Il piano dell’America per abbattere l’Ue passa (anche) dall’Italia

Dicembre 10, 2025 - 19:52
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Il piano dell’America per abbattere l’Ue passa (anche) dall’Italia

La Strategia di sicurezza nazionale pubblicata la settimana scorsa dagli Stati Uniti ha fatto scattare gli allarmi in diverse cancellerie d’Europa. Quel documento è stato una conferma formale dell’ostilità americana verso il suo storico alleato: l’Europa non può più fare affidamento su Washington, anzi deve guardarsi dai tentativi dell’amministrazione Trump di abbatterne la struttura democratica.

Come se non bastasse, in queste ore alcune testate hanno diffuso una versione ancora più estesa della Strategia, non pubblicata ufficialmente. I punti principali sono sempre gli stessi, i concetti non cambiano: si parla di concorrenza con la Cina, di ritiro dalla difesa europea, di rinnovata attenzione all’emisfero occidentale. Ma qui si parla anche di nuovi strumenti di leadership sulla scena mondiale e un modo diverso per influenzare il futuro dell’Europa.

Ad esempio, se il documento diffuso giovedì scorso si limitava a invocare la fine di una «Nato in continua espansione», nella versione completa e più lunga si entra nel dettaglio: l’amministrazione Trump vorrebbe «rendere l’Europa di nuovo grande» invitando i membri europei della Nato a liberarsi dal sostegno militare americano. Il progetto si intitola “Make Europe Great Again” e punta a contrastare quella che a Washington chiamano una «cancellazione della civiltà europea» – causata, secondo i trumpiani, da politiche troppo blande sull’immigrazione e sulla minaccia alla libertà di parola.

La Strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti propone di concentrare le energie di politica estera su pochi Paesi, quelli in cui i partiti e i movimenti di estrema destra sono abbastanza forti da poter spingere per l’abbattimento dell’Unione europea e dei suoi valori. L’elenco è breve: Austria, Ungheria, Polonia, Italia. Sono i quattro Paesi con cui gli Stati Uniti dovrebbero «collaborare di più con l’obiettivo di allontanarli da Bruxelles». E, prosegue il documento, «dovremmo sostenere i partiti, i movimenti e le figure intellettuali e culturali che invocano la sovranità e la preservazione/restauro dei tradizionali stili di vita europei… pur rimanendo filoamericani».

L’anno scorso in Austria l’Fpö (Partito della Libertà, di estrema destra) ha quasi raddoppiato i consensi alle elezioni di settembre. Il suo leader ed ex ministro dell’Interno è Herbert Kickl, che si definisce «cancelliere del popolo», lo stesso appellativo usato da Hitler, e si è da sempre contraddistinto per le sue posizioni dure nei confronti dell’immigrazione, suggerendo la creazione di centri di detenzione per i richiedenti asilo. Usa spesso la parola «remigrazione», come da retorica codificata dell’ultradestra europea.

In Ungheria il governo di Viktor Orbán ha minato anno dopo anno l’impianto democratico del Paese, trasformandolo in un’autocrazia che si muove come un agente del caos tra le istituzioni europee, al soldo del Cremlino.

In Polonia invece l’elezione di Donald Tusk sembra aver raddrizzato la traiettoria di un Paese che per anni è stato l’alfiere di una destra illiberale e antidemocratica, contraria a ogni declinazione dello Stato di diritto. Ma quelle forze e quei movimenti antisistema non sono ancora sconfitte. Per questo gli Stati Uniti hanno messo il mirino su Varsavia.

È significativo poi che tra questi gruppi ci sia uno dei fondatori dell’Unione europea. L’Italia è vista come il ventre molle dell’Europa occidentale, il luogo in cui l’estrema destra e i movimenti illiberali possono avere più presa. D’altronde il successo della propaganda putiniana in Italia, dalla politica ai talk show televisivi, certifica la permeabilità del Paese. Resta solo da capire che tipo di dialogo ci sia tra la Casa Bianca e il governo Meloni su questo tema: possibile che gli americani non ne abbiano parlato con la presidente del Consiglio e i suoi fedelissimi?

C’è di più nella versione estesa della Strategia di sicurezza nazionale. Si parla anche di un “Core 5”, o C5, un nuovo gruppo di cinque Stati che dovrebbe fare concorrenza ad altri forum intergovernativi come il G7. Più volte Donald Trump si è lamentato dell’espulsione della Russia dal G8, anzi avrebbe voluto inserire anche la Cina. L’assenza di Mosca e Pechino non è casuale: per accedere a questi vertici multilaterali c’è bisogno di rispettare alcuni requisiti fondamentali, uno è quello della ricchezza del Paese, l’altro è quello della governance democratica. Solo che per l’amministrazione Trump quest’ultimo non sembra un valore.

Allora ecco che la National security strategy propone il C5 per riunire Stati con oltre cento milioni di abitanti. Sarebbero Stati Uniti, Cina, Russia, India e Giappone, e dovrebbero riunirsi per dei summit tematici proprio come il G7. È un modo come un altro per dire all’Europa che adesso non conta più nulla, ha perso peso nelle relazioni internazionali. La democrazia non è più una valuta a Washington. Il sito di Defense One rivela anche il primo punto all’ordine del giorno proposto in un summit del C5: la sicurezza in Medio Oriente, in particolare la normalizzazione delle relazioni tra Israele e Arabia Saudita. Non a caso uno dei dossier in cui l’Europa si è scoperta particolarmente irrilevante.

Come ha scritto Sam Greene, del Russia Institute del King’s College di Londra, su X: «Chiunque abbia fatto trapelare questa notizia sembra voler dire: “Vedi, poteva andare peggio, ma hanno prevalso le menti più fredde”. Ma le parti che non hanno pubblicato sono quelle che stanno già portando avanti: un dialogo con Russia e Cina e un intervento politico in Europa».

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Redazione Redazione Eventi e News