Il caldo ci fa dormire male, il cambiamento climatico ci fa sognare peggio

Ogni estate, dormire diventa sempre più difficile. Secondo i dati e le analisi di Arpa Lombardia, l’agenzia regionale per la protezione dell’ambiente, a Milano dagli anni Novanta il numero delle notti in cui la temperatura non è mai scesa sotto ai venti gradi – le cosiddette “notti tropicali” – è quasi raddoppiato, passando da circa quarantadue annue a cinquantanove, negli anni Duemila. Il numero è poi è continuato a crescere: dal 2021 al 2024 la quota media è salita a centouno.
In un’intervista a Repubblica, il metereologo di Arpa Lombardia Matteo Zanetti spiega che è proprio la notte il momento della giornata in cui le isole di calore urbane si fanno più intense, e sottolinea che in assenza di piogge e temporali nella maggior parte dei giorni la temperatura minima della giornata si raggiunge mediamente tra le sei e le sette del mattino.
Come già noto, l’esposizione prolungata alle alte temperature rappresenta un fattore di rischio per la salute della popolazione, e soprattutto per le persone più vulnerabili. L’istituto superiore della sanità (Iss) ha sottolineato come il caldo sia in grado di alterare il sistema della regolazione della temperatura corporea: il nostro organismo si raffredda sudando, «ma in certe condizioni fisiche e ambientali questo non è sufficiente». Se la temperatura corporea aumenta troppo e troppo rapidamente, la pressione arteriosa può diminuire, ma il caldo può anche causare stress e aggravare malattie preesistenti, arrivando – nei casi più estremi – a danneggiare organi vitali, come il cervello.
Tra le funzioni vitali più compromesse dalle alte temperature c’è anche il sonno. Da una rassegna di articoli scientifici realizzata dal Barcelona Institute for Global Health è emerso che la scarsa qualità del sonno – con conseguenze gravi riscontrate soprattutto nella popolazione più anziana – è determinata dalle alte temperature, quasi nell’ottanta per cento dei casi. La ricerca ha interessato Paesi di tutti i continenti, prendendo in esame persone di età diverse, e misurando parametri quali la quantità e la qualità del sonno, e le temperature registrate durante il giorno e la notte.
Una ricerca pubblicata nel marzo 2025 da Nature Communications ha monitorato il sonno di 214.445 persone residenti nella Cina continentale per ventitré milioni di giorni, analizzando come le temperature influenzassero la qualità del loro riposo. È emerso che per ogni aumento dieci gradi della temperatura ambientale, la probabilità di deprivazione del sonno aumentava del 20,1 per cento.
La durata totale del sonno, invece, diminuiva di 9,67 minuti, con un crollo della durata del sonno profondo del 2,82 per cento. Le proiezioni per i prossimi anni suggeriscono che entro la fine del secolo l’insufficienza del sonno potrebbe aumentare del 10,50 per cento: ogni anno una persona dormirebbe 33,28 ore in meno. Nel documento, le ricercatrici e i ricercatori che hanno partecipato al monitoraggio e all’analisi dei dati, sottolineano come questo problema interessi soprattutto gli anziani, le donne, le persone che soffrono di obesità, e quelle che vivono nelle regioni dell’est, centro e sud.
Nonostante la correlazione tra aumento delle temperature e deprivazione del sonno sia ancora incerta, «è biologicamente plausibile», e nella ricerca di Nature Communications vengono citate alcuni possibili cause. La prima riguarda il naturale abbassamento della temperatura corporea durante le ore di sonno, necessario per l’inizio e il mantenimento delle ore di riposo.
Le alte temperature potrebbero contribuire al rallentamento di tale processo, e a una diminuzione della qualità del sonno. Viene citata poi la sudorazione, che nonostante sia fondamentale per il raffreddamento della temperatura corporea, può disturbare il sonno e causare risvegli frequenti. Le alte temperature, inoltre, possono interrompere il ritmo circadiano, che regola i cicli di sonno e veglia, causando disturbi come l’insonnia. Come ultima ipotesi vengono citate le abitudini alimentari, l’attività fisica e la funzione metabolica, che modificandosi date le alte temperature possono causare affaticamento e difficoltà nel prendere sonno.
