La progressiva scomparsa delle spiagge libere in Sicilia

Agosto 14, 2025 - 06:30
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La progressiva scomparsa delle spiagge libere in Sicilia

Alla fine ci sono riusciti. Hanno messo le catene al mare. L’estate del 2025 verrà ricordata come quella dove in Sicilia è quasi scomparso il mare libero, quello gratuito, di tutti. Adesso, per andare al mare, si paga un po’ ovunque. E addirittura ci sono i tornelli. E non parliamo di un’astratta questione di diritto, ma di tornelli veri, di ferro, che si girano, in una scena degna di un vecchio supermercato di periferia. Il caso più clamoroso, e più grottesco, è quello di Mondello, la celebre spiaggia dei palermitani, da anni quasi interamente gestita dalla società Mondello Italo Belga.

A Mondello, i tornelli e le recinzioni sono diventati un tratto caratteristico del paesaggio estivo, regolando l’accesso a buona parte della spiaggia, data in concessione a un’unica società. La questione va avanti da almeno dieci anni, ma quest’anno le proteste sono diventate così insistenti da arrivare fino alle aule parlamentari. Dopo un’interrogazione presentata da Matteo Hallissey di +Europa e dal deputato regionale Ismaele La Vardera, sono scattati i controlli della Guardia costiera e della Guardia di finanza per verificare la legittimità di queste strutture.

La legge regionale trentadue del 2020 è chiara: i titolari delle concessioni devono garantire «l’accesso e il transito, libero e gratuito» alla battigia per permettere la balneazione. La spiaggia è di tutti, e a pagamento dovrebbero essere solo i servizi come ombrelloni e lettini. Ma, nel limbo tra teoria e pratica, resta da definire cosa costituisca un ostacolo e cosa no. La società Italo Belga sostiene che i tornelli non impediscano a nessuno di raggiungere il mare, e che anzi servano a garantire la sicurezza e a prevenire i furti e l’uso improprio di servizi come le docce.

Nel frattempo, la situazione sembra essersi risolta con la classica toppa siciliana. Dopo l’avvio dei controlli, la società si è limitata a posizionare nuovi e grandi cartelli per segnalare i varchi di accesso libero. Forse non basteranno a risolvere il problema di fondo, ma sicuramente danno un tocco di colore in più.

Il problema, in fondo, non è solo dei palermitani. La secessione del mare, con i suoi tornelli e le sue recinzioni, si sta estendendo a macchia d’olio in tutta la Sicilia, trasformando un diritto in un privilegio. Da Siracusa ad Agrigento, la protesta sale e si fa petizione. A Siracusa, in particolare, i cittadini hanno anche organizzato una petizione.

L’obiettivo, come spiega il promotore Marco Gambuzza, è «restituire ai cittadini il diritto a spiagge libere e accessibili». I firmatari, già migliaia, definiscono «inaccettabile la progressiva e inesorabile privatizzazione del litorale siracusano, un bene che appartiene a tutti». Sostengono che l’adesione alla petizione è un «impegno concreto a difendere il diritto di ogni cittadino, residente o visitatore, di godere liberamente e gratuitamente del mare», sottolineando che si tratta di un diritto, non di un privilegio.

Ma cosa chiedono le persone? Nel caso della petizione di Siracusa, che almeno il cinquanta per cento delle spiagge sia libero, con una limitazione delle concessioni a lidi e stabilimenti, che sia garantito l’accesso ai luoghi, che siano espropriati gli accessi e i corridoi al mare, che siano censiti gli accessi, molti dei quali privatizzati dai proprietari delle case costruite (spesso abusivamente) proprio sul mare.

Ma le catene non sono l’unico problema. Anche dove la spiaggia è teoricamente libera, in realtà tanto libera non lo è affatto. San Vito Lo Capo, la località balneare più celebre della provincia di Trapani, si trova ogni estate a fare i conti con quello che alcuni chiamano il racket della sdrai». È impossibile trovare la spiaggia libera.

