The Drifter Recensione


Comincio questo mio articolo "The Drifter Recensione" con una confessione: sono sempre stato scarso con i giochi che richiedono l’uso della materia grigia. Sono cresciuto accanto a un compagno di giochi riflessivo e strategico, un asso in certe tipologie di titoli, mentre io ero quello dal dito facile: prima mashavo sui tasti e poi pensavo.
Eppure, forse perché la volpe che non raggiunge l’uva finisce per desiderarla ancora di più, le avventure grafiche punta e clicca mi hanno sempre affascinato. Tantissimo.
Si potrebbe pensare che col tempo si migliori, io sono la prova vivente del contrario. Ma il problema si è fatto meno pressante, perché con gli anni questo genere un tempo glorioso, è quasi scomparso. Nonostante la mia cronica inettitudine, ho finito comunque per giocarne un discreto numero, e con il tempo mi sono fatto un’idea piuttosto precisa di come il genere sia cambiato, e in gran parte "sbiadito" negli ultimi vent’anni.
Per fortuna, alcuni raggi di luce nel buio ci sono stati: ho trovato Lost in Play incantevole, ho apprezzato l’umorismo fuori di testa di Deponia, sono rimasto a fissare il vuoto dopo la fine di The Cat Lady, ho apprezzato Thimbleweed Park, sono rimasto spiazzato da Unavowed, ho amato visceralmente la prima stagione di The Last Door e infine ho adorato il breve e splendido The Supper, una piccola gemma gratuita che vi consiglio caldamente di recuperare.
Partirò direttamente dalla conclusione: The Drifter è, senza troppi giri di parole, una meraviglia e merita senza dubbio un posto in questa lista di eccellenze. Pubblicizzato come “pulp adventure thriller”, mescola noir urbano, horror psicologico e fantascienza, con enigmi logici e ritmo serrato fin dalle prime scene.
Adotta una splendida grafica in pixel art, dallo stile retrò ma ricco di dettagli e animazioni fluide. I fondali, disegnati a mano, restituiscono atmosfere cupe, urbane e crepuscolari, evocando un mondo decadente e realistico, intriso di malinconia. I personaggi, pur stilizzati, sono animati con espressività notevole. La palette cromatica vira spesso su toni desaturati e lividi, accentuando la tensione e il senso di precarietà della storia.
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La prima scena mette subito in chiaro il tono del racconto[/caption]
WHENEVER I MAY ROAM
Per lo sviluppo lo studio australiano Powerhoof si è affidato a PowerQuest, un tool kit sviluppato internamente come estensione per Unity e distribuito gratuitamente a tutti, una sorta di RPG Maker per le avventure grafiche. Pensato per semplificare lo sviluppo del genere punta e clicca, consente di creare dialoghi ramificati, gestire inventari, hotspot e logiche degli enigmi in modo intuitivo e visuale, anche senza conoscere codice. Semplice da usare ma potente, PowerQuest è la spina dorsale tecnica del gioco e al contempo una dichiarazione d’amore per un genere che merita di essere ancora raccontato. Ma non è solo la struttura tecnica a brillare: anche il comparto sonoro e recitativo contribuisce in modo decisivo alla riuscita dell’esperienza. Le musiche firmate da Mitchell Pasmans e Louis Meyer ricevono unanime elogio per il loro stile elettronico sintetico, evocativo di atmosfere anni ’80 e di un mood da thriller cinematografico. Ogni singola linea di dialogo è doppiata. Il cast si distingue per un’eccellente versatilità e per un livello medio davvero alto: sebbene molti interpreti rivestano ruoli secondari o multipli, riescono a conferire a ogni personaggio un timbro riconoscibile e un tono espressivo di grande finezza. A rubare la scena è però la performance vocale di Adrian Vaughan nei panni di Mick Carter, a dir poco magistrale: una voce roca, profonda e carica di tormento, che infonde vita e credibilità tanto ai dialoghi drammatici quanto ai commenti al vetriolo e alle amare battute fatte come voce narrante. Mick, il protagonista di questa storia, è un uomo dal passato ingombrante, che si ritrova a