Se però il caldo ci fa dormire male, il clima ci fa sognare anche peggio: «Ho fatto due sogni sul caldo estremo in Colorado. Uno era una giornata invernale con trentadue gradi (le previsioni indicavano dieci gradi, ma poi la giornata è diventata sempre più calda). Nel secondo sogno era estate, e la temperatura aveva raggiunto i settanta gradi». Questo racconto è uno dei tanti raccolti in The Climate Dreams Project, un blog aperto nel 2019 dalla psicoterapeuta Martha Crawford per raccogliere in forma prevalentemente anonima i racconti delle persone che sognano la crisi climatica.
Nonostante la raccolta sia aneddotica, sognare la crisi climatica non è un fenomeno raro. Anzi. Un sondaggio realizzato dall’Harris Poll ha dimostrato che su un campione di millenove americani, il trentasei per cento ha fatto sogni riguardanti la crisi climatica: il quarantatré per cento degli uomini, contro un ventitré per cento di donne. Questo tipo di sogni interessa principalmente la Gen Z e i Millenial – il cinquantasette per cento, contro il trentacinque per cento della Gen X e il quattordici per cento dei Boomer – , persone impiegate (quarantasette per cento), non bianche (cinquanta per cento) e con un reddito familiare inferiore ai cinquantamila dollari l’anno. Nei sogni, tra gli scenari più ricorrenti ci sono siccità, ondate di calore, uragani, ma anche incendi e terremoti.
Le emozioni e le sensazioni legate a questi sogni sono perlopiù negative, ma non per tutti. Il quarantaquattro per cento delle persone appartenenti alla Gen Z li ha definiti “brutti sogni”, come anche il quarantuno per cento dei boomer. Questo però non avviene per i Millenial e per la Gen X, che riportano emozioni negative riguardo i propri sogni climatici rispettivamente solo nel ventiquattro e nel trentaquattro per cento dei casi. Nonostante le loro notti siano ugualmente abitate da uragani e inondazioni, affermano di non provare emozioni negative a riguardo, definendoli così dei “buoni sogni climatici”.
I fattori che definiscono la sensibilità climatica rispetto a fenomeni climatici estremi sono diversi e variegati: nel report si parla di sesso, etnia, orientamento politico, e luogo di nascita. La metà delle persone residenti nell’ovest degli Stati Uniti ha avuto sogni climatici più frequenti rispetto alle persone che vivono negli stati del sud (il trentasette per cento) e nel Nordest (il quarantasei per cento). Le persone che si definiscono appartenenti all’ala conservatrice sognano molto meno eventi climatici estremi (ventiquattro per cento) rispetto all’ala liberale (quarantacinque per cento). Un dato che fa da cartina tornasole al divario nazionale dell’urgenza percepita di mitigare e prevenire le conseguenze del cambiamento climatico: secondo il Pew Reasearch Institute il settantotto per cento dei democratici considera la questione un tema urgente per la tutela del benessere del paese, contro solo il venticinque per cento dei Repubblicani.
Un’urgenza che ci accompagna anche nei sogni, come testimonia la storia di un utente, pubblicata sul blog The Climate Dreams il 20 settembre 2024. «Sto galleggiando lungo un canale, o una strada allagata, in una gigantesca camera d’aria, insieme ad altre persone, che fanno lo stesso. Incontro diverse persone, tra cui una ragazza paffuta e dal viso dolce che mi rendo conto essere la mia pronipote. Le dico: “Cosa ne pensi adesso?”. E lei sembra perplessa. Non riesco a trovare un modo per fermarmi, quindi continuo a galleggiare lontano da lei. L’acqua è torbida. Sono preoccupato perché lei è immersa fino alla vita». Alla fine del racconto aggiunge che le idee politiche della pronipote hanno virato a destra negli ultimi anni. «Eravamo molto vicine».
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