Anche Trapani nel suo piccolo ha il suo Trump (allacciatevi le cinture)

Dicono che ogni tempo abbia il suo populismo. A Trapani, il populismo contemporaneo ha l’accento romano, un’ambizione cosmica e la strategia commerciale del merchandising calcistico. Il protagonista si chiama Valerio Antonini. È un imprenditore spuntato dal nulla – o meglio, da un passato nel mondo delle commodities internazionali, tra caffè, cereali, riso, affari con Maradona e un paio di dittature, da Cuba al Venezuela – con un talento unico per la narrazione di sé e un portafogli che in città si è fatto notare prima ancora del suo volto.
In meno di due anni, Antonini ha messo le mani su tutto ciò che a Trapani genera visibilità: il Trapani Calcio, che ha riportato in Serie C; il Trapani Shark, squadra di basket portata ai playoff in Serie A; l’emittente televisiva locale Telesud, trasformata in una vetrina permanente del proprio ego imprenditoriale e politico.
Ma non bastava. In tempi di grande confusione tra sport e sovranismo, Antonini ha deciso che la sua parabola doveva diventare movimento politico. Così, a metà luglio, in una diretta fiume in tv, ha annunciato la nascita di “Futuro – Il nuovo Rinascimento”, il partito con cui vuole vincere le elezioni a Trapani e sedersi al tavolo del centrodestra per un posto al Senato alle prossime politiche.
Per lanciare il progetto ha scelto una trovata in stile Donald Trump: la vendita (lui dice diecimila pezzi) di cappellini rossi con la scritta “Make Trapani Great Again”. Non è una battuta: esiste davvero, e si possono acquistare sul sito delle squadre sportive. La campagna è partita da Trapani, ma ha già ambizioni provinciali, regionali, planetarie. Come l’ego del suo fondatore.
Fin qui la parte grottesca. Quella inquietante, invece, è il manifesto programmatico con cui il movimento si presenta ai cittadini. Un documento di quattro pagine – scritto, con ogni probabilità, da un’intelligenza artificiale poco addestrata – che esordisce parlando di libertà, valori, trasparenza, e finisce per chiedere la rieducazione dei giornalisti locali.
Quindi, a Trapani nasce un nuovo partito, che nel suo manifesto, non parla di criminalità, infrastrutture, politiche per il lavoro, giovani che scappano. Ma individua il vero problema di Trapani e della Sicilia occidentale nei giornalisti.
Secondo “Futuro”, l’informazione a Trapani è «distorta», «manipolata», guidata da interessi oscuri. Il movimento propone quindi di rieducare i giornalisti e di avviare «percorsi di formazione» per migliorare la qualità della stampa. Tradotto: scrivete solo se vi autorizziamo noi.
Non si era mai visto, in Italia, un partito politico che debutta proponendo la rieducazione del sistema dell’informazione. A Trapani succede anche questo. E non è folklore. In cima ai giornalisti da rieducare c’è chi scrive. Colpevole, ancora una volta, di non aver chinato il capo al nuovo padrone, ma di aver cercato di capire. Di aver fatto domande, sollevato dubbi, scritto inchieste.
In questi mesi, con il mio sodale Nicola Biondo e la coraggiosa pattuglia di Tp24, abbiamo cercato di capire l’origine della fortuna del nuovo re di Trapani, abbiamo raccontato come la Regione gli abbia dato un contributo pubblico anomalo di trecentomila euro per un progetto turistico (sulla carta) che altro non è che il sostegno alle spese del Trapani Calcio; di come il figlio del Presidente della Regione, Renato Schifani, sia il braccio destro di Antonini; delle irregolarità che hanno portato le due squadre di calcio e basket a pesanti penalizzazioni per i prossimi campionati.
Ogni volta che queste notizie venivano pubblicate, la reazione di Antonini era identica: insulti, offese, attacchi personali, querele annunciate in diretta tv, illazioni sul sottoscritto, sui nostri collaboratori, sulle nostre famiglie. E ancora: striscioni allo stadio (ne abbiamo parlato anche su Linkiesta), una maxi richiesta di risarcimento danni da dieci milioni di euro.
Sui social – soprattutto su X – la comunicazione del nuovo leader è una via di mezzo tra un tiktoker tredicenne compulsivo e un candidato alle primarie del Partito Repubblicano assorbito dal movimento Maga di Trump: dirette quotidiane, video selfie, sfoghi, accuse, doppiopetti su misura e monologhi con lo sfondo del suo yacht. A metà tra propaganda e marketing motivazionale.
Fuori da Trapani, quasi nessuno ne parla. Eppure il caso meriterebbe attenzione. Perché ciò che sta accadendo qui non è una faida locale, ma un test culturale e democratico. Un uomo solo al comando, con soldi, sport, una tv, un partito personale e un cappellino. Il suo obiettivo? Costruire un sistema di consenso totalizzante. E azzerare il dissenso, soprattutto quello più pericoloso: l’informazione indipendente.
Il modello è semplice, e funziona: occupare i centri del tifo, addomesticare la comunicazione, neutralizzare i giornalisti, proporsi come unica alternativa. Sarà anche provincia, sarà anche folklore, ma è esattamente così che cominciano le derive. Con un cappellino, un microfono, il tifo. E una certa idea del mondo.
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