Cosa succede durante un’anteprima vino

Dicembre 4, 2025 - 11:00
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Cosa succede durante un’anteprima vino

Benvenuto Brunello compie trentaquattro anni, e li porta benissimo: ogni edizione riesce a radunare un esercito di giornalisti enologici pronti a sacrificare fegato, tempo libero e sensibilità gustativa sull’altare della conoscenza. Quest’anno l’oggetto del desiderio è il Brunello 2021, che il disciplinare vuole far maturare per quattro anni prima di arrivare sul mercato: giusto il tempo di creare un’attesa degna del tappeto rosso di Cannes, ma con molti più tannini.

Come funziona un’anteprima? Semplice: si arriva, si fa finta di ignorare gli incontri istituzionali, si applaude educatamente alle premiazioni, e poi ci si lancia a capofitto nel vero motivo per cui tutti sono lì. La grande degustazione delle etichette di duecentotredici cantine. Un’idea seria e circostanziata dell’annata, che però passa inevitabilmente da almeno ottanta assaggi al giorno. Seria e circostanziata, appunto.

I professionisti selezionati si accomodano ai tavoli comuni. Quest’anno erano circa centro giornalisti italiani e stranieri, provenienti da mezza galassia: a guidare la delegazione estera gli Stati Uniti, seguiti da Regno Unito, Canada, Corea del Sud ma presenze anche da Austria, Paesi Bassi, Germania, Danimarca e Scandinavi. A loro si aggiunge un manipolo di altri eroi-buyer, wine expert, wine educator. Tutti con un’unica missione: degustare fino all’ultimo campione, anche quando le papille implorano una tregua, i denti sono anneriti e il palato è asfaltato dall’astringenza.

La degustazione, inutile dirlo, è un lavoro vero. Non quel lavoro che immagina il resto del mondo («Assaggi vino tutto il giorno? Fortunato!»), ma un lavoro vero davvero: servono concentrazione monastica, competenza chirurgica, curiosità insaziabile e una determinazione da ultramaratoneta. Ogni vino ha a disposizione pochi minuti della tua vita; ovviamente si sputa, perché altrimenti in tre ore si finisce a recensire i vini dell’Amiata pur essendo a Montalcino. E si prendono appunti, tanti appunti, perché sperare di ricordare tutto è una forma avanzata di ottimismo.

E poi c’è quell’aspetto poetico: pur seduti a tavoli comuni, è un lavoro solitario. Ogni giornalista segue il proprio percorso spirituale tra calici numerati, cercando di capire se quel profumo sia davvero ciliegia oppure un miraggio causato dalla stanchezza. Solo a fine giornata si torna esseri sociali, ci si confronta, si litiga amabilmente sui preferiti, si condividono scoperte e si consolano i colleghi caduti sul campo.

Come in tutti gli ambienti goliardici e rituali, anche in questo il gergo è solo per iniziati, e identifica il mondo che si racconta in maniera precisa e dinamica. Nessuna di queste espressioni comparirà in nessun articolo, ma ciascuna ha un suo preciso riferimento e farà sorridere quelli che c’erano, e che non ammetteranno mai di essere gli autori di questi precisissimi indicatori del vino. Dal deciso “una sassata sui denti”, allo “spiaggiato”, passando per “sentore di parquet dell’Ikea”, alla “vinificazione disinvolta” con “uso criminale del legno”. Abbiamo sentito vini definiti democristiani, disinvolti, funky, leggiadrelli, toscanoni iconici. Ed è sempre stato detto tutto con grande affetto.

In sintesi: un rito collettivo, un esercizio di resistenza, una forma di ascetismo con elegante corredo in cristallo. La dura vita del giornalista enologico, che non ne farebbe a meno per nulla al mondo.

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Redazione Redazione Eventi e News