Riconquista della Luna: cosa c’è di davvero prezioso lassù?

Le future missioni Artemis con equipaggio riapriranno l’esplorazione umana del nostro satellite, aprendo una nuova fase della corsa allo spazio: ci sono solo interessi scientifici a motivare l’impresa o si cercano anche risorse potenzialmente sfruttabili? L’esperto ci svela cosa contiene la superficie lunare.
Per la prima volta, dopo più di cinquant’anni, l’uomo si appresta a rimettere piede sulla superficie del nostro satellite.
Le agenzie spaziali americana, europea, canadese e giapponese, stanno infatti per lanciare la missione Artemis II, che prevede lo sbarco sul satellite di un equipaggio umano.
Il rinnovato interesse per le esplorazioni lunari, secondo quanto si legge spesso sui social e sui media, non sarebbe dettato solo da scopi meramente scientifici, ma anche da interessi economici e geopolitici.
Si parla spesso di risorse minerarie potenzialmente sfruttabili – avendo a disposizione opportuna tecnologia estrattiva e di invio sulla Terra -, soprattutto di metalli preziosi e delle famose Terre Rare, elementi chimici oggi indispensabili nella filiera industriale della microelettronica e della produzione di batterie, di cui il mercato ha continuamente e crescentemente fame.
Ma davvero lassù ci sono giacimenti di materiali preziosi che attendono solo di essere coltivati? Abbiamo sentito il parere di un esperto, G. Diego Gatta, professore ordinario di Georisorse Minerarie e Applicazioni Mineralogiche presso l’Università degli Studi di Milano.
Se pensavate che sul nostro satellite ci fosse una sorta di Eldorado, per quanto riguarda le risorse minerarie e i metalli rari, forse rimarrete alquanto delusi. Perché non è affatto così. Ecco cosa ci ha detto.
Professore, parliamo della Luna e del suolo lunare. Di cosa è composto? Che cosa c’è lì?
C’è una relazione filiale della Luna rispetto alla Terra, come pianeta madre, secondo la nota teoria dell’impatto di un altro corpo celeste con il nostro pianeta. Si ritiene che, circa quattro miliardi di anni fa, un corpo celeste (di dimensioni planetarie) abbia impattato contro il nostro pianeta: da questa apocalittica collisione – ossia dal materiale espulso e poi condensato– si sia generata la Luna. La valorizzazione di questa teoria è sostanziata dalla similitudine tra i materiali lunari e quelli terrestri.
Anche la Luna, come la Terra, è un pianeta “differenziato”, e noi definiamo “Crosta” lunare il livello più esterno e sottile, rispetto agli altri segmenti che costituiscono in profondità il resto del satellite.
E sappiamo bene che la Crosta lunare è sostanzialmente costituita da rocce che possiamo definire basaltiche, in prima approssimazione.
Se le definiamo tali è semplicemente perché abbiamo l’analogo terrestre di quelle rocce, per l’appunto i basalti, che conosciamo molto bene.
I basalti sono rocce vulcaniche, costituite prevalentemente da una matrice amorfa (vetrosa) e da alcuni minerali.
In particolare, questi minerali sono silicati di ferro e magnesio, silicati di calcio e magnesio e alluminosilicati di calcio.
Quindi, sono questi gli elementi chimici che vanno a costituire prevalentemente la Crosta lunare: calcio, magnesio, ferro, alluminio, silicio e ossigeno.
La parte estremamente superficiale della Crosta prende il nome di “regolite”.
Utilizziamo questo termine per identificare i materiali che costituiscono i primi metri, in termini di profondità, della Crosta lunare.
L’analogo terrestre sarebbe il suolo. Sulla Luna, però, mancano una serie di fenomeni che sulla Terra sono direttamente legati all’interfaccia tra litosfera, idrosfera e atmosfera, come l’azione delle acque o dei venti sulle rocce e tutto ciò che ne deriva.