bordo di un treno diretto verso casa, dove aveva promesso di non fare più ritorno, a causa dell'imminente funerale della madre. Da lì, applicando alla lettera la legge di Murphy, tutto quello che può andare storto effettivamente lo fa e per una serie di eventi Mick si ritrova nel posto sbagliato al momento sbagliato, finendo a far compagnia ai pesci, morendo affogato e risvegliandosi pochi istanti prima della sua morte, consapevole di ciò che sta per (ri)accadere e con pochi secondi a disposizione per cambiare il proprio destino. Il gioco intreccia una cospirazione fantascientifica con viaggi nel tempo, sparizioni misteriose e organizzazioni sinistre, restando saldo su temi come trauma, lutto, identità e memoria. [caption id="attachment_1101312" align="aligncenter" width="1280"]
THE FUGITIVE
The Drifter mantiene il cuore tradizionale delle avventure punta e clicca, ma lo riveste con una veste moderna e agile, eliminando molte delle asperità storiche del genere. La struttura dei comandi si affida a un design essenziale ma incisivo, in cui l’interazione con il mondo di gioco si sviluppa in maniera automatica e pertinente, snellendo le azioni disponibili e scongiurando ogni forma d'ambiguità. Questo, unito a un sistema di tracciamento degli obiettivi e a un inventario snello, contribuisce a rendere l’esperienza fluida e immersiva, perfettamente fruibile anche tramite controller. Dal punto di vista del design, gli enigmi si distinguono per coerenza interna e per il forte legame con la narrazione. Non si tratta di rompicapi fini a sé stessi, ma di problemi logici ancorati a situazioni verosimili, quasi sempre connessi alle regole del mondo di gioco e allo stato mentale del protagonista. Gli oggetti che si raccolgono sono pochi e spesso hanno un utilizzo molto specifico, eliminando del tutto il tipico pixel hunting o le combinazioni casuali che affliggono molti esponenti del genere. Se poi non bastasse a debellare completamente la piaga del pixel hunting c'è anche una comoda opzione che permette di evidenziare tutti i punti d'interesse a schermo. C’è una volontà evidente di mantenere alta la tensione narrativa anche nei momenti interattivi: per esempio, le sezioni in cui Mick è in pericolo non si limitano a quick time event, ma propongono mini enigmi contestuali da risolvere sotto pressione. Questo rinforza il senso di urgenza e coinvolgimento, senza sacrificare la coerenza del gameplay. A tal proposito, un ulteriore elemento di interesse è l’integrazione del loop temporale nella struttura dei puzzle. Nelle sezioni in cui è possibile morire e rivivere lo stesso momento permette al giocatore di acquisire informazioni essenziali per modificare il corso degli eventi. Questo espediente, ben inserito nella storia, aggiunge una componente meta-ludica che ricorda Outer Wilds o The Forgotten City, sebbene in forma più contenuta. Anche se personalmente mi ha ricordato tantissimo Higurashi/When they cry una visual novel che ha ricevuto anche due adattamenti animati. [caption id="attachment_1101311" align="aligncenter" width="1280"]
THE DRIFTER
La difficoltà degli enigmi è calibrata con cura: sufficientemente stimolante per soddisfare i giocatori abituali delle avventure grafiche, ma mai al punto da diventare punitiva o frustrante. L’approccio è pragmatico e minimalista, e ogni puzzle sembra costruito con l’obiettivo di far avanzare il ritmo narrativo piuttosto che ostacolarlo. The drifter offre un’esperienza compatta ma intensa, con una durata complessiva che si aggira attorno alle 8-9 ore. La struttura fortemente narrativa e lineare non offre alcun incentivo nel rigiocare l'avventura se non per il puro piacere di farlo. Non sono presenti, infatti, scelte ramificate o finali alternativi. Il gioco prosegue per tutti i nove capitoli spedito e con ritmo serrato, mantenendo alta la tensione e la curiosità. [caption id="attachment_1101313" align="alignnone" width="1280"]
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