Costi energia: l’Italia paga di più e rischia anche di restare indietro


L’Italia si confronta con un sistema energetico ancora dominato da fonti fossili, costi elevati e una forte dipendenza dall’estero. Un’analisi comparativa con Francia, Germania e Spagna, realizzata dalla Rome Business School e pubblicata nel report Energia e Transizione in Italia e in Europa, mostra come la transizione ecologica nazionale richieda una strategia più integrata, investimenti mirati e continuità politica
La questione energetica, da tema settoriale e tecnico, è tornata ad assumere un valore strategico, sistemico, per la tenuta economica e geopolitica dell’Europa.
A due anni dall’invasione russa dell’Ucraina, lo scenario energetico continentale si presenta trasformato ma ancora irrisolto: l’emergenza ha accelerato le politiche di transizione ecologica, ma ha anche rivelato le fragilità strutturali dei singoli Stati membri.
L’Italia, in particolare, si trova oggi in una posizione di vulnerabilità accentuata e di ritardo competitivo rispetto ai principali partner europei, aggravata da prezzi dell’energia elettrica tra i più alti dell’Unione e da un mix energetico ancora dominato da fonti fossili.
Sovranità energetica: una promessa ancora incompiuta
Nel 2023 l’Italia ha importato il 74,8% dell’energia consumata, il valore più elevato tra le maggiori economie dell’Ue.
A fronte di un calo significativo della domanda energetica rispetto al 2005 (-25%), il Paese non ha tuttavia saputo ridurre proporzionalmente la propria dipendenza esterna.
La Francia, grazie alla produzione nucleare, limita la quota di import al 45%; Spagna e Germania si attestano rispettivamente al 68% e al 66%.
La fragilità italiana deriva in parte da un ritardo cronico nello sviluppo delle fonti rinnovabili: nel 2023, queste hanno coperto solo il 20,5% del mix energetico primario, e meno della metà della generazione elettrica.
Il quadro europeo e la posizione italiana
La transizione energetica, come delineato dal pacchetto Fit for 55 e dal Pniec aggiornato, impone agli Stati membri un cambio di paradigma fondato su tre pilastri:
- decarbonizzazione
- sicurezza energetica
- competitività industriale
In tale contesto, l’Italia sconta una doppia criticità: un costo dell’energia elettrica tra i più elevati d’Europa e una dipendenza dall’estero che ha raggiunto nel 2023 il 74,8% del fabbisogno nazionale – la quota più alta tra le grandi economie dell’Ue.
Il differenziale di prezzo dell’elettricità all’ingrosso è emblematico: nei primi quattro mesi del 2025, l’Italia ha registrato una media di 136,2 €/MWh, contro gli 80,9 €/MWh della Spagna e i 94,5 €/MWh della Francia.
Tale divario, superiore al 68% rispetto a Madrid, penalizza l’intero sistema produttivo e riduce il potere d’acquisto delle famiglie.
Mix energetico: la lentezza della transizione
Nonostante i proclami, la struttura energetica nazionale continua a poggiare su fondamenta fossili. Nel 2023, il gas naturale rappresentava ancora il 35,4% del mix primario italiano, il petrolio il 36,7% e le fonti rinnovabili appena il 20,5%.
La crescita delle rinnovabili, pari a +0,9 punti percentuali dal 2021, è risultata la più contenuta tra i grandi Paesi europei. La Germania, nello stesso periodo, ha segnato un incremento annuo medio dell’8,4% nella produzione da fonti pulite.
In Italia, l’insufficienza di produzione interna – aggravata da un’insufficiente crescita delle rinnovabili – rende strutturale l’esposizione ai mercati internazionali e alle loro oscillazioni.
Emissioni e intensità energetica: segnali in chiaroscuro
Tra il 2005 e il 2023 l’Italia ha ridotto le emissioni di gas serra del 35%, ma il ritmo si sta attenuando: secondo il Centro Europa Ricerche, il calo previsto per il 2024 è del -3%, rispetto al -6,4% del 2023.
