La diffamazione online e il concetto di “presenza”: la Cassazione si pronuncia sul caso TikTok

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Una recente sentenza della Cassazione, la numero 29458/2025, si occupa di fornire chiarimenti sulla diffamazione online analizzando una controversia generata da un video pubblicato su TikTok.
La vicenda su cui si è pronunciata la Suprema Corte prende avvio da un video pubblicato sulla piattaforma TikTok. L’autore del contenuto aveva utilizzato frasi offensive nei confronti di una persona chiaramente riconoscibile. Il filmato non era destinato a una cerchia ristretta, ma era accessibile a chiunque frequentasse il profilo e, di conseguenza, la diffusione delle parole lesive era potenzialmente illimitata.
La persona offesa, accortasi della pubblicazione, aveva denunciato l’accaduto alle autorità, sostenendo che l’offesa non si era limitata a una battuta privata, ma aveva assunto il carattere di un attacco pubblico. Da qui era nato un procedimento penale, che si è poi concentrato non tanto sull’autore della condotta – pacificamente individuato – quanto sulla qualificazione giuridica del fatto.
Il punto decisivo era capire se il comportamento integrasse la fattispecie, ormai depenalizzata, di ingiuria, oppure il più grave reato di diffamazione, tuttora previsto e punito dal Codice penale.
Distinzione tra ingiuria e diffamazione
La distinzione tra ingiuria e diffamazione si fonda tradizionalmente sul concetto di “presenza” della persona offesa. L’ingiuria, infatti, presuppone che l’autore e la vittima si trovino nello stesso contesto spazio-temporale, alla presenza di terzi, così da consentire un confronto immediato. La diffamazione, invece, si configura quando l’offesa viene pronunciata in assenza del destinatario, che non ha quindi la possibilità di replicare.
Con l’evoluzione delle tecnologie, questo criterio interpretativo ha richiesto nuovi adattamenti. La giurisprudenza ha riconosciuto che anche situazioni di “presenza virtuale”, come le videoconferenze o le chiamate online, possono essere equiparate alla presenza fisica, purché garantiscano un contraddittorio effettivo e simultaneo. In assenza di tale possibilità di interlocuzione diretta, si ricade invece nello schema della diffamazione.
Un precedente importante è rappresentato dalla cosiddetta sentenza Fedeli, nella quale la Corte aveva escluso l’ingiuria per dichiarazioni offensive rese in televisione. In quel caso, l’invio di un semplice messaggio da parte dell’offeso non era stato considerato sufficiente a instaurare un rapporto paritario e immediato con l’autore delle offese.
La diffamazione online e il concetto di “presenza”: la Cassazione si pronuncia sul caso TikTok
Con la sentenza n. 29458 del 2025, la quinta sezione penale della Cassazione ha affrontato direttamente il problema, applicandolo al contesto dei social network. I giudici hanno stabilito che la pubblicazione di un video offensivo su TikTok non può essere qualificata come ingiuria, ma integra gli estremi della diffamazione.
Secondo la Corte, la possibilità per la persona offesa di commentare il video non equivale a un vero e proprio contraddittorio: si tratta infatti di uno strumento limitato, che non consente un dialogo immediato e alla pari con l’autore. L’interazione tipica dei social, pur essendo rapida, non realizza quella simultaneità necessaria per parlare di “presenza” ai fini dell’ingiuria.
Gli Ermellini, infatti, sottolineano che “[…] al momento della trasmissione del video in diretta, la circostanza che la persona offesa vi abbia assistito, non consente di affermarne la presenza nel senso sopra specificato, atteso che la pur prevista possibilità di inserire contestualmente dei commenti alle immagini e alle frasi pronunciate nel video, costituisce uno strumento di interlocuzione limitato che non mette in rapporto diretto e paritario offensore e offeso e perciò non garantisce un contraddittorio immediato, reale ed effettivo.”.
Di conseguenza, l’offesa diffusa tramite un video online deve essere trattata come diffamazione, perché rivolta a un pubblico indeterminato e priva di un confronto diretto con la vittima.
La Cassazione ha così chiarito che la nozione di “presenza” non può essere dilatata fino a ricomprendere qualsiasi forma di comunicazione digitale, ma deve restare ancorata a situazioni in cui sia garantito un vero dialogo immediato.
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