Fendi compie cento anni, fatti di storia, tradizione e una lunga storia familiare di successo oggi nelle mani di Silvia Venturini Fendi

Agosto 20, 2025 - 05:30
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Fendi compie cento anni, fatti di storia, tradizione e una lunga storia familiare di successo oggi nelle mani di Silvia Venturini Fendi

«Siete diverse , ma tutte indispensabili come le cinque dita di una mano», diceva Adele Casagrande alle figlie. In ordine di apparizione al mondo: Paola, Anna, Franca, Carla e Alda. In ordine sparso: la saggia, la pratica, l’appassionata, la visionaria, la diplomatica. In quelle parole risiedeva la dolcezza paziente di chi sa che l’armonia si costruisce non cancellando le differenze, ma abbracciandole. Ognuna di loro ha sempre creduto che, restando unite, quel palmo potesse stringere il futuro. Ed è andata così: anche oggi, un secolo dopo, senza una sola ruga.

Fendi Primavera/Estate 2025

Adele, “instancabile come uno scoiattolo”, secondo il marito Edoardo Fendi, intuisce che l’armonia nasce non cancellando le differenze ma cucendole insieme. È così che, un secolo dopo, Fendi continua a stringere il futuro con la stessa mano. E pensare che non nasce come un’azienda, ma come una carezza contro la furia del mondo, un’opposizione gentile all’omologazione. A cominciare da un sobrio trionfo del matriarcato: mariti affettuosi e padri premurosi hanno sempre lasciato spazio a una conduzione tutta femminile, dove il comando si esercita con uno sguardo, un orlo perfetto, una decisione presa durante una cena di famiglia.

Le origini di una storia di successo

Nel 1925, Adele e Edoardo aprono una bottega in via del Plebiscito: forse non lo sanno, ma stanno fondando un impero dal tono lieve e incrollabile. Quello spirito oggi echeggia nel Palazzo della Civiltà Italiana, “il Colosseo Quadrato”, dove ogni giorno borse sussurrano storie, scarpe raccontano viaggi e abiti contengono, oltre allo chic, almeno un pensiero e un sorriso.

Ritratto delle sorelle Fendi (Anna, Carla, Franca, Alda e Paola), 1985

Nei Sessanta, anni allegramente confusi ed energici, arriva Karl Lagerfeld. Le sorelle lo attendono un giorno intero sul pianerottolo parigino. Quando finalmente accetta, prende il via la più lunga collaborazione creativa della moda – dal 1965 al 2019 (anno della sua scomparsa). Lui osserva le pellicce, sorride, e disegna due F gemelle: “fur” farà rima con “fun”. Il logo diventa onnipresente e invisibile, un segno di eleganza e di levità d’animo.

Il cinema ama Fendi

Roma, intanto, resta la madre incantata di ogni racconto. Nel 1977, Histoire d’eau, girato da Jacques de Bascher con Suzy Dyson, inaugura il concetto stesso di fashion movie. Una donna arriva da Parigi, attraversa fontane, palazzi e sogni, insegue un profumo – ma ciò che davvero trova è se stessa, reinventata. L’acqua è il medium, Roma la scenografia, la moda il linguaggio del desiderio. È cinema, ma anche liturgia, un manifesto liquido di femminilità colta e inafferrabile.

Le sorelle Fendi e Kaiser Karl a Roma, 1983

La città eterna è da sempre musa e scenario: dagli anni della dolce vita, quando la capitale diventa “Hollywood sul Tevere”, brulicante di star internazionali e registi visionari, Fendi assume un ruolo fondamentale che continua anche oggi. I registi trovano nella Maison un’alleata capace di tradurre caratteri ed epoche: Luchino Visconti chiede un mantello regale per Silvana Mangano per Gruppo di famiglia in un interno, Fellini chiama le sorelle “le Fendine”, Wes Anderson le convoca per I Tenenbaum e Grand Budapest Hotel per i costumi di Tilda Swinton, Meryl Streep ne Il diavolo veste Prada veste Fendi.

L’arrivo di Silvia Venturini Fendi

La Maison non disegna solo abiti, ma stati d’animo. Silvia Venturini Fendi, nipote di Adele, entra nel ’92 affiancando Lagerfeld, nel ’94 assume la direzione delle linee accessori, bambini e uomo, e lascia subito il segno: nasce la Selleria, cucita a mano come un tempo, ma con l’irriverenza del presente. Nel ’97 disegna la Baguette: non una borsa, ma un’idea sottobraccio. «It’s not a bag, it’s a Baguette!», esclama Sarah Jessica Parker in Sex and the City. È emblematica, compatta, desiderabile: vince il Fashion Group International Award per gli accessori, entra nella mitologia.

Nel 2008 sempre Silvia crea la Peekaboo. Con quel nome da gioco infantile – il classico “Bubusettete!” – questa borsa rompe di nuovo gli schemi con grazia. Le sue linee pulite celano una sorpresa: se lasciata appena socchiusa, rivela l’interno come un segreto svelato a metà, quasi strizzando l’occhio a chi la osserva.

