Divergenze tra Stati su beni russi congelati: dubbi giuridici e sfide politiche sull'utilizzo per ricostruire l'Ucraina

Dicembre 17, 2025 - 10:30
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Divergenze tra Stati su beni russi congelati: dubbi giuridici e sfide politiche sull'utilizzo per ricostruire l'Ucraina

lentepubblica.it

La questione dell’utilizzo dei beni russi congelati a seguito delle sanzioni imposte dopo l’invasione dell’Ucraina è al centro di un dibattito politico e giuridico assai articolato in Europa e tra i Paesi del G7.


Questi asset – dagli immobili ai conti bancari, fino ai maxi-yacht e altre proprietà di persone legate al regime di Mosca – sono stati bloccati per impedirne l’uso a vantaggio della Russia o dei suoi sostenitori. La maggior parte di questi, si parla di oltre 180 miliardi, è custodita a Bruxelles dall’Euroclear.

Tuttavia, la decisione su come e se utilizzarli per sostenere la ricostruzione dell’Ucraina o altri fini non è affatto scontata e divide gli Stati su diverse interpretazioni e strategie.

A conferma dei possibili effetti sistemici delle sanzioni, non va dimenticato che il congelamento degli asset russi ha già avuto ripercussioni sul sistema finanziario di alcuni Paesi europei, come dimostra la crisi che ha colpito il Liechtenstein, fortemente esposto alla gestione di patrimoni riconducibili a soggetti sanzionati.

Congelamento e confisca: una distinzione giuridica cruciale

 Al cuore della discussione c’è una distinzione fondamentale: il congelamento di beni, come misura temporanea adottata per l’attuazione delle sanzioni, e la confisca vera e propria che ne muterebbe la titolarità. Il primo strumento è previsto dai regolamenti dell’UE e blocca l’uso di un bene senza trasferirne la proprietà, mentre la confisca definitiva dovrebbe passare da una condanna penale e richiederebbe basi giuridiche più solide, pena il rischio di violare garanzie legali come il diritto di proprietà o l’immunità sovrana degli Stati.

Le posizioni degli Stati più prudenti e i timori di contenzioso

Alcuni Paesi, come il Belgio, esprimono forte cautela su questa distinzione. Ospitando infrastrutture finanziarie chiave, sono particolarmente attenti a non creare un precedente che possa disincentivare l’uso delle loro piattaforme da parte di capitali internazionali o esporre l’Unione europea a contenziosi legali.

Queste preoccupazioni non sono secondarie: se la confisca fosse adottata unilateralmente, potrebbe aprire contenziosi sia in ambito nazionale sia davanti alle corti europee e internazionali.

Il primo ministro belga Bart De Wever è tra i più noti oppositori dell’idea di utilizzare o confiscare direttamente i beni russi congelati. In una lettera indirizzata alla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, De Wever ha affermato che la proposta violerebbe il diritto internazionale e comporterebbe rischi finanziari significativi per i mercati e per l’euro, invitando alla cautela e sottolineando che il Belgio non può accollarsi da solo potenziali costi legali o economici legati a eventuali contenziosi.

In precedenti dichiarazioni, De Wever ha addirittura definito la confisca dei beni congelati come potenzialmente equivalente a un “…atto di guerra”, evidenziando timori non solo legali ma anche geopolitici.

Contemporaneamente, l’Ungheria ha portato avanti azioni legali contro alcune decisioni europee relative all’uso dei beni congelati, contestando la legittimità di certi strumenti finanziari come il Fondo europeo per la pace (EPF), accusando di aver violato norme procedurali o di bilancio

Gli Stati favorevoli a un utilizzo più incisivo degli asset

In contrasto, altri Stati, soprattutto dell’Europa orientale o baltica, considerano l’utilizzo dei beni congelati, inclusa la loro confisca, non solo legittimo ma anche necessario, come una forma di riparazione per i danni causati dall’aggressione russa all’Ucraina. Per questi paesi, tra cui Estonia e Polonia, la natura eccezionale del conflitto giustifica misure giuridiche e politiche non convenzionali, se inserite in un quadro multilaterale e coordinato:

  • L’Estonia si è distinta tra i Paesi dell’Unione europea a favore di una posizione più assertiva, sostenendo che gli asset russi congelati dovrebbero essere utilizzati per aiutare l’Ucraina, anche con modalità che vadano oltre il semplice utilizzo degli interessi ma includano forme di sfruttamento più diretto o garanzie per prestiti di riparazione. Questa posizione è stata messa in evidenza da dichiarazioni ufficiali del governo estone nell’ambito delle discussioni comunitarie sul tema.
  • La Polonia si è schierata con la linea di chi sostiene una maggiore effettività nell’uso dei beni congelati. Il ministro degli Esteri polacco, Radek Sikorski, ha rilanciato l’idea di non lasciare inutilizzati gli asset e ha dichiarato che, in fondo, “Putin ha già messo da parte quei fondi e non si aspetta di riaverli indietro”, suggerendo una posizione favorevole a usarli in modi più incisivi per sostenere Kiev.