Quindi, la parte più superficiale della Crosta lunare viene a trasformarsi non con gli stessi meccanismi che insistono sulla superficie della Terra, ma con meccanismi diversi, quali soprattutto (ma non esclusivamente) l’impatto da parte di corpi esterni (corpi celesti).
Infatti, la superficie lunare è quasi completamente ricoperta da crateri di impatto, osservati molto bene sin dall’invenzione del cannocchiale.
La regolite può avere una composizione leggermente diversa, nelle componenti chimiche minori, dalle rocce basaltiche più profonde, perché influenzata dalla contaminazione dei corpi celesti impattati. Ma non vi è una differenza composizionale sostanziale.
Ci sono dei minerali di qualche interesse nella parte della Luna, diciamo così, accessibile con le attuali tecnologie, ossia qualche metro di profondità?
Facciamo un confronto con quello che noi oggi mettiamo in pratica sulla Terra, cioè il modo in cui noi utilizziamo, dal punto di vista minerario, le rocce analoghe a quelle dei basalti lunari.
Cosa ci facciamo noi oggi sulla Terra con il medesimo tipo di rocce? Molto poco, in termini di “resa tecnologica”.
Questa risposta so che può scioccare, però calibra molto bene quello che è il livello di fantasia che oggi circola attorno a questo argomento.
Con le rocce basaltiche, noi oggi sulla Terra otteniamo quasi esclusivamente materiali da costruzione. Quasi nient’altro. Quindi, stiamo parlando di un utilizzo a bassa tecnologia.
Questo poiché, come già anticipato, gli elementi chimici contenuti nei minerali all’interno di queste rocce sono sostanzialmente calcio, magnesio, ferro, alluminio, e silicio (oltre all’ossigeno, che è quasi onnipresente nella struttura cristallina di gran parte dei minerali della Crosta terrestre), tutti abbastanza comuni nella Crosta terrestre.
E che, quando ci servono, andiamo a recuperare da altri minerali in altri tipi di rocce, e non certo dai basalti, in grado di fornirceli in modo più vantaggioso.
Faccio quale esempio chiarificatore: un basalto può contenere una certa concentrazione di ferro, ma questo elemento è presente in una forma tale per cui non andremmo mai ad estrarlo da questo tipo di roccia, per arrivare ad ottenere il ferro metallico che poi impieghiamo in gran parte della nostra tecnologia. Il ferro, infatti, viene ottenuto da minerali presenti in altre rocce, come la magnetite (calamita) o l’ematite, che sono ossidi di ferro ad altissimo contenuto dell’elemento e dai quali riusciamo ad ottenerlo con una tecnologia semplice ed efficace. Il calcio, che è pur presente nelle rocce basaltiche, lo otteniamo generalmente da altri tipi di rocce, per esempio dai calcari (carbonati di calcio), perché nei calcari è più abbondante ed è contenuto in una forma che permette una separazione completa, rapida e a basso costo.
E la stessa cosa la possiamo dire per il silicio, che ricaviamo generalmente dal quarzo, non certo dai basalti.
Lo stesso ragionamento è estendibile anche all’alluminio, che otteniamo generalmente dalle bauxiti, o al magnesio, generalmente ottenuto da carbonati di magnesio (magnesite, in primis).
Questa è la ragione per cui noi oggi sulla Terra utilizziamo quelle rocce, i basalti, quasi esclusivamente come materiali da costruzione o come pietre ornamentali. Vi sono pochi altri ulteriori utilizzi di nicchia dei basalti, che riguardano altri comparti industriali (ad esempio, la produzione di cementi Portland), ma non di elevata tecnologia.
Quindi, perché mai dovremmo trasferire materiali lunari sulla Terra per i bisogni minerari che abbiamo?
Quindi possiamo dire che, sulla superficie lunare accessibile, non c’è nulla di valore: si sente anche parlare delle famose Terre Rare, quelle che servono adesso per le batterie, la microelettronica e altre applicazioni tecnologiche.
