Dalila si lanciò sui binari per salvare il suo cane, morirono entrambi: potrebbe diventare santa e la sua storia è raccontata in un docufilm

Dicembre 17, 2025 - 13:36
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Dalila si lanciò sui binari per salvare il suo cane, morirono entrambi: potrebbe diventare santa e la sua storia è raccontata in un docufilm.

La storia di Dalila non è soltanto il racconto di un tragico incidente ferroviario avvenuto in una calda giornata d’agosto; è la cronaca di una metamorfosi interiore che ha trasformato il dolore in una missione d’amore universale. Oggi, quella vita spezzata sui binari della Termoli-Foggia è diventata il cuore pulsante di un’opera cinematografica, “Santa Dalila”, diretta dalla giornalista Anna Langone e presentata al Matera Film Festival. Un’opera che, pur mantenendo un approccio laico, si fa portavoce di una proposta dirompente: l’avvio di un processo di beatificazione per la giovane di San Severo.

Il docufilm sulla ragazza che perse la vita sui binari del treno per cercare di salvare il cane

La vita di Dalila è stata segnata da un prima e un dopo. Il punto di rottura avviene a diciott’anni, quando un terribile incidente stradale le porta via due amici e la costringe a un lungo e doloroso percorso di riabilitazione. È in quel buio che Dalila trova una luce inaspettata. Invece di chiudersi nel risentimento o nel trauma, la ragazza decide di “spalancare il cuore alla bontà“.

La sua esistenza diventa un mosaico di altruismo concreto. Si rimbocca le maniche per sostenere la madre e le cinque sorelle, già provate dalla perdita prematura del padre, svolgendo diversi lavori con umiltà e dedizione. Ma il suo impegno non si ferma tra le mura domestiche. Dalila diventa donatrice di sangue. Ma il 9 Agosto 2017, il destino si compie in pochi, drammatici secondi. La ragazza si trovava alla stazione ferroviaria in compagnia di un bambino rimasto orfano di entrambi i genitori, a testimonianza della sua costante vicinanza verso chi soffre. Improvvisamente, il cane che era con loro salta fuori dall’auto e corre verso i binari.

Per Dalila non c’è tempo per il calcolo del rischio o per l’istinto di conservazione. In quello “slancio che avrebbe compiuto per qualsiasi essere vivente”, come ricordano oggi le sorelle, la ragazza insegue il cucciolo proprio mentre sopraggiunge un treno. Quel gesto di estremo coraggio, volto a salvare una creatura indifesa, segna la fine della sua vita terrena ma l’inizio di un’eredità morale che oggi chiede di essere riconosciuta ufficialmente.

Il lavoro di Anna Langone non nasce per celebrare il martirio in senso stretto, ma per restituire dignità a una storia che l’informazione mainstream, all’epoca dei fatti, aveva liquidato troppo in fretta come una semplice fatalità. “Quella vita sacrificata nel fiore degli anni ha continuato a dirmi che dietro c’era più di una disgrazia”, spiega la regista. Il film vede la partecipazione straordinaria dei veri familiari di Dalila, affiancate dalla studentessa Alessia Sciagura nel ruolo della protagonista. Il cast è arricchito da camei come quello del conduttore Rai Savino Zaba e del medico Giovanni Cataleta, creando un ponte tra la narrazione documentaristica e l’emozione pura.

L’eco di una notizia che nasce dal cuore del Mediterraneo, tra i sassi millenari di Matera, ha varcato i confini nazionali per trasformarsi in un caso mediatico di portata internazionale. Non capita spesso che un Festival del Cinema, luogo deputato per eccellenza alla celebrazione dell’immagine e dell’effimero, diventi il palcoscenico per un’istanza di natura spirituale e profondamente umana: l’auspicio dell’avvio di un processo di beatificazione. Eppure, è proprio ciò che è accaduto durante l’ultima edizione della kermesse lucana, innescando una reazione a catena che ha coinvolto decine di testate giornalistiche, siti d’informazione esteri e una marea montante di discussioni sui social media.

Ma perché una proposta di carattere religioso trova così tanto spazio in un contesto laico e globalizzato? La risposta risiede in un bisogno collettivo, spesso inespresso, di ritrovare un senso di trascendenza e di “altro” in un’epoca dominata dal cinismo e dalla velocità. In un mondo saturo di informazioni frammentate, la storia che sottende questa richiesta si staglia come un punto fermo. Matera, con il suo Festival del Cinema sempre più proiettato verso una dimensione internazionale, ha saputo intercettare una tendenza profonda: il cinema non è solo spettacolo, ma testimonianza. Quando la cronaca incontra la spiritualità in un luogo così simbolico, l’effetto è dirompente.

In una società che cerca in ogni modo di anestetizzare la sofferenza, di nasconderla o di considerarla esclusivamente come un fallimento tecnico o biologico, questa prospettiva è rivoluzionaria. Proporre un modello di santità o di eccezionale bontà che passi attraverso il crogiolo del dolore significa restituire dignità all’esperienza umana nella sua interezza. La richiesta di beatificazione non è dunque solo un auspicio religioso, ma un atto politico nel senso più alto del termine: riguarda la polis, la comunità. È il segnale di una volontà di cambiare rotta, di smettere di guardare solo al basso e di alzare lo sguardo verso orizzonti più vasti. Lo “squarcio di speranza” menzionato è proprio questo: la consapevolezza che il buio non ha l’ultima parola. Se un Festival del Cinema può farsi portavoce di un messaggio così potente, significa che la cultura ha ancora il potere di scuotere le coscienze verso il bene comune. (di Elisabetta Guglielmi)

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