Whistleblowing, c’è una guida per aiutare i cittadini a denunciare i combattimenti tra cani

I cani non possono prendere parola per denunciare gli abusi che subiscono tra le mura di canili e allevamenti. Diventa fondamentale, allora, sapere come prendere le loro parti, anche attraverso lo strumento del whistleblowing
Ogni cittadino può e deve fare il proprio dovere nel denunciare i reati che colpiscono gli animali, a partire da uno dei più odiosi: il combattimento tra cani.
Per questo due realtà del terzo settore – Humane World for Animals Italia e Fondazione Cave Canem – stanno organizzando eventi di divulgazione e pubblicando materiali informativi sul ruolo del whistleblower, destinati a chi si trova, proprio malgrado, ad assistere a un abuso.
Il meccanismo del whistleblowing
In Italia, la protezione dei whistleblower è regolata dal Decreto Legislativo 24/2023, che recepisce la Direttiva Ue 2019/1937. Questa normativa garantisce tutele a coloro che, anche in ambito lavorativo o istituzionale, scelgono di segnalare alle autorità violazioni del diritto europeo o nazionale, incluse quelle che riguardano la tutela degli animali.
Si parla per esempio di maltrattamenti, abbandoni o detenzione illegale di fauna protetta. Affinché segnalazioni di questo tipo vengano effettivamente avviate e possano poi tradursi in azioni efficaci, è infatti fondamentale che chi denuncia sia protetto da ritorsioni, isolamenti professionali o rischi legali.
È così che il whistleblowing consente di intercettare condotte scorrette anche laddove l’apparato ispettivo tradizionale non riesce ad arrivare, ossia all’interno di strutture chiuse e opache, fondate sulla complicità tra i dipendenti di un’attività o tra concittadini.
Quando ci si riferisce a reati contro gli animali, queste strutture corrispondono in genere a canili, allevamenti, laboratori e aziende agricole. Qui purtroppo possono avvenire – e avvengono – spaventose violazioni: recenti operazioni delle forze dell’ordine, spesso avviate proprio grazie alle segnalazioni di semplici cittadini, hanno portato alla luce casi di cani detenuti in pessime condizioni igieniche, percossi, feriti e affamati.
Come denunciare un combattimento
In Italia tra questi reati spicca – per frequenza e crudeltà – quello dei combattimenti clandestini tra cani. Solo negli ultimi mesi, sulla stampa locale e nazionale si è parlato di combattimenti avvenuti nelle periferie di Milano, Imperia e Roma, in cui erano coinvolti allevamenti e organizzazioni criminali.
Humane World for Animals Italia e Fondazione Cave Canem hanno scelto di concentrarsi proprio su questo fenomeno nella loro nuova guida per whistleblower – Io non combatto.
“Nell’ambito delle tue attività lavorative o private giornaliere potresti notare segni di combattimenti tra cani – spiegano le associazioni al lettore – in tal caso, sarà possibile segnalare il fatto a qualsiasi Forza di Polizia. Vi sono poi alcune forze, come il Comando unità forestali, ambientali e agroalimentari dell’Arma dei Carabinieri, che hanno accumulato una particolare competenza rispetto ai reati in danno agli animali“.
In Italia, infatti, esiste un reato specifico che copre questa casistica e, dunque, qualunque forza di polizia sarà tenuta a intervenire. In particolare, i combattimenti fra animali sono puniti dall’art. 544 del Codice penale, in cui si legge: “chiunque promuove, organizza o dirige combattimenti o competizioni non autorizzate tra animali che possono metterne in pericolo l’integrità fisica è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da 50.000 a 160.000 euro“.
Tra le aggravanti – che aumentano la pena da un terzo alla metà – troviamo il coinvolgimento di minorenni o di persone armate e la produzione di foto o video dei combattimenti, materiali che in genere vengono poi utilizzati per la promozione degli scontri e diffusi via chat o in gruppi chiusi.
Non solo: anche chi alleva i cani destinati ai combattimenti, ne è proprietario o organizza scommesse su di loro, commette un reato.
Le razze e gli indizi da tenere d’occhio
Se si ha il sospetto che nella propria zona dei cani vengano allevati per poi impiegarli in combattimenti clandestini, può essere utile sapere innanzitutto se appartengono alle razze più colpite da questo reato.
“Le razze maggiormente utilizzate sono quelle della famiglia dei molossoidi – spiegano gli esperti di Fondazione Cave Canem – il pitbull americano è quello più gettonato dai dogfighter organizzati; quelli di strada usano anche altre razze: alano spagnolo, boxer, bulldog americano, cane corso, mastino inglese, brasiliano o napoletano, pastore dell’Asia Centrale, Rottweiler, Shar Pei“.
In genere, tutti questi cani non sono sterilizzati e presentano cicatrici sul muso. È importante però ricordare che non tutti i cani coinvolti questo traffico sono impegnati direttamente negli scontri.
Alcuni esemplari hanno infatti il ruolo di fattrici e altri di sparring partner che vengono utilizzati per allenare altri cani: “purtroppo è facile riconoscerli, non soltanto per i notevoli danni fisici che riportano, ma soprattutto per i traumi psicologici, che rendono la maggior parte di loro assenti e assolutamente insensibili nei confronti di qualunque stimolo proposto“.
Questi animali devono infatti essere il più possibile inoffensivi, per non danneggiare i combattenti. Ci sono poi una serie di indizi a cui prestare attenzione:
- la detenzione dei cani alla catena, spesso assicurata con un lucchetto
- la presenza di molti cani allevati in un cortile di dimensioni ridotte o in un seminterrato
- la presenza, nell’area in cui sono tenuti i cani, di un tapis roulant, usato per gli allenamenti
Un segnale inequivocabile è la classica arena in compensato: in genere i ring costruiti per far scontrare i cani misurano tra i 18 e i 36 metri quadrati e presentano pareti alte circa 1 metro.
Qualunque sia la situazione sospetta a cui ci si trova di fronte, l’importante è agire con la massima prudenza e rispettando tutte le norme che tutelano la privacy e la proprietà privata.
Sì a foto e video, ma con le giuste cautele: “rimane lecito fotografare e riprendere situazioni e fatti che avvengono in luoghi pubblici – si legge nella guida – aperti al pubblico o visibili da luoghi pubblici, per esempio attraverso la rete di recinzione di un giardino. Tuttavia, tali riprese non dovranno essere diffuse, ma consegnate solamente alle Forze di Polizia o agli organi inquirenti“.
Crediti immagine: Depositphotos
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