L’olio di semi fa male? Piccola indagine da Tik Tok agli studi scientifici

Maggio 17, 2025 - 16:30
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L’olio di semi fa male? Piccola indagine da Tik Tok agli studi scientifici

Non sappiamo esattamente quando abbiamo cominciato a riconsiderare il nostro rapporto con gli oli di semi, oramai un trend topic su Tik Tok. Forse è stato quando una bottiglia di olio extravergine ha superato i 15 euro al supermercato, mentre il più umile olio di arachidi restava tranquillamente sotto i due. Forse quando abbiamo scoperto le mille teorie legate a quanto l’olio di semi faccia male o, probabilmente, è stato leggendo l’ultimo studio pubblicato su JAMA Internal Medicine, che ha ribaltato anni di panico nutrizionale vedendo improvvisamente i consumatori di oli vegetali (sì, anche quelli di semi) più longevi e meno soggetti a malattie cardiovascolari e non solo.

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Un bel dibattito per chi si era ormai convinto che cucinare con l’olio di semi fosse l’equivalente nutrizionale del bere cinque cocktail a sera. Eppure, il dibattito infuria ed è ancora in corso la domanda generale: l’olio di semi fa male? Indubbiamente, se negli ultimi anni è diventato il nuovo nemico pubblico della wellness culture americana, surclassando lo zucchero, il glutine e persino i latticini, c’è più di un motivo plausibile.

L’olio di semi fa male? Lo studio 

C’è chi propone di bandirli del tutto, invocando la “loro tossicità” e il ruolo nei “disturbi comportamentali dei bambini”. La soluzione? Cuocere tutto nel grasso animale, come una nonna burrosa degli Anni 50. Ma mentre l’algoritmo ci inonda di reels allarmistici con carrelli pieni di olio di avocado da 20 euro e burro biologico in purezza, la scienza disegna un quadro meno isterico. Lo studio apparso su JAMA ha analizzato i dati di oltre 220.000 persone per trent’anni. Il risultato? Chi consuma più oli vegetali (compresi quelli demonizzati come olio di colza o soia) ha un rischio di mortalità inferiore del 16% rispetto a chi preferisce burro o lardo. 

olio di semi fa male?

Foto Skyler Ewing Unsplash

Certo, ci sono delle sfumature. Alcuni oli di semi contengono una quota alta di omega-6, che può contribuire a uno stato infiammatorio se non bilanciato da sufficiente omega-3. Ma lo stesso vale per un’infinità di abitudini alimentari quotidiane. Come ricorda il San Francisco Chronicle, nessuno si fa problemi per le patatine fritte o i biscotti confezionati, finché non leggono “olio di girasole raffinato” sull’etichetta.

La disintossicazione da olio di semi

Il paradosso è che, mentre sui social si moltiplicano le storie di “disintossicazione dagli oli di semi”, gli esperti di nutrizione continuano a sottolineare quanto sia fondamentale distinguere tra tipo e qualità di grassi. Quindi, qual è la verità? La prima è che non tutti gli oli di semi sono uguali: alcuni, come quello di soia o di canola, contengono quantità significative di omega-3; altri hanno un rapporto omega-6/omega-3 più sbilanciato, ma questo, di per sé, non li rende “velenosi”.

Come ha spiegato Harvard Health, il punto non è eliminare gli omega-6, che restano grassi essenziali, ma assicurarsi che siano bilanciati con un adeguato apporto di omega-3 nella dieta. L’errore, secondo molti medici, è associare il consumo di oli di semi con gli effetti negativi di una dieta a base di alimenti ultra-processati: spesso sono questi ultimi – e non gli oli in sé – a essere responsabili di infiammazioni, aumento di peso e altri problemi metabolici.

olio di semi fa male?

Foto Getty Images

In altre parole: è il contesto a fare la differenza. L’olio di semi è diventato un simbolo: industriale, invisibile, associato alla grande distribuzione. E quindi perfetto per incarnare i nostri sospetti (assolutamente legittimi) verso il sistema. Ma anche stavolta, la verità forse sta nel mezzo: a cosa serve demonizzare un ingrediente se non si guarda al piatto intero? Inseriti in una dieta equilibrata, gli oli di semi possono essere fonti preziose di grassi insaturi, vitamina E e acidi grassi essenziali. Usati come base per fritti industriali o in alimenti ultra-processati, il loro impatto cambia completamente, ma non è diverso da quello di qualsiasi altro ingrediente in eccesso.

Il punto, quindi, non è l’olio di semi in sé. È dove, come e cosa consumiamo. 

 

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