Perché Donald Trump rischia di accelerare il declino del dollaro

Agosto 12, 2025 - 15:30
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Perché Donald Trump rischia di accelerare il declino del dollaro

Le continue uscite di Donald Trump sulla guerra dei dazi stanno facendo più danni della grandine. La grandine danneggia cose fisiche, come raccolti, auto, tetti, mentre le esternazioni apodittiche di Trump, come quella rivolta a tutti, ma in particolare agli americani, che “se saltano i dazi, ci sarà la depressione come nel 1929”, ridicolizzano la sua reputazione e quella degli Stati Uniti.

Trump sembra muoversi a testa bassa, come un toro ferito nell’arena. Nessuno sa chi l’abbia ferito. Si è messo in testa di cambiare il volto socio-economico del paese di cui è presidente, dimenticandosi che gli Usa, con l’egemonia del dollaro, sono riusciti a stabilizzare i rapporti tra gli stati del mondo. Trump, invece, sta facendo di tutto per destabilizzare quei rapporti, mettendo in discussione l’egemonia del dollaro. Non si è reso conto di che cosa possa comportare, per il ruolo del dollaro, un nuovo attivismo dei Brics, raggruppamento di economie mondiali emergenti formato dai paesi del precedente Bric (Brasile, Russia, India e Cina), con l’aggiunta di Sudafrica, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia ed Iran.

Il risveglio dei Brics

La cartina di tornasole dell’estemporaneità delle scelte daziarie di Trump si riscontra nel comportamento delle principali  potenze Brics, come Cina, India e Brasile, e della Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (organismo intergovernativo formato da Cina, Russia, Bielorussia, India, Pakistan, Iran, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan), che hanno replicato con un netto diniego alla sua richiesta di chiudere il rubinetto delle importazioni di petrolio dalla Russia per evitare ulteriori ritorsioni nei dazi relativi gli scambi commerciali.

È riuscito persino a rianimare i Brics. Nel summit della 16esima edizione, tenutasi a Kazan, in Russia, nell’ottobre 2024, era stata trovata un’unità di intenti solo sull’importanza delle valute locali nelle transazioni internazionali, mentre era stata messa  da parte la creazione di una moneta unica, lanciata dal presidente del Brasile Lula nell’agosto 2023.

Il dinamismo deteriore di Trump è servito a rilanciare la proposta di Lula. Tale prospettiva, d’altra parte, si rafforza dal momento che il 31% delle transazioni commerciali intermediate dalla Banca nazionale di sviluppo tra i Brics è realizzato nella valuta dei paesi aderenti. Guai a svegliare il cane che dorme.

Gli effetti sull’economia degli Stati Uniti

Trump sta procedendo a testa bassa, indipendentemente dagli effetti negativi che la guerra al libero scambio nelle transazioni commerciali internazionali sta provocando negli Stati Uniti sul tasso di inflazione, che non accenna a diminuire, e sul valore del dollaro, che dal suo insediamento ha perso più del 10%.  

Le minacciose dichiarazioni rivolte all’Ue, che condizionano la diminuzione dei dazi all’importazione al 15% solo se i paesi dell’Unione acquisteranno dall’America beni per 2mila miliardi di dollari in tre anni (spesa militare e energia fossile), rivelano lo stato di difficoltà che sta attraversando l’economia degli Stati Uniti.

Il debito pubblico degli Usa ha raggiunto 28.100 miliardi di dollari nel primo trimestre del 2025, pari al 100% del Pil, e gli Usa sono passati da paese creditore a paese debitore che ha una montagna di debito estero. La somma del debito pubblico con il debito privato ha raggiunto il 250% del Pil. Situazione che nel 2008 provocò la gravissima crisi finanziaria internazionale dovuta a un eccesso di indebitamento del settore privato (sub prime lending) nelle costruzioni immobiliari.

I motivi di allarme

La preoccupazione per l’insostenibilità del debito pubblico americano cresce a causa della perdita di capacità produttiva tradizionale, a favore della finanziarizzazione delle attività economiche, e della difficolta che la Federal Reserve incontra nell’emettere nuovo debito per coprire le necessità del bilancio, vista l’enorme massa del debito pubblico complessivo.

La stessa nomina di Stephen Miriam nel Consiglio dei governatori della Federal Reserve, un fedelissimo di Trump – l’ideologo della svalutazione del dollaro quale condizione per la ripresa dell’economia americana – in sostituzione della dimissionaria Adriana Kugler, critica sulle posizioni del presidente in tema di politiche monetarie, è un chiaro segnale contro le scelte del governatore della Fed Jerome Powell – che Trump “licenzierebbe in un batter d’occhio, ma dicono che disturberebbe i mercati” – rivolte a tenere bassa l’inflazione per non indebolire il dollaro.

Gli Usa, dopo la cessazione del cambio dei dollari in oro (1971), per mantenere l’egemonia della loro valuta hanno sempre tenuto bassa l’inflazione, per preservarne il potere di acquisto, cosa che è piaciuta molto ai gestori della finanza mondiale.

Trump non è Reagan

Trump, al di là delle peculiarità del personaggio, per come si muove sullo scacchiere internazionale non è in grado di gestire la crisi del dollaro, come fece Reagan nel 1985 con gli Accordi del Plaza tra i ministri delle finanze delle banche centrali del G5 (Francia, Germania, Regno Unito, Giappone e Canada),  che costrinsero il Giappone ad accettare la svalutazione del biglietto verde per restituire competitività alle merci americane nei confronti di quelle giapponesi. 

Gli Stati Uniti, a differenza di allora, non sono più la principale potenza economica mondiale. Rappresentano il 25% del Pil globale e hanno a che fare con potenze come la Cina, che ha la stessa percentuale del Pil globale, con un modello economico opposto a quello capitalista.

Trump e il suo ideologo molto probabilmente non si rendono conto – accecati dalla bolla speculativa creatasi nella borsa di New York con lo stop and go della guerra dei dazi – che si stanno battendo per la rinascita dell’economia statunitense con armi spuntate, che si rivolgono contro il popolo americano. Il presidente sta combattendo una crisi del capitalismo finanziario americano con una politica monetaria e commerciale sbagliata. Potrebbe, al contrario, accelerare il tramonto dell’epoca in cui il dollaro era una moneta affidabile e dominante.

L’articolo Perché Donald Trump rischia di accelerare il declino del dollaro è tratto da Forbes Italia.

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