Il mercato dei metalli e dei chip fatica a tenere il passo dell’IA

Da qualche tempo l’idea dell’intelligenza artificiale come tecnologia senza limiti si misura con un fatto più concreto e forse banale: le risorse non bastano a costruire l’infrastruttura che dovrebbe sostenerla. La crescita dell’IA non dipende solo da algoritmi migliori o da capitali più consistenti; richiede rame per le reti elettriche, chip di memoria per i data center e impianti industriali in grado di reggere una domanda in continuo aumento. La parte materiale dell’economia digitale procede però con ritmi molto più lenti dell’innovazione software e non può espandersi allo stesso passo, soprattutto in un mercato dell’energia e dei materiali già sotto pressione.
Per esempio la domanda di rame continua a crescere. Le reti necessarie alla transizione energetica richiedono ampliamenti sostanziali e i centri di calcolo per l’IA usano più del doppio del rame impiegato nei data center tradizionali. Le proiezioni indicano un aumento di sei volte dell’uso del metallo entro il 2050 solo per questo settore.
La distanza tra le ambizioni dell’IA e i tempi tecnici dell’industria pesante è evidente nel caso del progetto Resolution Copper, raccontato dal Financial Times. Nel deserto dell’Arizona si trova una delle più grandi riserve di rame non sviluppate al mondo, situata a oltre duemila metri di profondità. La miniera, gestita da BHP e Rio Tinto, potrebbe coprire fino a un quarto del fabbisogno statunitense per decenni, ma è bloccata da un contenzioso con la San Carlos Apache Tribe, che considera parte dell’area come sacra. Una sentenza prevista nel 2026 stabilirà se il territorio potrà essere trasferito alla società e se l’opera potrà proseguire.
A complicare ulteriormente il quadro c’è la concentrazione della capacità di raffinazione: la Cina controlla una quota significativa degli impianti mondiali e questo rende l’intera filiera più esposta a pressioni geopolitiche. Intanto molte miniere tra le più produttive sono in fase avanzata di sfruttamento, mentre le nuove scoperte sono poche. Le stime indicano che entro il 2035 la produzione garantita da siti esistenti o già autorizzati coprirà circa il 70 per cento della domanda globale, con effetti immediati sui prezzi e sulle strategie dei grandi gruppi minerari.
Una fragilità simile emerge nel mercato dei semiconduttori. Un’indagine di Reuters documenta una carenza acuta di chip di memoria: la produzione si è spostata sulle memorie ad alta banda richieste dai processori per l’IA, riducendo l’offerta di Dram tradizionali, le memorie elettroniche usata nella maggior parte dei dispositivi digitali: smartphone, computer e server convenzionali. Le scorte dei fornitori si sono ridotte a poche settimane, mentre i prezzi sono aumentati rapidamente.
Le grandi aziende tecnologiche statunitensi e cinesi stanno cercando accordi pluriennali per garantirsi forniture, e in alcune catene di negozi in Asia sono stati introdotti limiti agli acquisti per evitare accumuli speculativi. Produttori come Xiaomi e Realme hanno già segnalato che potrebbero essere costretti ad aumentare i prezzi dei telefoni nel 2026. La carenza sta inoltre alimentando un mercato parallelo di componenti ricondizionati: in Giappone e in California la domanda per chip usati è cresciuta sensibilmente, segno che la pressione si estende anche ai segmenti secondari della filiera.
Gli effetti dell’espansione accelerata dell’IA non riguardano soltanto hardware e materiali, ma anche la sua adozione nelle aziende. Un’analisi pubblicata dall’Economist e basata sui dati del Census Bureau indica che la quota di lavoratori statunitensi che utilizza strumenti di IA è scesa all’11 per cento, soprattutto nelle grandi imprese. Altre rilevazioni parlano di stagnazione più che di calo, ma concordano sul fatto che la crescita si sia fermata. Molte aziende segnalano benefici inferiori alle attese: in un sondaggio, il 45 per cento dei dirigenti indica risultati deludenti, mentre solo il 10 per cento parla di effetti superiori alle previsioni. Il confronto con altre transizioni tecnologiche ritorna spesso: negli anni Ottanta l’adozione del computer domestico rallentò per poi ripartire, suggerendo che anche l’IA possa attraversare una fase intermedia di assestamento.
Le difficoltà riguardano soprattutto i tempi necessari per integrare nuovi strumenti nei processi aziendali, che all’inizio possono ridurre l’efficienza, e la tendenza degli strumenti generativi a produrre risultati accettabili che spingono gli utenti più esperti a ridurre l’impegno. Intanto l’espansione dei data center aumenta il carico sulle reti elettriche: in Australia, per esempio, stime recenti indicano che il loro consumo potrebbe triplicare entro il 2030, incidendo in modo visibile sulla domanda nazionale e sui piani di decarbonizzazione. Finché il divario tra domanda e capacità produttiva rimarrà ampio, sarà la disponibilità delle risorse fisiche, più che la velocità dell’innovazione software, a determinare quanto rapidamente l’IA potrà crescere.
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