L’egemonia culturale di Pippo Baudo, e l’ennesima fine del Novecento

Agosto 18, 2025 - 03:30
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L’egemonia culturale di Pippo Baudo, e l’ennesima fine del Novecento

Un attimo prima di morire, Pippo Baudo ha avuto di nuovo sessant’anni. Non so se fosse lucido e se leggesse i giornali, ma l’altro giorno Alba Parietti ha scritto un lungo post che sembrava i racconti di guerra sempre uguali dei nostri nonni. La Cuccarini aveva dato un’intervista in cui diceva non so cosa sulla loro antipatia al Sanremo 1993 (la Cuccarini conduceva il Festival e la Parietti il Dopofestival). Diceva che il Festival lo doveva fare lei, ma Baudo non l’aveva voluta, relegandola al Dopofestival.

«Mi fu fatto capire che la mia presenza non era gradita in nessuna delle cinque serate del Festival — fatto anomalo, perché chi conduce il Dopofestival è sempre stato invitato almeno una sera. Fui esclusa sistematicamente anche da tutte le conferenze stampa con Lorella, mentre Lorella fu invitata al Dopofestival […] Pippo mi zittiva, mi sovrastava e quel gioco al massacro creò il successo del Dopofestival».

La storia la sapevo già, perché ho lavorato in un programma condotto da Alba Parietti tra la fine del 1995 e l’inizio del 1996: sono più di trent’anni che Alba Parietti racconta del Sanremo in cui Baudo parlava della Cuccarini come fosse la luce dei suoi occhi e di lei come fosse un ingombro. Non importa se sia vero, importa solo l’esito: Alba Parietti ha passato gli ultimi decenni subendo l’egemonia di Baudo, almeno nell’aneddotica.

La più memorabile frase che mi sia stata detta in quella stagione televisiva è sua, di una delle volte in cui cercavo invano di farmi ascoltare mentre le dicevo di che partite avremmo parlato in diretta, diretta che sarebbe iniziata sette minuti dopo e lei era appena arrivata: «Tu pensi di poter dire a me cosa fare? Tu devi stare un po’ con Baudo e vedere come tratta gli autori». Ero giovane e sprovveduta, e quindi non diedi la risposta che avrei dovuto: sì, però Baudo non arriva all’ultimo momento senz’avere idea di cos’andrà in onda, Baudo è Baudo e te no perché sa sempre tutto, è sempre preparatissimo, è il cliché del grande professionista. Le risposte che non dai le rimugini, trent’anni dopo, come i Sanremo mancati.

(Sugli autori avrei, quasi trent’anni dopo, ascoltato il più meraviglioso degli aneddoti da Antonio Pascale, che aveva passato un’estate a cercare pittori che avrebbero dovuto dipingere durante una sua “Domenica In”, poi c’era un problema d’inquadrature, un cambio di scenografia, e puff, i pittori sparirono dalle intenzioni di Pippo).

Un elenco delle influenze di Baudo sulla cultura popolare non può non includere Gianfranco D’Angelo che lo imita a “Drive In”, «i colori li ho inventati io, la Cappella Sistina prima era in bianco e nero», ed è vero che a lui piaceva dirsi pigmalione ma è anche vero che ne aveva inventate quasi più lui di Boncompagni. Dalla Cuccarini alla Parisi, dalla Pausini a Giorgia. Ha fatto molto più Baudo di Michela Murgia, per l’emancipazione femminile in questo paese determinato a non emanciparsi, e solo uno sciocco può pensare che la bionda e la bruna fossero un cascame del patriarcato e non una grande trovata televisiva (chiunque sappia la televisione sa che il più memorabile dei Sanremo è quello del 1995, quello bionda e bruna in purezza, quello Falchi e Koll).

Nove anni fa ho lavorato a un programma con la Parisi e la Cuccarini, ovviamente tra gli ospiti ci sarebbe dovuto essere Baudo, senza il quale le due non avrebbero avuto una carriera televisiva. Una delle due mise il veto, e il clima non era abbastanza sereno da insistere. Però a ripensarci mi pare una certificazione postuma della sua egemonia: non è solo la Parietti, è proprio che Baudo sapeva farle incazzare così tanto che poi restavano incazzate per decenni (salvo poi precipitarsi a scrivere coccodrilli affranti: non ho controllato i social ma punto il mio soldino sul lutto nazionale, e anche sull’ennesima dichiarazione di fine del Novecento, questa volta meno infondata di altre).

Per chiunque sia stato vivo nel Novecento, Pippo Baudo non è un presentatore televisivo: è biografia. Io sono nata tra la seconda e la terza puntata di “Canzonissima”, l’edizione il cui cast era costituito da lui e da Loretta Goggi e da Vittorio Gassman: non faccio paragoni con l’oggi sennò ci mettiamo tutti a piangere.

Persino chi si vantava di non avere la televisione è in grado di raccontare almeno dieci scene baudiane. Baudo e Cavallo Pazzo (la povera Parietti rimossa anche dai ricordi del Sanremo che condusse, del quale tutti abbiamo in testa solo «questo festival è truccato e lo vince Fausto Leali»). Baudo che deve dare un palazzo a Berlusconi come penale per essersene andato da Fininvest (che poi chissà se era vero). Gorbaciov che dice a Baudo «Tu ladro» perché la busta coi soldi d’un premio per la fondazione della moglie era vuota (che poi chissà se era vero). Baudo al pianoforte che canta “Donna Rosa”. Baudo con Ugo Tognazzi determinato a metterlo in imbarazzo. Baudo che dice che cercherà di fare «programmi regionali e impopolari» (c’è stato un momento in cui i dirigenti televisivi e i conduttori polemizzavano citando Gramsci: non faccio paragoni con l’oggi sennò ci mettiamo tutti a piangere).

L’altra sera durante un concerto Fedez ha aggiunto alcuni versi a una sua canzone. Uno dei versi nuovi diceva «Gazzoli è il nuovo Pippo Baudo». Gianluca Gazzoli, poverino, usato da tutti (me compresa) come esempio massimo di quelli che non sanno nientissimo di niente mai, è uno che ha un podcast (come tutti). Molto amato dagli ospiti perché, non sapendo niente di niente, non li mette mai non dico in difficoltà, ma neanche li costringe a uscire dal repertorio degli aneddoti raccontati cinquecento volte. Tu dici una cosa che sanno anche i sassi, e lui sgrana gli occhioni e dice «No! Pazzesco!».

Di recente un uomo che stimo mi ha detto una frase tipo: il futuro è dei Gazzoli, non è più un mondo per i Baudo che sapevano tutto, erano preparatissimi su tutto, ci potevi parlare di tutto. Anni fa Baudo raccontò a Veltroni che Vittorio Gassman gli ultimi anni gli chiedeva «ma io cosa ci faccio qui», riferendosi a una qualche serata alla quale s’incontravano, «io sono morto». Diceva che era perché era depresso, ma forse invece è quella cosa che diceva Mastroianni nella “Terrazza”: le epoche si chiudono così, all’improvviso. E, quando si chiude l’epoca in cui hai vissuto, sei ancora vivo? Natalia Aspesi dice spesso: questo non è il mio tempo. Pippo Baudo è morto ieri, aveva 89 anni, e tutti avevano il coccodrillo pronto perché era stato male, sì, ma anche perché, gassmaniamente, era già morto – il suo tempo era finito da molto tempo.

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