Come l’Italia può diventare il nuovo hub digitale del Mediterraneo

Dicembre 6, 2025 - 20:30
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Come l’Italia può diventare il nuovo hub digitale del Mediterraneo

Il funzionamento di internet in tutto il mondo  passa da poco più di quattrocento cavi in fibra ottica distesi sui fondali marini. Una rete globale che si estende per quasi 1,3 milioni di chilometri. Circa venticinque di questi cavi si trovano sotto le coste italiane, rendendo il nostro Paese un punto nevralgico della connessione dati. La geografia ha determinato per secoli la storia dell’Italia rendendola il centro del mondo dalla Roma antica al Medioevo. Il mercato è cambiato, ma non la sua logica. A circolare ora sono i dati, la nuova moneta di scambio del digitale e l’Italia ha il potenziale per diventare uno dei maggiori hub digitali del ventunesimo secolo.

Secondo il rapporto “Data Center in Italia realizzato da Rina Prime in collaborazione con il Centro Europa Ricerche, negli ultimi cinque anni l’Italia ha intensificato lo sviluppo di cavi sottomarini internazionali. Dal 2023 è operativo il cavo BlueMed dell’azienda di telecomunicazione Sparkle, che collega l’Italia con il Mediterraneo orientale attraverso un sistema di cavi articolato, che integra gli approdi di Palermo, Genova e i collegamenti terrestri verso Milano all’interno di una rotta internazionale estesa. La società punta a rendere il capoluogo ligure uno snodo centrale tra Europa, Medio Oriente e Asia attraverso il raddoppio della costruzione di cavi nel bacino del Mediterraneo. Il colosso Meta, insieme a China Mobile e Vodafone, ha investito nel progetto 2Africa, un cavo che si estende per più di quarantacinque mila chilometri connettendo Europa e Africa. Google, invece, sta finanziando il progetto SeaMed che ambisce a collegare Palermo alla Turchia e al Mediterraneo orientale.

Al centro del Mediterraneo, il posizionamento strategico dell’Italia è in grado di attirare gli investimenti del Big Tech. Ma a nutrire le speranze di diventare un centro nevralgico per il digitale mondiale c’è anche il settore dei data center. In Italia, al momento, il cuore dell’industria dei data center si trova in Lombardia, grazie a una combinazione perfetta di vantaggi logistici e di saturazione dei mercati concorrenti. Londra, Amsterdam e Francoforte, tradizionali sedi dei grandi hub digitali europei, stanno attraversando una fase di forte pressione infrastrutturale, tra limiti energetici, vincoli urbanistici e crescente domanda di capacità. I colossi del tech hanno quindi spostato l’attenzione sui siti brownfield della regione lombarda. Si tratta di terreni industriali dismessi immediatamente disponibili all’insediamento produttivo che rispondono agevolmente alla domanda del mercato.

Di recente il ministero delle Imprese e del Made in Italy ha approvato progetti per la costruzione di quattordici nuovi data center dal valore di 2,5 miliardi di euro nell’hinterland milanese. Tra i maggiori finanziatori ci sono le aziende leader Microsoft, AWS e Google che hanno deciso di concentrarsi nell’area padana anche vista la vicinanza ai punti di accesso alla rete dei cavi sottomarini. In generale, sempre il report “RINA Prime Report Data Center 2025” prevede per il biennio 2025-2026 investimenti di circa 10,1 miliardi di euro per la realizzazione di nuove infrastrutture digitali su tutto il territorio italiano, confermando l’espansione del mercato immobiliare italiano dei data center.

Gli investimenti approvati sono ingenti, ma rischiano di rimanere solo sulla carta e l’attrattiva che il nostro Paese sta suscitando nel mondo della Big Tech internazionale rischia di indebolirsi di fronte al fabbisogno elettrico che i data center reclamano. L’alimentazione e il raffreddamento dei server richiede massicce quantità di energia elettrica per funzionare. LA complicare il quadro si inserisce la necessità di individuare soluzioni energetiche sostenibili anche dal punto di vista ambientale.

La normativa europea definisce una serie di criteri che garantiscono l’efficienza energetico-ambientale dei data center, imponendo tra le altre cose l’utilizzo di liquidi di raffreddamento a basso impatto climatico e il divieto d’uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature digitali affinché possano essere riciclate o correttamente dismesse. Le fonti di alimentazione primaria rimangono però il principale nodo per l’Italia, ancora incapace di trovare un accordo sul nucleare e in ritardo rispetto agli obiettivi di produzione di energia attraverso le rinnovabili previsti per il 2030.  

In un Paese che fatica a sganciarsi dal passato, è difficile guardare al futuro. La resistenza all’innovazione ha sempre rappresentato un problema strutturale per l’Italia, la cui paura del cambiamento è una questione culturale, prima che politica o economica. Ma per dare un senso al suo posizionamento strategico è necessario avere una visione strutturata a lungo termine e disporre della capacità di metterla in atto, altrimenti il futuro atteso rischia di giacere in silenzio sul fondo del mare. 

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Redazione Redazione Eventi e News