando è reale spaventa, forse il sistema, quando vede un faro, preferisce spegnerlo piuttosto che seguire la luce. E qui il paradosso si fa evidente, questo stesso governo ha voluto dedicare il nome del Ministero dell’istruzione al “Merito” come principio guida. Ma se il merito non viene riconosciuto quando si manifesta nella sua forma più concreta e trasformativa, allora quel nome rischia di essere solo una parola vuota.
Il merito non è solo eccellenza, è resistenza, è capacità di costruire nel buio, di generare fiducia dove c’era abbandono, di restituire dignità dove c’era solo pena. Non solo il caso Farina o dei tanti Farina/Silvano ci chiedono in questo periodo particolare di difendere il merito che nasce dal basso, che costruisce ponti, che restituisce umanità. Perché il vero merito è quello che non si può ignorare e che proprio per questo, fa paura.
*Da Rebibbia
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