Karl Lagerfeld e una piccola Silvia Venturini Fendi nella campagna della prima collezione unisex, 1967

Due oggetti, una filosofia: giocare sì, sul serio. «Fendi è sinonimo di famiglia», dice Silvia. «Questo senso di comunità e dialogo continuo è per noi fondamentale. Si percepisce ancora oggi che c’è una famiglia dietro ogni cosa, anche se non siamo più noi a gestire direttamente la Maison. Lo si vede chiaramente nelle nostre collaborazioni durature con Karl Lagerfeld e Kim Jones. Credo che, in fondo, qui ci si scelga. La famiglia, per me, è emozione. Ogni componente della mia famiglia – e anche della famiglia Fendi di elezione – mi ha aiutata ad apprezzare la rarità, la qualità, e quel tocco umano nei prodotti che mi ha resa la creativa che sono oggi. Questa caratteristica si è trasmessa di generazione in generazione».

Ma forse il segreto più prezioso è questo: da Fendi, la famiglia non è solo una questione di sangue. È una scelta, un riconoscersi per affinità e visione. Nel tempo, accanto alle figlie e alle nipoti, si sono raccolti artigiani, designer, fotografi, scenografi. Ognuno con un linguaggio diverso, ma lo stesso lessico interiore. In un mondo che divide, Fendi ha sempre costruito ponti: tra generazioni, tra mani e idee, tra un passato cucito a regola d’arte e un futuro che procede con passo sicuro. Nel 2016, la collezione sfila sulla Fontana di Trevi: è un’apparizione laica ma sacra. Le modelle camminano sull’acqua, icone del possibile. La moda, qui, non è ornamento ma visione.

Narrazione familiare, tra continuità e vertigine

Alla morte di Karl, Silvia prende il testimone anche del womenswear, fino all’arrivo di Kim Jones. E ora, dopo il suo congedo, è ancora lei alla guida di tutte le linee: sobria, coerente, presente. «Tutto ciò che ho fatto parla di me, delle mie esperienze, e quindi anche del mio essere donna. Sono sempre stata ispirata dalla storia delle donne della mia famiglia, a partire da mia nonna Adele Casagrande Fendi, mia madre Anna e le sue sorelle; le leggendarie cinque sorelle Fendi. Nonna Adele era una perfezionista, quindi sarebbe felice di vedere fino a dove siamo arrivate. Ma sono certa che, nonostante tutto, non esiterebbe a dire la sua», confida Silvia Venturini Fendi.

Alek Wek in Fendi immortalata da Michelangelo Di Battista sulle pagine di Amica, 1997

Le sue sorelle, nel frattempo, incarnano altre visioni: Maria Teresa guida la Fondazione Carla Fendi, Ilaria vive tra orti biodinamici e tessuti etici. Una costellazione di talenti che non competono, ma si illuminano a vicenda. Le figlie di Silvia, Delfina e Leonetta, sono oggi parte attiva della narrazione. Delfina, designer visionaria di gioielli, viene nominata nel 2020 direttrice artistica della gioielleria Fendi. La famiglia diventa così non solo origine, ma prospettiva. Continuità, ma anche vertigine. «La nostra eredità è forte e chiara – sia per noi che per il nostro pubblico – eppure dobbiamo continuare ad evolverci e restare aperti al cambiamento», afferma sempre Silvia. «L’obiettivo è innovare, mantenendo viva la visione che ci è propria e al tempo stesso proteggere le nostre tradizioni e il nostro savoir-faire unico. Siamo un’azienda con una grande storia, ma in un mondo che cambia rapidamente, siamo sempre stati pronti a rischiare. Fa parte del nostro Dna».

Una lunga tradizione artigianale

E poi ci sono le mani. Mani di artigiane che parlano una lingua senza parole, capaci di intrecciare pelle, metallo, fili d’oro e ricordi. Mani che non sono mai sole: cuciono in gruppo, inventano in silenzio, tramandano senza proclami. Quelle mani hanno sempre saputo che la bellezza non è un lusso: è un gesto necessario. Cent’anni dopo quella prima cucitura, ciò che resta non è solo uno stile, ma un’etica. Un modo di stare al mondo: con leggerezza, con ironia, con la fierezza silenziosa di chi non ha bisogno di gridare.

Fendi non è un marchio: è un gesto, un’eco, un ricamo sull’anima. E allora anche la storia di Fendi resta lì, sospesa, come una parola non detta. Una saga dove le madri insegnano alle figlie a cucire sogni con il filo della realtà. Dove ogni borsa è un pensiero portatile, ogni abito una possibilità, ogni cucitura un atto d’amore. Perché la modernità – a Roma come nel mondo – non è dimenticare il passato. È farlo sfilare, ogni giorno, con addosso qualcosa di nuovo.

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