Carlo Acutis, il santo di Internet: la fede che abita la rete



Un ragazzo normale, un discepolo straordinario
Il 7 settembre 2025 verrà proclamato santo Carlo Acutis, il quindicenne morto di leucemia fulminante nel 2006 e già conosciuto nel mondo come il “patrono di Internet”. Un titolo che può sembrare curioso, persino insolito, ma che diventa luminoso se osservato alla luce della sua vita. Carlo era un ragazzo come tanti: scuola, calcio, amicizie, passioni. Ma dentro questa quotidianità ardeva una fede radicale, alimentata dall’Eucaristia che egli chiamava “la mia autostrada per il cielo”.
Il suo talento informatico – precoce e sorprendente – non fu mai un gioco fine a sé stesso. Vide nel web uno spazio da abitare con responsabilità, un campo di missione in cui annunciare il Vangelo. La sua mostra online sui miracoli eucaristici, ancora oggi visitata in tutto il mondo, è la prova concreta che un adolescente armato di tastiera può trasformare Internet da luogo di consumo veloce a strumento di evangelizzazione.
Perché “patrono di Internet”
In fondo Carlo non ha inventato nulla di nuovo: ha applicato il principio antico del cristianesimo – “annunciare Cristo con i mezzi di ogni tempo” – al linguaggio del suo presente. Internet per lui non era un rischio da demonizzare né un passatempo da consumare, ma un dono da usare bene. Diceva: “Internet è un dono di Dio, ma bisogna usarlo bene”.
Il suo esempio ci obbliga a una domanda che spesso evitiamo: come stiamo abitando gli spazi digitali?. Nelle sue mani Internet non era una bolla di isolamento, ma un ponte. Non uno specchio narcisista, ma una finestra aperta sull’Eterno. Ed è proprio questa la ragione per cui diventa patrono di un mondo connesso eppure spesso disconnesso dall’essenziale.
Pastorale digitale: dalla tecnica alla relazione
Le riflessioni sulla pastorale digitale lo confermano: non basta imparare i “trucchi del mestiere” dei social, come saper girare un video o scrivere un post. Non è questione di algoritmi, ma di linguaggi e di relazioni. L’annuncio evangelico non può ridursi a una strategia di marketing, deve essere un incontro autentico.
Viviamo in un’epoca in cui la forma rischia di prevalere sulla sostanza, l’apparenza sulla verità. Carlo ci insegna che si può comunicare in rete senza maschere, senza filtri artefatti, lasciando trasparire la verità di ciò che siamo. La sua “pastorale digitale” non aveva bisogno di like, ma di autenticità.
Una santità connessa
La trasformazione digitale ci interpella: nuovi media chiedono un nuovo mindset, un cambio di mentalità. La Chiesa non può limitarsi a trasportare vecchi modelli in spazi nuovi. Carlo, con semplicità e intuizione, lo aveva già capito. Non ha usato Internet come un pulpito improvvisato, ma come un tessuto di relazioni, una piazza da attraversare con passo leggero e cuore ardente.
Ora tocca a noi
Il giovane che chiamava l’Eucaristia la sua “autostrada per il cielo” ci invita oggi a trovare nel digitale non un parcheggio sterile, ma una via di comunione. Se il web rischia di diventare un labirinto di solitudini, Carlo ci ricorda che può essere invece un altare di incontro, un mosaico di testimonianze, un luogo dove la fede si fa condivisa.
La pastorale digitale, se vuole essere feconda, deve lasciarsi ispirare dal suo esempio: custodire la verità oltre i filtri, coltivare relazioni autentiche oltre le connessioni virtuali, annunciare il Vangelo con creatività ma soprattutto con coerenza.
Non si tratta di copiare Carlo, ma di lasciarsi guidare dal suo sguardo limpido. Lui ci mostra che anche nella rete più intricata si può trovare un sentiero che porta al cielo. Sta a noi percorrerlo.
Il docufilm
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