Movimenti, storie di fede, rinascita e speranza

Giugno 8, 2025 - 16:00
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Movimenti, storie di fede, rinascita e speranza

In Piazza San Pietro, la Veglia di Pentecoste del Giubileo dei Movimenti ha visto quattro toccanti testimonianze di fede e amore. Dal medico oncologo Hussam che, durante la guerra in Terra Santa, ha trovato unità in Cristo, a Nicola Boricchi di Nuovi Orizzonti, che ha superato dipendenze grazie all’amore incondizionato della comunità. Aline Minani ha raccontato l’impegno dei giovani di Sant’Egidio in Congo a favore degli anziani, mentre la coppia neocatecumenale Pedro e Begoña ha testimoniato la forza della famiglia in missione nell’Ucraina in guerra. Tutte storie che evidenziano come la Chiesa e le comunità possano trasformare il male in speranza.

 

Voci dei movimenti in Piazza

Voci di speranza, testimonianze della forza dell’amore di Dio che trasforma il male in bene, anche nelle situazioni più disperate, grazie al sostegno della Chiesa e delle comunità create da movimenti e associazioni cattoliche. In Piazza San Pietro, prima della Veglia di Pentecoste del Giubileo dei Movimenti, delle Associazioni e delle Nuove Comunità, quattro storie di vita preparano all’incontro e alla preghiera con Papa Leone XIV. Sul sagrato, si alternano al microfono, tra meditazioni, canti e parti di un video-documentario sugli incontri dei Pontefici con i Movimenti, esperienze dalla Terra Santa al Congo e all’Ucraina in guerra, e di chi ha subito violenza e sconfitto la dipendenza dalla droga. Voci che le decine di migliaia di fedeli, in Piazza dalle 16, ascoltano dopo due ore di canti, animati da cori della Gioventù mariana, Cellule parrocchiali, Sant’Egidio, Azione Cattolica, Shalom, Carismatici, Nuovi Orizzonti, Gen Verde, Neocatecumenali, Rinnovamento nello Spirito e Comunione e Liberazione.

pre-veglia di Pentecoste (@Vatican Media)

La testimonianza di Hussam, medico oncologo di Comunione e Liberazione

Nella comunità di Cl è cresciuta la fede di Hussam Abu Sini, medico oncologo arabo, nato a Nazareth e che oggi vive ad Haifa, in Israele, con la moglie Chiara, italiana, e due figli. Hussam ha studiato a Torino, dove ha conosciuto il movimento, che gli ha insegnato a “godere della vita” e della fede. Risponde alla domanda “C’e speranza nella Chiesa?” raccontando come ha vissuto gli ultimi due anni, segnati dalla guerra scatenata il 7 ottobre 2023. Lui e la sua famiglia sono in vacanza con la comunità, e nonostante l’ansia e il pericolo (un razzo cade a soli 300 metri), scelgono di rimanere insieme e pregare. “Abbiamo capito che essere uniti vuol dire guardare tutti dalla stessa parte”, sottolinea, ed è nato il motto “We are one”. Siamo una cosa sola in Gesù Cristo, “che ci vuole bene, é la nostra grande speranza”.
Hussam riconosce con gratitudine la guida della Chiesa e in particolare del patriarca Pierbattista Pizzaballa, che “Ci ha incoraggiati a non nasconderci, a testimoniare la novità di Cristo anche in mezzo alla guerra”. Ed ha deciso di restare in Terra Santa, nonostante tutto, perché: “Non siamo qui per diritto storico, ma per un compito: rendere presente e incontrabile Cristo. Ma da soli non ce la faremmo: abbiamo bisogno della Chiesa, dell’amicizia, della comunità”. Infine racconta come ha capito di avere una missione anche nel suo lavoro di oncologo, accompagnando fino alla morte un paziente terminale che, pur nella sofferenza, ha trovato conforto nel rapporto con lui. “Mi ha detto: ‘Grazie, perché ho imparato a guardare la malattia in un altro modo’.

pre-veglia di Pentecoste (@Vatican Media)