In nessun posto al mondo, le Terre Rare vengono estratte da rocce basaltiche simil-lunari, perché il loro contenuto è così basso, direi quasi insignificante (poche decine di parti per milione), che non c’è nessuna ragione per giustificare un progetto di estrazione.
Tornando invece alla regolite, e parlando appunto di materiali di una costruzione, diversi articoli ipotizzano di utilizzarla come copertura per future basi lunari con presenza umana. Questo lei lo vede come uno scenario più fattibile, cioè utilizzare la regolite per costruirci qualcosa?
Credo che questo, allo stato attuale delle conoscenze e con la tecnologia disponibile, sia l’unico tipo di utilizzo realistico per cui la regolite può essere in qualche modo valorizzata nelle future attività dell’uomo sulla Luna, esattamente come la usiamo sulla Terra dal punto di vista delle analoghe rocce basaltiche, cioè come materiale da costruzione.
In questo non vedo nulla di strano, se non il grosso investimento tecnologico per avere capacità per estrarre regolite sulla Luna, tagliarla in blocchi nelle dimensioni utili e da mettere in opera nei manufatti che verrebbero realizzati sulla superficie lunare.
Questi sono i limiti tecnici attuali dell’utilizzo della regolite come materiale da costruzione, ma che, probabilmente, con un impegno importante, dal punto di vista degli investimenti, potrebbe avere una valenza realistica.
Parliamo, comunque, di imprese economicamente molto onerose, dovendo operare in condizioni di gravità, di temperatura e di esposizione alle radiazioni cosmiche molto diverse da quelle terrestri.
C’è la possibilità di estrarre l’acqua dal suolo lunare, quella che è intrappolata nei minerali?
Il tipo di rocce che costituiscono la Crosta lunare non contiene concentrazioni di H2O sufficienti per pensare di utilizzare i materiali lunari per l’approvvigionamento di acqua indirizzato alle attività umane.
Potrebbe essere più ragionevole provare ad approvvigionarsi di acqua laddove si dovesse trovare nella forma di ghiaccio, viste le temperature che ci sono sulla superficie lunare, ma in quel caso si tratta di accumuli che sono indipendenti rispetto alla natura delle rocce.
Un’altra cosa è invece la possibilità di estrarre l’ossigeno dal dalle rocce lunari.
Una roccia come il basalto contiene circa il 40% in peso di ossigeno elementare. Ma non è ossigeno molecolare gassoso (O2), che è quello che serve per la sopravvivenza degli esseri viventi.
Oggi, sulla Terra, non ci sogneremmo mai di estrarre ossigeno da una roccia basaltica per ottenere la sua forma molecolare gassosa, perché quell’ossigeno è fortemente legato, a livello atomico, nella struttura cristallina dei minerali, e quindi estrarlo e renderlo disponibile come molecola O2 imporrebbe costi e tecnologie insostenibili; ed infatti non lo si fa.
Tuttavia, si potrebbero fare degli investimenti tecnologici che sulla Terra non avrebbero senso, ma che in una realtà come quella, appunto, extraterrestre potrebbero avere valore.
Quindi, estrarre ossigeno dalle rocce lunari non è teoricamente impossibile, ma richiede una tecnologia tale per cui è difficile immaginare che, nell’immediato futuro, si sia pronti a farlo sulla Luna.
Lo stesso ragionamento si potrebbe estendere agli altri elementi succitati delle rocce lunari: Ca, Mg, Fe, Al e Si.
Non va fatta confusione tra due aspetti profondamente diversi. Può avere senso estrarre elementi chimici da rocce lunari per un utilizzo finalizzato alle attività da sviluppare sulla Luna, a patto che si abbia conoscenza tecnica e capacità di spesa.
Questo renderebbe le attività dell’uomo sulla Luna indipendenti dall’approvvigionamento terrestre. Ma non ha nessun senso estrarre materiali lunari per trasferirli sulla Terra, poiché quello che Luna può offrire, all’attuale stato delle conoscenze, non ha valore aggiunto per le attività e i bisogni dell’uomo sulla Terra.