La performance di intensità carbonica, misurata in emissioni per unità di Pil, colloca l’Italia (0,19) in linea con Germania (0,18) e Spagna (0,20), ma dietro alla Francia (0,14), grazie alla maggiore incidenza del nucleare nel mix.
Nel dettaglio, il settore energetico e industriale incide per oltre un terzo delle emissioni italiane, mentre i trasporti pesano per il 28,2%. Gli usi civili, principalmente riscaldamento ed edilizia, rappresentano tra il 16% e il 18%.
La quota dell’agricoltura, infine, si attesta all’8%, circa la metà di quella francese. Questi dati sottolineano l’urgenza di politiche settoriali più mirate, che tengano conto delle specificità produttive e demografiche nazionali.
Tecnologie abilitanti e investimenti: il ritardo italiano
La rivoluzione energetica europea si gioca su sei tecnologie abilitanti:
- solare
- eolico
- batterie
- veicoli elettrici
- pompe di calore
- elettrolizzatori
A fronte di un mercato globale che muove oltre 700 miliardi di dollari annui, l’Italia partecipa, ma con margini ancora modesti. Sul fronte dell’idrogeno verde, l’obiettivo italiano al 2030 è di 5 GW di elettrolizzatori, contro i 10 GW della Germania e i 27 GW della Spagna.
Nel 2023, le auto elettriche hanno rappresentato meno del 10% delle nuove immatricolazioni, a fronte del 15% in Germania e Francia.
Anche il programma di diffusione delle pompe di calore, pur supportato dal Pnrr con 1 miliardo di euro destinato alle filiere green e 740 milioni per le infrastrutture di ricarica, risente di un ridotto coordinamento tra livelli istituzionali e di ostacoli burocratici persistenti.
La concorrenza internazionale, inoltre, impone una riflessione strategica sull’approvvigionamento delle materie prime critiche, oggi saldamente nelle mani della Cina (fino al 98% della produzione mondiale per alcune componenti chiave).
Strategie nazionali: la necessità di una governance integrata
L’Italia non è priva di strumenti: il Pniec aggiornato, i fondi del Pnrr e le risorse europee costituiscono una base finanziaria rilevante. Tuttavia, il nodo irrisolto resta quello della governance.
L’assenza di una regia stabile e la discontinuità nelle politiche pubbliche frenano l’efficacia delle iniziative avviate. La frammentazione tra livelli istituzionali, la lentezza autorizzativa e la mancanza di coordinamento tra pubblico e privato rappresentano ostacoli strutturali.
L’analisi comparativa con Francia, Spagna e Germania mette in luce modelli virtuosi replicabili: integrazione delle politiche industriali con quelle ambientali, rafforzamento del sistema di ricerca e innovazione, semplificazione amministrativa e investimenti su scala nazionale.
Ma ciò che manca all’Italia è, prima di tutto, una visione sistemica e un impegno politico coerente nel tempo.
Conclusione aperta: trasformare la fragilità in forza
Il report Energia e Transizione in Italia e in Europa, pubblicato dalla Rome Business School, offre una diagnosi accurata della condizione italiana: fragilità strutturale, dipendenza esterna e ritardi nell’adozione delle tecnologie chiave.
Tuttavia, la sfida energetica – oltre che tecnica – è culturale. Coinvolge il comportamento dei cittadini, la responsabilità delle imprese e il coraggio delle istituzioni.
Ridurre la domanda assoluta di energia, promuovere l’efficienza e sostenere l’innovazione sono le direttrici necessarie per costruire una transizione equa, stabile e duratura.
La crisi attuale può divenire un’opportunità storica: non per rincorrere modelli altrui, ma per definire una via italiana alla sostenibilità, fondata sulla tradizione industriale, sulla resilienza delle comunità e su una nuova etica della responsabilità energetica.
Crediti immagine: Depositphotos
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