La testimonianza di Nicola Boricchi, di Nuovi Orizzonti

“L’avvenimento di Cristo” è la seconda testimonianza, quella di Nicola Boricchi, di Nuovi Orizzonti, cresciuto tra violenze, abusi e abbandono, ma che oggi è un “piccolo della gioia”, un consacrato nel carisma del movimento. Abbandonato dai genitori, resta con la nonna, ma la solitudine lo porta ad evadere con “alcol, canne e pasticche”. A soli 14 anni si fa il primo “buco” di eroina, e diventa un “punkabbestia”, perso tra le strade, i rave e i centri sociali, alla ricerca disperata di amore, arrabbiato con Dio. La speranza arriva per caso, una “dio-incidenza”: l’incontro con la comunità Nuovi Orizzonti e l’arrivo a Montevarchi.
Accolto con un abbraccio, sperimenta per la prima volta, ricorda “un amore vero e incondizionato, che non mi ha giudicato, ma solo accolto”. Inizia così, attraverso la Spiritherapy, un cammino di conoscenza di sé “e guarigione del cuore basato sul Vangelo, insieme a tanti altri ragazzi” che affrontavano varie dipendenze. Tra ricadute e riprese, Nicola ha riscoperto la fede, ha ricostruito la sua identità e ha trovato l’amore. Il giorno del suo compleanno, dopo aver chiesto a Dio una famiglia, ha conosciuto Cinzia, la ragazza che sarebbe poi diventata sua moglie, e oggi è padre di due figli. “La mia vita sembrava finita – conclude – ma l’amore di Dio ha sciolto il ghiaccio che avevo nel cuore. Ora vivo per donare quell’amore autentico che ho ricevuto”. Da imprenditore, Nicola cerca oggi di dare un lavoro anche e soprattutto a chi fa difficoltà a trovarlo, come migranti, ex-detenuti ed ex-tossicodipendenti come lui.

La testimonianza di Aline Minani, congolese, della Comunità di sant’Egidio

Segno di speranza, nella drammatica situazione della Repubblica Democratica del Congo, sconvolta da più di trent’anni di conflitti, è l’impegno dei giovani della Comunità di Sant’Egidio, che a Goma, racconta in francese Aline Minani, hanno costruito “un’alleanza con gli anziani”. Che sono le prime vittime, insieme ai poveri, della guerra, quando “l’istinto di pensare solo a sé stessi, diventa ancora più forte”. “Molti anziani vivono soli, in rifugi di fortuna – denuncia Aline – hanno paura a uscire e rischiano di morire di fame. Nessuno pensa a loro”. Ma è proprio in questi tempi terribili che “vivere il Vangelo salva”. Così i giovani della Sant’Egidio, “in una città dove tutti vedono l’altro come un nemico” hanno scelto di visitare gli anziani, proteggere i più poveri – insieme ai senzatetto e ai bambini che vivono per strada. Questo, spiega la ragazza, “ci impedisce di impazzire dalla paura, perché ci libera dall’ansia costante per la nostra stessa sopravvivenza”. E questa alleanza “fa rinascere una speranza di pace”.
Aline ricorda la testimonianza di Floribert Bwana Chui, giovane membro della Comunità ucciso nel 2007 per aver rifiutato, in nome del Vangelo una tangente alla dogana, per fare passare cibo avariato che avrebbe danneggiato la popolazione. Sarà beatificato il 15 giugno, e il suo esempio è “un faro di speranza per tutti i giovani del Congo, dell’Africa e del mondo”. E conclude invocando il dono della pace e chiedendo che “lo Spirito continui a ispirare un amore più forte di ogni divisione e conflitto”.

Pedro e Begoña, neocatecumenali in missione in Ucraina

Infine una coppia spagnola del Cammino Neocatecumenale, Pedro Sánchez Sáez e María Begoña Ballester Zapata, sposati da 30 anni, con 12 figli (due seminaristi) e 4 nipoti, racconta l’esperienza di famiglia in missione a Kyiv, nel cuore di un Paese ferito dalla guerra. Cresciuti nella fede fin da bambini nel Cammino, nel 2006, durante l’Incontro delle Famiglie con Benedetto XVI a Valencia, hanno detto il loro “sì” alla chiamata ad annunciare l’amore di Dio in ogni parte del mondo. Inviati nel 2010 a Donetsk, nel Donbass, due anni dopo sono stati trasferiti nella capitale, dove vivono tuttora nonostante il conflitto.
Pedro, ex muratore, e Begoña, filologa ispanica, descrivono un percorso segnato da ribellioni giovanili ma anche crisi matrimoniali e momenti di prova. “Abbiamo pensato anche alla separazione – raccontano – ma il Signore, tramite i sacramenti e la comunità, ci ha sempre sostenuti”. La loro famiglia numerosa, spiegano, non è frutto di un progetto personale, ma di una fedeltà obbediente alla Chiesa: “Non desideravamo molti figli, ma Dio ci ha donato questa ricchezza per tenerci uniti”. Come missionari vogliono annunciare che Dio “ci ama alla follia e che è capace di ricostruire qualsiasi matrimonio, come ha fatto con il nostro”. I figli sono con loro in Ucraina e collaborano nella missione anche in mezzo ai pericoli della guerra, per aiutare le persone “che hanno bisogno di una Parola da parte di Dio, di amore e di speranza” spiegano. “In mezzo alla sofferenza – concludono – sperimentiamo la sua pace e vediamo ogni giorno che Dio è fedele”.

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