Se nelle future missioni Artemis venisse mandato anche un geologo sulla Luna, che cosa gli suggerirebbe di studiare, di analizzare, quali test gli farebbe fare?
Noi abbiamo dei dati riguardo alla composizione del suolo lunare, perché le varie missioni che si sono succedute, nel corso del tempo, hanno portato sulla Terra alcune centinaia di chilogrammi di campioni di suolo lunare.
Questo materiale è stato studiato, ed è la ragione per cui: 1) conosciamo come è fatta la Crosta lunare, 2) abbiamo potuto comparare i materiali lunari con quelli terrestri, e 3) possiamo considerare la teoria dell’impatto, che vede la Luna generata direttamente dalla Terra, come quella più accreditata.
Secondo me, quello che bisognerebbe fare è approfondire innanzitutto la conoscenza geologica della Crosta lunare. Sarei, quindi, molto contento se ci fossero geologi nella nuova fase di esplorazione della Luna.
Noi oggi abbiamo una conoscenza parziale della geologia del nostro satellite, anche in termini di estensione areale rispetto ai luoghi di campionamento dei materiali lunari del passato.
Poche centinaia di chilogrammi, a rappresentare un intero satellite, non sono statisticamente molto significativi.
Gran parte dei dati, utilizzati per la ricostruzione della geologia della Luna, non ci sono stati forniti da indagini “dirette” (ossia dalla raccolta di campioni lunari trasferiti sulla Terra o da campagne di rilevamento geologico sul suolo lunare), ma da indagini “indirette”, grazie all’utilizzo di sonde che non hanno avuto il contatto diretto con il satellite.
Ritengo che ci sarebbe margine, e potrebbe essere auspicabile, un incremento del campionamento dei materiali lunari e lo studio dei medesimi effettuato sulla Terra.
I campioni lunari di cui disponiamo sono stati riportati sulla Terra oramai diversi decenni fa. Quindi, in parte non più disponibili, perché analizzati con tecniche analitiche semi-distruttive.
L’avanzamento delle conoscenze suggerirebbe nuove campagne di campionamento. Una nuova fase di campionamento lunare potrebbe fornirci materiali da studiare con l’aggiornamento delle conoscenze e delle tecniche oggi disponibili, che sono sicuramente più evolute rispetto a quelle di 40-50 anni fa.
Si riuscirebbe ad avere un quadro geochimico e mineralogico più avanzato, aggiornato ai tempi. Indubbiamente, questo renderebbe più robusta la nostra conoscenza del satellite, e potrebbe aprire nuove frontiere legate alla futura presenza permanente dell’uomo sulla Luna, o semplicemente al suo utilizzo per l’esplorazione spaziale.
Concludo con un auspicio: che si possa tornare ad avere una base di discussione, riguardo alla Luna, che sia più scientifica e meno fantascientifica.
Questo, credo, stia diventando un problema in tanti ambiti, ma traspare che riguardo all’esplorazione spaziale, e nel caso specifico alla Luna, la fantascienza abbia preso il sopravvento rispetto alla scienza.
Ritengo, quindi, sia molto importante ridare la parola agli scienziati, a coloro che si esprimono in funzione di quello che è il metodo sperimentale e sulla base dei dati a disposizione.
D’altro canto, ci vorrebbe una diversa politica anche dell’informazione verso il grande pubblico: auspico che, chi si occupa di trasferimento e disseminazione dell’informazione, sia oggi, più di ieri, consapevole del fatto che è utile dare la parola agli scienziati e non dare credito a chiunque si elevi al rango di esperto, semplicemente perché scrive qualcosa che viene facilmente veicolata mediante gli strumenti digitali che Internet mette oggi a disposizione, senza alcuna verifica sulla veridicità dei contenuti.
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