Porto Empedocle tra zolfo e sale: il futuro dei bambini tra la fuga come i fratelli più grandi o un futuro da affittacamere

Le navi a Porto Empedocle imbarcavano zolfo e salgemma provenienti dalle vicine miniere. Lo zolfo prendeva alla gola, il sale abbagliava. Entrambi arrivavano in porto sui carretti: il primo era accatastato in grossi panetti; il sale, in attesa di un possibile imbarco, restava ammucchiato in cumuli che segnavano il confine non soltanto fra il paese e il porto, ma anche fra la vita cittadina e l’attività notturna – darrè ’u sali – delle prostitute.

Avevamo polvere sulfurea e bianca fin dentro ai polmoni. Zolfo e sale compaiono insieme nella Bibbia: «Il Signore fece piovere su Sodoma e Gomorra zolfo e fuoco dal cielo» (Genesi 19,24); la moglie di Lot «si voltò a guardare e divenne una statua di sale» (19,26). Nel Deuteronomio ritornano i due elementi: «La terra sarà tutta zolfo, sale e bruciatura: non sarà seminata né farà germogliare nulla» (29,23). Ho appreso che, nella tradizione biblica, lo zolfo è strumento delle punizioni divine: brucia senza purificare. Il sale è invece la fissità della statua rivolta all’indietro, la figura cristallizzata di chi non sceglie il futuro – mentre gli uccelli, ha scritto Gianfranco Ravasi sulla Domenica del Sole 24 Ore, volano protesi in avanti. Quel mio paese non c’è più, e guai fermarsi a guardare indietro: capire la propria storia è una cosa, rimpiangerla è tutt’altro: ci allontanerebbe ancor più dai bambini che ho visto uscire oggi a frotte dalla scuola, allargandosi sulla strada come una pozza d’acqua nel deserto.

A loro il paese non offre spazi di condivisione, salvo qualche struttura sportiva privata e videogiochi vecchi ancor prima di nascere. Se ne andranno, come i loro fratelli più grandi, o resteranno ad affittare le camere. Salvo che la condanna di zolfo e sale non si estingua, e quei bambini – non più oasi nel deserto – trovino finalmente un luogo in cui crescere.