Oltre agli stabilimenti balneari, ci sono affitta lettini che occupano l’intera spiaggia fin dall’alba. Le autorità hanno tentato di contrastare il fenomeno. A fine luglio, un blitz della Guardia costiera ha sequestrato cento sdraio e cinquanta ombrelloni noleggiati senza autorizzazione sulla spiaggia libera, multando il titolare per cinquemilacentosessantaquattro euro. Ma, per il giro d’affari degli abusivi, è nulla. Il giorno dopo tutto è ripreso, as usual.

Alla fine, la domanda resta una sola, la più ovvia: di chi è il mare? In Sicilia, la risposta è complessa e sconfortante. L’accesso libero è minacciato da un mix esplosivo di privatizzazioni, concessioni, abusivismo e inquinamento. A un tratto di costa dove l’accesso è garantito da proprietà private con tanto di cancelli e lucchetti, si aggiunge quello dove si paga fino a trenta euro al giorno per un lettino.

Secondo il Rapporto spiagge di Legambiente, le concessioni balneari sono aumentate del quarantuno per cento in cinque anni, arrivando a occupare il 22,4 per cento della costa siciliana. Sommando tutti i fattori che limitano l’accesso – concessioni, interdizioni, inquinamento, rischio crolli e abusivismo – si scopre che nel 76,5 per cento della costa siciliana l’accesso non è libero. E il restante 23,5 per cento non è detto che sia totalmente fruibile.

Attualmente, su quattrocentoventicinque chilometri di spiagge in Sicilia, si contano cinquemilatrecentosessantacinque concessioni (il 22,4 per cento di cui sopra): stabilimenti balneari, campeggi, circoli sportivi e complessi turistici. Nello specifico, ci sono seicentoventi concessioni per stabilimenti balneari e centosette per campeggi, circoli sportivi e complessi turistici.

Dove i lidi non hanno ancora messo radici, spesso sono i proprietari delle villette private a monopolizzare gli accessi al mare. Nonostante le sentenze della Cassazione impongano di lasciare un accesso libero, il tentativo di impossessarsi del demanio è una costante. Il clima impazzito e le costruzioni selvagge hanno contribuito a far scomparire il cinquantacinque per cento delle spiagge siciliane, amplificando l’erosione costiera. Tommaso Castronovo, presidente di Legambiente Sicilia, sottolinea come l’erosione e il numero crescente di concessioni stiano riducendo drasticamente gli spazi liberi, chiedendo una legge nazionale che garantisca almeno il cinquanta per cento delle spiagge in ogni comune accessibile a tutti.

Nonostante le proteste e le petizioni, la privatizzazione delle spiagge in Sicilia sembra inarrestabile. La Regione Siciliana è pronta a concedere ai privati le poche aree libere rimaste in cinquantaquattro comuni, tra cui alcune delle località turistiche più rinomate, come San Vito Lo Capo, Menfi e le Isole Eolie. Si tratta di un’operazione che, secondo le stime regionali, potrebbe generare un giro d’affari di centinaia di milioni di euro.

A conti fatti, il mare in Sicilia sta diventando un’utopia per chi cerca un fazzoletto di sabbia gratuito. Un investimento redditizio per chi lo privatizza. La Regione, in tutto questo, non ferma la corsa alla privatizzazione, ma anzi la alimenta. Un paradosso che trasforma un bene comune in merce.

E così, mentre a Mondello si discute sulla legittimità dei tornelli, a San Vito Lo Capo si combatte il racket della sdraio e a Siracusa si petiziona per riavere spazi di spiaggia libera, il mare siciliano sembra allontanarsi ogni giorno di più dalla gente. La spiaggia, che per generazioni è stata il luogo dell’incontro e della libertà, sta diventando il simbolo di una secessione silenziosa che non riguarda solo i cieli, ma anche il nostro litorale.

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