Utilizzo dei profitti dei beni russi congelati

Nel mezzo sta la proposta oggi prevalente nell’Unione europea: non confiscare i capitali, ma utilizzare i profitti da essi generati per sostenere l’Ucraina, la sua difesa e la futura ricostruzione. Questo approccio cerca di bilanciare due esigenze apparentemente contrastanti: da un lato sostenere Kiev senza indebolire la certezza del diritto internazionale, dall’altro evitare che l’uso diretto dei beni crei un rischio sistemico o contenziosi che potrebbero ritorcersi contro l’UE stessa.

Sia la Francia sia la Germania hanno mostrato riserve giuridiche rispetto alla confisca pura e semplice dei beni congelati. Secondo le autorità di Parigi e Berlino, la confisca integrale senza base giuridica specifica potrebbe creare rischi per i mercati e per la sicurezza legale dell’UE e dell’Eurozona, suggerendo invece di concentrarsi su soluzioni come il prestito garantito o l’uso degli interessi generati.

Mentre la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha cercato di bilanciare le posizioni interne sostenendo che tutte le opzioni dovrebbero essere esplorate, minimizzando i rischi legali e finanziari, e sottolineando al tempo stesso la necessità di sostenere l’Ucraina. Alcuni documenti istituzionali mostrano che la Commissione stava elaborando proposte per usare gli asset, anche tramite strumenti come prestiti garantiti, piuttosto che confiscarli direttamente.

Prestiti garantiti e compromessi politici in ambito internazionale

In questo contesto, si sono affacciate anche proposte innovative: alcuni Paesi e istituzioni internazionali suggeriscono di utilizzare i beni congelati per emettere prestiti garantiti a favore dell’Ucraina. Con questa soluzione, gli asset non verrebbero immediatamente utilizzati o convertiti in capitale, ma servirebbero da garanzia finanziaria per raccogliere risorse sui mercati internazionali. In questo modo Kiev potrebbe ottenere liquidità immediata per la ricostruzione, mentre la loro eventuale effettiva confisca o restituzione potrebbe essere decisa in un contesto più favorevole, anche post-bellico.

Il compromesso in corso di definizione riflette la necessità di contemperare motivazioni giuridiche con obiettivi politici e umanitari: sostenere la ricostruzione di un Paese devastato dalla guerra senza compromettere i principi fondamentali del diritto internazionale e la stabilità del sistema finanziario globale.

Il caso Sailing Yacht A e l’analisi del procuratore Menditto

Un caso emblematico in Italia di beni russi congelati è quello dello Sailing Yacht A: un’imbarcazione da 143 metri di lunghezza, di proprietà riconducibile all’oligarca bielorusso Andrey Melnichenko – ritenuto vicino al presidente Vladimir Putin – ormeggiata a Trieste e sottoposta a congelamento amministrativo ai sensi del Regolamento (UE) 2022/328. La misura, adottata nel marzo 2022, ha lo scopo di bloccare ogni utilizzo del bene nel quadro delle sanzioni contro individualità legate alla guerra.

Francesco Menditto, massimo esperto in materia di sequestri, confische e congelamenti, ha offerto un quadro chiaro delle implicazioni di questo caso. Menditto fa parte del Consiglio Direttivo dell’Agenzia Nazionale per i Beni Sequestrati e Confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC), una realtà che fa scuola in Europa e nel mondo in materia.

Il già procuratore di Tivoli ha spiegato le differenze tra le procedure che si applicano ai casi italiani di sequestro e confisca alla criminalità organizzata e il caso dei beni russi congelati con il provvedimento europeo.

Nello specifico, in merito al Sailing Yacht A, attualmente lo Stato italiano sostiene i costi di mantenimento dell’imbarcazione, che ammontano a decine di migliaia di euro al giorno e si traducono in diversi milioni l’anno. Tali costi attualmente gravano sul bilancio pubblico tramite l’Agenzia del Demanio, che si fa carico della custodia dell’imbarcazione fino a che non si definisce la situazione giuridica del bene stesso.

Come rientrare di queste ingenti spese? Come mettere a reddito il bene? È possibile sequestrarlo? Queste le domande cui Menditto ha risposto puntuale e chiaro in una mia intervista esclusiva per Lentepubblica di qualche mese fa. Di fatto, è emerso che la gestione dei beni russi congelati richieda normative più chiare e ad hoc.

Guarda l’intervista integrale a Francesco Menditto, la riproponiamo qui di seguito per l’attualità dell’argomento:

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